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Le pensioni che dividono il Pd

Da Brunougolini

Le pensioni che dividono il PdE’ presente, nel sottofondo del Congresso Pd, un elemento ricorrente. E’ possibile riscontrarlo anche in appassionate discussioni sui Network. Riguarda quello che chiamano “scontro generazionale” ma che spesso si rivela come “odio generazionale”. Vengono così innalzate le spoglie dell’esercito dei precari, del popolo dei flessibili, scagliate contro un altro esercito, quello dei cosiddetti ”garantiti”. Ovvero insegnanti, metalmeccanici, postelegrafonici, tessili, edili, commessi inquadrati nel cosiddetto “posto garantito”. Anche se una gran parte di loro vedono il loro “posto” traballare, sparire. Al centro dell’offensiva sono le pensioni. Quelle future e inconsistenti degli attuali giovani precari e quelle percepite oggi dagli attuali pensionati calcolate con un misto tra sistema retributivo e sistema contributivo. Questi ultimi, incasellati confusamente sotto il titolo “pensioni d’oro”, dovrebbero essere chiamati a restituire “il maltolto” ovvero quella parte della pensione collegata al sistema retributivo e non contributivo.
Ha scritto su questi temi un lungo articolo Ruggero Paladini sul sito www.eguaglianzaeliberta.it.
“Mi sembra”, scrive tra l’altro – “che le affermazioni che spesso si sentono da varie parti – risuonate ad esempio con parole forti alla Leopolda di recente – sulla necessità di colpire le ‘pensioni d’oro’ in quanto non meritate (cioè più alte di quelle che si sarebbero conseguite col contributivo), confondano la pensione alta (più di 3000 euro, per fissare un numero) con il rendimento ottenuto dal lavoratore. In realtà gli scarti più alti li ritroviamo tra le pensioni medie (lavoratori dipendenti) o basse (autonomi), o proprio minime (appunto le pensioni integrate al minimo)”. E ancora: “Un intervento legislativo che rivede ex post le pensioni è una cosa che non credo sia stata fatta in nessun paese”. Ma ipotizzando un intervento nel futuro Parlamento “nei confronti dei padri che rubano ai figli” si dovrebbe “coinvolgere tutte le pensioni, senza eccezioni”. Perché fissando “un limite inferiore (sia esso 3000 o più al mese)” e applicando “un taglio random solo alle pensioni che superano la soglia” sarebbe “un errore logico che diventa un vizio giuridico. Quanti minuti ci metterebbero i pensionati ex magistrati a ricorrere a tutte le Corti nazionali ed europee?”.
Mentre Tito Boeri e Tommaso Nannicini in un intervento su www.lavoce.info hanno osservato come “non tutti si sono avvantaggiati nello stesso modo dal vecchio metodo retributivo… È ipotizzabile che proprio nelle pensioni più alte si annidino i rendimenti maggiori”. E infine, sempre su “Eguaglianza e libertà”, Maurizio Benetti osserva tra l’altro come “Un sistema pensionistico a ripartizione, con le pensioni finanziate dai contributi di chi lavora, è accettabile dai lavoratori nella misura in cui le loro pensioni attese siano simili a quelle per le quali versano i contributi. Diventa non accettabile se i lavoratori debbono finanziare con i loro contributi pensioni sensibilmente più alte di quelle che potranno avere…Basta fare un giro in internet per accorgersi di quale sia l’umore di molti lavoratori specialmente, ma non solo, precari verso gli attuali pensionati e le loro pensioni. E la critica non riguarda solo le cosiddette pensioni d’oro, o meglio il livello delle pensioni considerate d’oro è molto basso e, spesso, coincide con quello individuato da Monti-Letta… Del resto un lavoratore con tanti anni di precariato e con un futuro atteso non particolarmente migliore può considerare ‘d’oro’, rispetto alla pensione che riuscirà a percepire dopo i 70 anni, una pensione attuale di 1.500 euro, soprattutto se pensa che non corrisponda ai contributi versati… Si profila una frattura tra mondo del lavoro e pensionati sempre maggiore…”.
E allora, leggendo tali osservazioni, vien da pensare che sia utile rintracciare realistiche soluzioni e non lanciare promesse impossibili. Se no il rischio è quello di oscurare la stessa realtà drammatica delle nuove generazioni. Proprio l’Ocse in questi giorni ha reso nota una ricerca che mette in evidenza la prospettiva d’indigenza per Cococo, lavoratori a progetto, partite Iva. Questo malgrado gli alti e impossibili “contributi” a cui sono chiamati. Oltretutto anche il “secondo pilastro”, quello di forme di previdenza complementare funziona poco, visto che raggiungeva solo il 13.3% della popolazione in età lavorativa alla fine del 2010. E’ sperabile che su questa intricata materia il Congresso faccia chiarezza.

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