18 marzo 2014 Lascia un commento
Anche i grandi iniziano da piccoli. Devo aver gia’ usato questo incipit e comunque la memoria va a Herzog ma con molta meno ironia. Breve documentario che vede un giovanissimo Sokurov per la prima volta dietro la macchina da presa e cio’ ne fa un evento. Ancora studente universitario, giro’ a Gorkij un filmato sui sovchoz di quella regione, in realta’ una specie di pretesto partendo da quelle che ricordiamo furono delle aziende agricole collettivizzate e gestite dal governo con manodopera e contadini del luogo stipendiati come normali lavoratori.
L’anno e’ il 1974, il regime comunista ancora saldo in sella per quanto col senno del poi, i documentari come questi gia’ tracciavano la parabola discendente e lo schianto che soltanto tre lustri dopo, sarebbe avvenuto.
Girato in pieno stile propagandistico, si esaltano le grandi conquiste anche sottolineando le difficolta’. Se da un lato si racconta di raccolti aumentati enormemente nel corso dei decenni grazie soprattutto alla meccanizzazione, ad un migliore sfruttamento del territorio, nonche’ col miglioramento delle infrastrutture, dall’altro la battaglia contro il clima e la scarsezza delle materie prime sono i maggiori ostacoli da superare.
Il documentario si snoda attraverso le interviste a tre persone responsabili del luogo, un ingegnere il cui compito e’ quello di costruire strade, bacini e canali per il trasporto delle merci, dei beni e la distribuzione dell’acqua, ad un responsabile di uno dei piu’ grandi sovchoz, che ovviamente dipende dalla tecnologia e dalle infrastrutture che ha a disposizione, infine di una donna, una contadina salita di grado a gestire la manovalanza, che ricorda come si lavorava e indicare come continuare il lavoro coi nuovi mezzi.
In tutto questo Sokurov e’ ovviamente assente, come regista intendo, mero braccio della propaganda e senza alcuna forza per staccarsi e dire la propria, per quanto egli non minimizza l’incedere faticoso delle terrene occupazioni, anzi pare voler spingere su questo tasto come il grido d’allarme verso un’economia che malgrado gli sforzi stava collassando, della quale la glasnost di Gorbaciov fu il canto del cigno e la perestrojka l’ultima illusione.
L’anno e’ il 1974, il regime comunista ancora saldo in sella per quanto col senno del poi, i documentari come questi gia’ tracciavano la parabola discendente e lo schianto che soltanto tre lustri dopo, sarebbe avvenuto.
Girato in pieno stile propagandistico, si esaltano le grandi conquiste anche sottolineando le difficolta’. Se da un lato si racconta di raccolti aumentati enormemente nel corso dei decenni grazie soprattutto alla meccanizzazione, ad un migliore sfruttamento del territorio, nonche’ col miglioramento delle infrastrutture, dall’altro la battaglia contro il clima e la scarsezza delle materie prime sono i maggiori ostacoli da superare.
Il documentario si snoda attraverso le interviste a tre persone responsabili del luogo, un ingegnere il cui compito e’ quello di costruire strade, bacini e canali per il trasporto delle merci, dei beni e la distribuzione dell’acqua, ad un responsabile di uno dei piu’ grandi sovchoz, che ovviamente dipende dalla tecnologia e dalle infrastrutture che ha a disposizione, infine di una donna, una contadina salita di grado a gestire la manovalanza, che ricorda come si lavorava e indicare come continuare il lavoro coi nuovi mezzi.
In tutto questo Sokurov e’ ovviamente assente, come regista intendo, mero braccio della propaganda e senza alcuna forza per staccarsi e dire la propria, per quanto egli non minimizza l’incedere faticoso delle terrene occupazioni, anzi pare voler spingere su questo tasto come il grido d’allarme verso un’economia che malgrado gli sforzi stava collassando, della quale la glasnost di Gorbaciov fu il canto del cigno e la perestrojka l’ultima illusione.