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Fa sempre una strana impressione quando il cinema orientale meno noto (Thailandia, Filippine, Indonesia) si appoggia a quello occidentale, o meglio, tenta di ricalcarne intenzioni e ritmi ma senza ovviamente venir meno alla propria impronta culturale, che inchioda il film nella sua terra d’origine, con ogni pro e contro possibile: di solito quanto ne esce è robetta più che altro scopiazzata, poco credibile nell’unire due facciate così lontane e in generale non molto interessante, è quindi grossa sorpresa trovare questo Modus Anomali, piccolo ma grandissimo film che in un istante divora qualsiasi slasher/survival/torture porn di stampo occidentale uscito negli ultimi anni, perché non solo riprende lo schema caro a questo sottogenere rinfrescandolo con un tocco estremamente personale, ma ne dà nuova visione con uno dei finali più incredibili, rivelatori e per certi versi anche irrisori che abbia mai visto.
Una casa nei boschi, un uomo che si risveglia disorientato e senza memoria, un filmato che mostra torture e sevizie ai suoi cari: non siamo di fronte a elementi innovativi o che tentino qualche spunto originale, ma persino lo stratagemma della telecamera e delle registrazioni ritrovate che sembrano indirizzare verso una strada prevedibile e ben nota è utile a un regista/sceneggiatore che sa il fatto suo per distruggere qualsiasi concezione comune del sottogenere, in primis l’ostentata, per certi versi pornografica, insistenza della violenza, perché in Modus Anomali, seppur presente, è comunque ingranaggio assolutamente non fondamentale di una storia dove a primeggiare, come ogni buon horror in fondo dovrebbe cercare, l’inquietudine, l’ansia, la stranezza, il disagio o, come si usa dire, il perturbante. Il risveglio di John porta con sé un mistero dietro l’altro, e quello che all’inizio può sembrare, appunto, un comune slasherone grezzo e idiota, è in realtà messinscena ricca e raffinata, che usa il mezzo per il raggiungimento di un fine sottile e con una sua critica cinematografica sicuramente da non sottovalutare. Così come da non sottovalutare è l’approccio tecnico di Joko Anwar, che crea una sceneggiatura basilare ma perfetta (pochissimi dialoghi ma eccellente strutturazione – ci sono alcuni tocchi di impressionante finezza, come l’accenno allo shuffling degli LMFAO), per offrire un’esperienza visiva sicuramente insolita per un simile film, dove lunghi piano sequenza partoriscono una tensione sempre più crescente e destabilizzante (la sequenza della cassa, insostenibile).
Impossibile aggiungere qualcosa, il rischio di rilevare elementi essenziali alla comprensione del perfido meccanismo è troppo alto e sarebbe malvagio rovinare la così piacevole e inattesa visione di questo gioiellino ahimè poco conosciuto.
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