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Le porte spazio-temporali

Creato il 24 novembre 2013 da Faustotazzi
Le porte spazio-temporali
E poi ci sono quei momenti di novembre la mattina presto, quando il buio della notte se ne va per lasciare il posto al grigio delle giornate invernali, mattine in cui il traffico e la pioggia avvolgono come in una coperta soffice, le luci posterieri delle auto lampeggiano rosse al toccare dei freni e l'arancio degli indicatori di direzione si mescola ai bianchi freddi delle insegne al neon in giochi di colori che si riflettono sulle gocce sul parabrezza. I tergicristalli economizzano i loro movimenti nella funzione intermittente e la guida è sonnolenta scendendo per rue Lecourbe verso la periferique, intorno Parigi la bella si muove danzando sinousa come sempre ma questa mattina c'è qualcosa che la sterilizza, è la ripetizione la sopisce, l'abitudine che anestetizza e l'automobile passa distratta per le stesse strade che prima percorreva a bocca aperta.
Io scrivo, mi piace scrivere di avventura, e per uno scrittore d'avventura lo stato d'abitudine è una maledizione, è come diventare ciechi di fronte alla meraviglia del mondo. Anche per un amante è una maledizione, l'abitudine. Assuefarsi alla bellezza dell'amata, ridurre a routine quello che è un meraviglioso miracolo quotidiano, non possiamo - non dobbiano - assuefarci al levar del sole solo perchè è un prodigio che si ripete tutte le mattine, non possiamo abituarci alle sue labbra tenere, alla sua bocca grande, ai suoi occhi color nocciola che ridono, alla sua voce argentina, ai denti nel suo sorriso, ai tornanti sul suo corpo, alla saggezza della sua vista, alla profondità dei suoi pensieri, alla leggerezza della sua anima. Per un amante e per uno scrittore l'abitudine è una maledizione perchè entrambi si nutrono di meraviglia. Ed è così che nascono le storie, per respingere le offensive della consuetidine, che attacca instancabilmente, continuamente, ripetutamente. Per rinnovare ogni giorno la meraviglia del mondo, la varietà della vita, bisogna che qualcuno inventi racconti sempre più fantastici, personaggi sempre più inverosimili, storie sempre più ramificate. Come quella delle porte spaziotemporali.
C'è un bar in place de la Bastille dove in estate è simpatico fermarsi per una birra, dei nachos e una lattina di coca cola, guardare la folla che si agita attorno, le auto che aggirano la piazza in tondo come fossero una giostra, i teloni bianchi e le bancarelle del mercato, i turisti che svolazzano come passeri con le guide turistiche tra le zampette, i camerieri che volteggiano presuntuosi in funzione hoovercraft e parigini di ogni genere, generalmente vestiti di nero e in diverse faccende affaccendati. Ce ne stiamo seduti con la nostra birra, la coca-cola e i nachos in sedie di vimini troppo scomode con davanti tavolini rotondi troppo piccoli per conenere tutta la nostra gioia, di quel modello che ovunque li metti devi sempre ripiegare un tovagliolino di carta sotto una zampa perchè non traballi. Ma che volete, Parigi è un po' così: sciatta, incurante, esistenzialista e bohemienne. Nel bar qui di fianco, per un gioco casuale di specchi, gli avventori spariscono. Non è una cosa voluta o cercata, noi stiamo seduti qui e gli specchi sono proprio lì, riflettono la strada e la piazza e le persone spariscono. Sarà anche casuale ma di fatto che la cosa avviene veramente, e avviene proprio lì sotto i nostri occhi.
Questa è una città carica di storia, e in quanto tale ripiena di segreti, di misteri. Come la facciata di esagoni d'acciaio dell’Institut du Monde Arabe che si muovono da soli aprendosi e chiudendosi al ritmo del sole, o la meridiana dell'ospedale Necker, l'istituto dei bambini malati che si sposta per sfuggire l'ombra e rincorre il sole per sentirsi viva, o ancora come l'insegna delle grandi cartiere Rochefort che una volta stavano qui all'angolo con boulevard Pasteur che a volte sparisce e altre volte risorge eclatantemente visibile. Si dice che l'edificio delle cartiere riappaia ancora in alcuni giorni speciali d'estate, quando tutti i parigini sono in vacanza, la città rimane vuota con sè stessa e nei dintorni gironzolano soli gli anziani che in quelle cartiere ci hanno lavorato. In questa città ci sono misteriose porte spazio-temporali che stavano qui fin dai tempi dei moschettieri, quando per le strade rullavano le carrozze e scalpivano i cavalli, che esistevano già ai tempi dei druidi quando Parigi era solo radure nelle foreste, Mont Parnasse era una collina e Vau Girard una lunga valle fuori dalla piccola Lutetia. Stavano già qui ai tempi dei menhir, a quelli degli uomini preistorici vestiti di cuoio e pelli e a quelli ancora più remoti delle astronavi che per prime atterrarono su questo nostro mondo. Sono porte che in mondi paralleli hanno fatto sparire Robespierre da sotto la ghigliottina per lasciarlo morire in tranquilla vecchiaia sotto una trapunta a quadri e nel calore della famiglia, da una porta a Parigi è uscito John Kennedy salvato dalle pallottole di Lee Oswald - o chi per lui - e dall'onnipresenza di Jackie Onassis, da porte spazio-temporali come queste sono passati John Lennon, Jim Morrison, Kurt Kobain e Elvis, tutti vivono ancora nascosti da qualche parte tra la Costa Azzurra a Las Vegas. Adesso lì c'è un bar, il Paradis du Fruit per la precisione, gli avventori che sconsideratamente entrano muovono un passo da una piazza francese, prendono inavvertitamente una di queste porte e si ritrovano chissà dove nello spazio e nel tempo, proiettati in universi paralleli. Pochissimi sono quelli che lo sanno e che lo fanno volontariamente. E non abbiate quell'aria di sufficienza, questa è una faccenda dannatamente seria e un viaggio spazio-temporale è un affare decidamente pericoloso.
Al 197 di Rue de Vaugirard c'è un'altra porta spazio-temporale, o almeno così io penso. IL portone azzurro con il selciato per il passaggio delle ruote ferrati di antichi carri e quel cortile di fronte che è stato nascosto dietro un alto muro mi hanno insospettito fin dal primo giorno quando sono arrivato qui. Nel piccolo giardino sul retro della casa di fronte c'è una veranda che sporge, con le sue porte a vetri di legno bianco, da lì escono ripetutamente strani personaggi e io passo le mie giornate a spiarli dietro le tende dalla casa tra gli alberi. Le foglie cadono a mucchi nel cortile, tra la pioggia e i venti impetuosi di Novembre, adesso si riesce a vedere meglio ed è una varietà sorprendente di forme e di colori che volano, ce ne sono di grandi e di piccole, che cadono vicino o e che volano distante, attaversano anche loro le porte spazio-temporali e si infilano verso posti lontani e tempi remoti. Dalla porta bianca della veranda sono usciti marinai di Bretagna con le giacche scure a bottoni dorati, donne di Curacao con caschi di banane in testa, signore vittoriane con le gonne dalle impalcature di ferro che fanno sporgere il sedere, un hippy strafatto di San Francisco coi pantaloni a zampa d'elefante si faceva uno spinello con un grunge di Seattle, un russo corpulento e doveva arrivare da qualche città remota sul Mar Caspio, splendide mulatte dalla Martinica sono uscite danzando, olandesi rubicondi mangiavano gallette e formaggio con i semi di cumino, lord inglesi dai lunghi favoriti, ebrei integralisti del ghetto di Gerusalemme, mori di Siviglia, pance di bevitori di birre Belgi o Moldavi, un vecchio dalla lunga barba fumava una pipa di sughero manco credendosi ancora sulla tolda di un antico mercantile (questo pomeriggio un'ondata anomala lo deve aver trascinato fuoribordo dritto dritto in una porta spazio-temporale da qualche parte nell'oceano Atlantico al largo di Cape Cod). Iraniani carichi di oppio, una signora ben vestita che teneva per mano una scimmia, uno scozzese in kilt che deve essere stato proiettato fin qui semi ubriaco da una porta dimenticata aperta in qualche villaggio tra le nebbie delle Highlands. Un possente fachiro di Shanghai, contadini toscani coi cappelli di paglia e la cesta delle merende, giovani vergini da antiche montagne avvolte in tuniche bianche che hanno passato i varchi nelle notti di luna piena. Dappertutto, nella mia testa, è meraviglia! In un mondo che nessuna enciclopedia potrebbe contenere, ogni cosa è un indizio che trascina dentro la sua singolare storia nella quale perdersi e rimanere smarriti per sempre. Come in preda ai fumi di chissà quale assenzio, alle allucinazioni di chissà quale fungo, alla digestione di una nuova pastiglia che non hanno ancora inventato. Per uno scrittore d'avventura sono pensieri intrecciati, come i rami che scendono dai salici piangenti o le radici del sicomoro , dove si muovono collezioni infinite di storie che aspettano solo di essere raccontate. Perchè ne escono tanti da quella porta, troppi per quel piccolo appartamento che nemmeno una metà ne potrebbe contenere. Devono arrivare per forza da qualche posto strano, da altre porte spazio-temporali. Un momento! Ma quella non è la coppia di anziani che abbiamo visto entrare questo pomeriggio al Paradis du Fruit?

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