Le potenzialità del gruppo come strumento di cura (gruppo appartamento) e come ponte per l’inserimento in una rete sociale

Creato il 08 novembre 2012 da Raffaelebarone

Autori e responsabili del progetto: Claudia Lo Verso e  Davide Frinchi

Dopo la messa in crisi delle comunità alloggio da parte delle istituzioni, abbiamo costituito Spazi di Cura S.R.L.  con  il desiderio e il progetto di trovare una risposta di cura economicamente sostenibile al bisogno di  pazienti* con sofferenza psichica sul versante psicotico. Avendo lavorato a lungo in una comunità alloggio di Palermo ed avendo ascoltato molte storie dei nostri pazienti ci siamo resi conto che spesso l’istituzionalizzazione è stata l’ unica  risposta  possibile. La casa, la comunità o il gruppo appartamento, se pur alberghi a 5 stelle o gestiti da persone di buoni sentimenti, a Palermo sono diventati luoghi di contenimento che spesso saturano il sano desiderio del paziente.

La nostra ricerca è partita dall’osservazione del funzionamento di un gruppo appartamento a Grammichele, dallo studio di testi, di ricerche su gruppi appartamento e dalla lettura del Piano Sanitario Regionale perché riteniamo che il fallimento delle comunità alloggio palermitane se pur determinato da una mancanza di risorse economiche pubbliche debba attribuirsi anche al fatto di avere avuto un modello operativo non difendibile perché talvolta improvvisato, talvolta stagnante su regole rigide.

Da queste riflessioni Spazi di Curadecide di professionalizzarsi in progetti di luoghi di cura (gruppi-appartamento, comunità, centri diurni) con una possibile funzione abitativa e come contesto relazionale non occasionale e organizzato, vale a dire il Gruppo

Dall’1 Giugno porta avanti un progetto denominato l’appartamento terapeutico Il Ponte conl’obiettivo  di costruire, operatori e pazienti insieme, un gruppo di 7 adulti che possa coabitare e di 2 adulti che vivano la casa nelle ore giornaliere portando la loro esperienza di casa propria  e che rappresentino i primi nodi della rete sociale. Il luogo degli incontri è una casa e nasce con tre utenti; la scelta del luogo ci ha favorito perché rispetto ad una struttura anonima la casa ha rimandato, sia agli utenti sia ai loro familiari, ad un’immagine di spazio protetto che consente loro di viverla come un laboratorio in cui apprendere determinate abilità (come ad esempio cucinare o fare la spesa o attivare la lavabiancheria) sperimentando direttamente il loro scopo.

La peculiarità del progetto è che la sua accettazione da parte del singolo paziente comincia con la partecipazione all’incontro settimanale di gruppo “ IL PONTE” per garantire e promuovere lo sviluppo di forme di “gruppalità” organizzata (scambio, cooperazione, aiuto) tra i partecipanti. Il gruppo porta lo stesso nome del nostro progetto perché ne rappresenta il fondamento e il motore. E’ aperto a un massimo di nove adulti con una sofferenza psichica sul versante psicotico, con strutture di personalità compatibili al vivere in gruppo, motivati a sperimentarsi sul piano delle autonomie nella vita quotidiana. Il gruppo si riunisce ogni venerdì dalle 16.30 alle 17.30, con l’animazione della Dott.ssa Lo Verso e l’osservazione del Dott. Frinchi. Questo gruppo ha più funzioni: promuovere lo sviluppo dell’autonomia e dell’autodeterminazione di ogni singolo ospite ma nello stesso tempo si offre ai partecipanti come uno spazio per crearsi un gruppo amicale, una rete di sostegno, un gruppo con cui abitare. Inoltre consente di lavorare più efficacemente sulla modalità simbiotica con cui lo psicotico vive le relazioni e sulla difficoltà a procrastinare il soddisfacimento delle proprie richieste perché nel gruppo non ha un rapporto esclusivo con il singolo e ogni membro, deve accettare la frustrazione e negoziare il proprio spazio. Il gruppo cosi si offre come un modello di vita reale in cui ognuno, cosi come gran parte di noi fa nella vita di ogni giorno, costruisce il proprio spazio.

Arriva un momento in cui l’operatore responsabile, in seduta individuale, si confronta con il paziente circa la bontà e la reale utilità dell’inserimento in gruppo appartamento e, al contempo, il paziente deve poter esprimere la sua volontà rispetto alla proposta di permanenza in struttura. Spesso la storia dei nostri pazienti è stata un percorso di “case”, posti che non implicano necessariamente l’abitare. Se per casa s’intende un luogo ove semplicemente vivere, non occorre manifestare particolari abilità, è sufficiente “stare” e questo è possibile in ogni luogo e a qualsiasi livello di riabilitazione raggiunta. Abitare è una capacità interiore che si può acquisire ottenendo così il diritto di abitare e non solo quello di possedere una casa.

A questo punto seguirà per il paziente un periodo di osservazione di un mese con frequentazione diurna dal lunedì alla domenica dalle 11 alle 19 per conoscere la nuova realtà abitativa, il gruppo degli utenti e l’équipe curante. L’inserimento però non ha ancora valore definitivo e dovrebbe essere possibile per l’équipe curante e per il paziente stesso interromperlo in caso di non idoneità oppure decidere per una residenzialità o di rimanere sempre un frequentatore diurno del gruppo appartamento. Sono stati gli stessi utenti a suggerirci che ci fosse una frequentazione diurna di alcuni per mantenere il gruppo aperto e per superare il modello istituzionale rigido di molti luoghi di cura. A questo punto è elaborato e condiviso con il familiare e lo psichiatra di riferimento il progetto terapeutico-individuale (P.T.I.) partendo da un’accurata ricostruzione “storica” della vita del paziente per poi raccogliere il racconto di eventi della vita quotidiana del paziente e della sua vita psichica. Il P.T.I. è accompagnato dalla sottoscrizione del “regolamento” in cui siano esplicitate quali sono le regole e le condizioni necessarie alla permanenza in casa (semplici regole di convivenza civile). Per i primi due mesi dall’ingresso dell’utente è prevista la presenza dell’operatore di 21 h al giorno con il pernottamento dell’operatore che lavorerà sulla costituzione del gruppo degli ospiti che vive la casa di notte. Al termine dei due mesi il lavoro degli operatori è pianificato in 72 ore settimanali soprattutto assicurando la presenza durante la preparazione e la condivisione dei pasti perché si ritiene che siano due momenti favorevoli in cui l’operatore può mediare per la costituzione e il mantenimento del gruppo. Poiché l’ingresso degli utenti che faranno parte del gruppo appartamento non avviene nello stesso momento probabilmente anche chi si trova in una fase più avanzata del suo progetto vedrà gravitare gli operatori in casa per 21 h. La presenza degli operatori è assicurata per la realizzazione del progetto e non per l’assistenza al singolo. E’ necessario che chi aderisca al progetto sia il più possibile una parte attiva, un soggetto. Chi frequenta nelle ore diurne non è dispensato dal cucinare, pulire i piatti, fare la spesa o pulire gli spazi comuni perché non è ospite. Ci sarà una colf solo due volte a settimana per le grandi pulizie e per aiutare a stirare parte della loro biancheria.

Da esperienze precedenti in comunità abbiamo imparato che il percorso terapeutico ha sempre un andamento discontinuo, dove si alternano fasi di evoluzione, regressione e di crisi. Proprio per questo è necessario non negare l’importanza del ruolo di altre strutture quali SPDC. Tali luoghi possono svolgere una funzione fondamentale di accoglienza e di cura per rispondere ai bisogni di contenimento e di gratificazione regressiva del paziente, a patto che vi sia una reale integrazione e un approccio di cura condiviso tra essi e il gruppo appartamento. Quindi un possibile ricovero non va vissuto come fallimento perché il saper chiedere aiuto deve essere letto come segno di “guarigione”*.

Tutti gli operatori hanno una formazione psicologico-clinica perché consente loro di lavorare sulla relazione con il singolo ospite e sulla costituzione del gruppo. I nostri operatori sono stati selezionati dopo un’esperienza di partecipazione attiva alla vita del gruppo appartamento perché è chiesto loro di utilizzare il registro del “fare con” e non del “far per”. In poche parole l’operatore non deve mai sostituirsi a chi partecipa al progetto, perché Il Ponte non è una struttura d’assistenza, ma non deve avere neanche una funzione direttiva perché anche lui partecipa al gruppo e di conseguenza non deve estraniarsi ad esempio dal cucinare. Facendo riferimento a Racamier, che pone l’accento sull’importanza dei messaggi attraverso gesti e fatti (gli atti parlanti), privilegiamo nell’appartamento il canale di comunicazione del fare a cui far seguire la parola per significare.

Nelle strutture di cura private in cui la retta è a carico dell’utente è consueto rispondere all’aspettativa di un buon lavoro riempiendo le giornate con tutte una serie di attività programmate con il solo scopo malsano di occupare il tempo del paziente e di rendere visibile l’intervento degli operatori. Pur essendo d’accordo sul fatto che occupazioni varie all’interno della casa oppure attività esterne di intrattenimento (feste, gite, etc.), aiutano i pazienti a stare nella realtà, a strutturare in modo più sano il tempo, a contenere l’ansia del vuoto, a impegnare costruttivamente le energie e ad aiutare a canalizzare le azioni e i pensieri sugli obiettivi concreti da portare avanti quotidianamente, riteniamo che debbano essere gli utenti a gestire il loro tempo con la mediazione dell’operatore. Il gruppo del venerdì si è rivelato anche un momento di incontro favorevole in cui programmare e organizzare le attività anche se frequentemente è accaduto che la mattina o un’ora prima si sia organizzata un’uscita serale.

Noi riteniamo che un bravo operatore debba sapere ascoltare per trovare il suo spazio, nell’hic et nunc, di mediatore tra malato e ambiente con la funzione di consolidare i legami tra gli ospiti e la comunità, accompagnando ogni ospite a superare le proprie difficoltà psichiche che spesso si traducono in quotidiane e concrete difficolta del vivere.

Fondamentale per il successo del progetto è la condivisione dei familiari. Da un’iniziativa di uno degli ospiti della casa si sono susseguiti una serie di inviti da parte dei familiari dell’intero gruppo in casa loro che ha creato un clima di cooperazione e di comunicazione. Da questo dato è nata la regola che anche al familiare è chiesto di sottoscrivere all’ingresso del proprio caro nel gruppo appartamento il rispetto di semplici regole:

   Qualora il familiare gestisca i soldi dell’utente deve garantire all’utente una somma di denaro minima per dargli l’autonomia di provvedere alle proprie spese personali (ad esempio bar, sigarette etc.) e di acquistare un adeguato vestiario (comprendente la biancheria intima).

   I familiari devono tener presente che il proprio caro vive insieme con altre persone per cui deve rispettare lo spazio personale di ognuno di loro. Per questo, salvo che non si sia invitati dal gruppo, non dovranno fare visite la mattina prima delle undici, a ora di pranzo o cena, la sera dopo le 23.

   Non perdere l’abitudine di invitare il proprio familiare a casa propria perché con l’inserimento nel gruppo appartamento non si rompe il legame di parentela. La partecipazione al gruppo appartamento non deve implicare la frequentazione esclusiva delle persone che fanno parte del gruppo. Il paziente dovrà mantenere la relazione con le persone che fino a quel momento sono state protagoniste della sua vita perché la capacità di mantenere più relazioni è segno di salute.

   Saranno informati che il 29 luglio e il 16 dicembre non c’è alcuna presenza e reperibilità dell’operatore. Un messaggio simbolico all’interno del progetto per non delegare il sostegno dei loro familiari ai soli operatori.

In conclusione, il nostro progetto ultimo è la costruzione di ponti interrotti per far uscire chi soffre dal suo isolamento psichico.

Ci rendiamo conto che chi legge possa avere delle difficoltà a collocare tale struttura nella definizione classica di comunità o di gruppo appartamento. Tale progetto vuole essere una risposta  per chi fino ad ora ci ha fatto una domanda di cura e in sintonia con quanto dettato dal Piano Sanitario Regione Sicilia circa la flessibilità nei percorsi assistenziali: “L’esperienza, già in più parti maturata, evidenzia l’esigenza di utilizzare lo strumento del PTI per la promozione del sostegno abitativo-riabilitativo e la piccola dimensione della casa quale elemento favorente le relazioni interpersonali. Tali strutture inserite nel contesto urbano, devono essere organizzate con un grado di protezione non definito aprioristicamente in maniera rigida al fine di poter andare incontro alle esigenze degli utenti ed ai loro bisogni”.

Ringraziamo per gli stimoli ricevuti il Dottore Barone, l’IIPG (in particolare il Dott. Inguglia relatore nel seminario “Il Ponte: metafora e simbolo del legame”) , il Dottore Serio e indistintamente tutti gli psichiatri del D.S.M. di Palermo.

*1 Il termine paziente per noi descrive una persona sofferente che ha una domanda di cura.

*2 Per guarigione intendiamo che il soggetto costruisca un nuovo equilibrio psichico che sia meno costoso in termini di sofferenza, che consenta il massimo grado di autonomia possibile, che sia più funzionale nel rapporto con l’altro

 


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