Aldilà delle cifre lo studio “American Grace: How Religion Divides and Unites Us” realizzato da David E. Campbell, direttore del Rooney Center for the Study of American Democracy e professore di scienze politiche all’università di Notre Dame, e dal famoso sociologo Robert David Putnam dell’università di Harward, spiega la relazione esistente tra generosità ed affiliazione religiosa.
In un articolo pubblicato sul Time, David E. Cambbell sottolinea che negli ultimi 20 anni è aumentato il numero degli americani, definiti “nones”, senza alcuna affiliazione religiosa: questo gruppo è arrivato a costituire il 20 per cento dei cittadini statunitensi. Questo cambiamento nella società ha acuito il dibattito se una crescente secolarizzazione avrebbe comportato una diminuzione della beneficenza.
Le cose non sono esattamente in questi termini ed un nuovo rapporto di Jumpstart e dell’Indiana University Lilly Family School of Philanthropy mette in luce il modo in cui si intreccia la religione ed il settore del no profit. Campbell rivela che – in base ad un sondaggio nazionale – i tre quarti del denaro che le famiglie spendono per la beneficenza va ad organizzazioni che hanno legami religiosi.
Nello studio realizato da Campbell e Putnam si sottolinea come non solo gli americani siano più propensi a fare beneficenza ad enti con affiliazioni religiose ma anche che gli americani più osservanti siano anche quelli più caritatevoli. Paradossalmente gli americani credenti sono più generosi dei nones anche nei confronti di quegli enti laici senza legame con alcuna religione.
Tutto questo potrebbe confermare il luogo comune che i credenti siano più generosi rispetto ai non credenti e gli stessi sociologi pensavano inizialmente che la fede favorisse un senso di carità magari ispirata da storie bibliche come quella del buon samaritano o forse temendo il giudizio di dio. Ciò nonostante non sembra che le storie bibliche incoraggino il senso di carità dei credenti ed infatti – secondo il sondaggio Jumpstart – varia di poco l’effetto religione per le persone che hanno fatto beneficenza: il 61 per cento dei neri protestanti , il 64 dei protestanti evangelici , il 67 dei protestanti , 68 dei cattolici ed il 76 degli ebrei. Al contrario, solo il 46 per cento di chi non ha affiliazione religiosa ha fatto beneficenza.
Quello che Campbell definisce come “ingrediente segreto” che incoraggerebbe la beneficenza non sarebbero le credenze ma il network di relazioni che si costituisce all’interno delle congregazioni religiose. Perciò più amici si hanno all’interno di un’organizzazione legata ad una religione e maggiore è la probabilità che si dia tempo o denaro per associazioni di beneficenza. Questo vale anche per quelle persone senza affiliazione religiosa ma con molti amici all’interno di una qualche organizzazione religiosa: in quel caso sono persino più generose rispetto a quei credenti con pochi legami sociali all’interno di una comunità.
I risultati riassunti nel libro quindi andrebbero a suggerire che associazioni laiche con strette reti sociali e relazionali potrebbero sviluppare un uguale livello di beneficenza: alcune associazioni di non credenti hanno proprio cercato di creare delle “chiese atee” con incontri settimanali ma senza alcun contenuto religioso.
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