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Le pretese dei clandestini, ovvero della corda che si sta spezzando

Creato il 27 agosto 2015 da Criticaimpura @CriticaImpura
Migranti irregolari che gettano i pasti offerti dallo Stato ospitanteMigranti irregolari che gettano i pasti offerti dallo Stato ospitante

Di FRANCESCO GALLINA *

Acquisto frutta e verdura da un egiziano.

Mi sono affidato a un medico di origini centrafricane per curare un problema di salute particolarmente grave. Un curriculum invidiabile.

Quando bevevo il latte (ne sono diventato allergico), sapevo e so perfettamente che è stato estratto da una mungitrice azionata da un indiano. Come lo so? Quell’indiano è mio amico, e sa la matematica meglio di me; sua sorella la insegna a Mumbay.

Verso questi tre uomini nutro totale rispetto. Me ne frega assai che siano di colore o che credano in una religione diversa dalla mia. Mi interessa, invece, la passione con cui lavorano, il servizio che svolgono, la loro educazione, umiltà e intelligenza. Anche loro sono venuti in Italia per cercare una vita migliore: sono venuti in Italia, spaesati, con i loro documenti, e si sono integrati chi con lo studio, chi con il lavoro. Hanno contribuito, cioè, per il bene loro e della società che li ha ospitati. Non hanno fatto pesare la loro presenza, le loro posizioni; non hanno preteso niente, anzi, hanno ricambiato con qualcosa di loro. Eppure, mi raccontano, il loro iter burocratico non è stato per niente facile e, nei primi tempi, si sono dovuti arrangiare alla bell’e meglio.

Questi tre uomini hanno bussato alla porta legalmente e si sono integrati mettendosi all’opera.

Questi tre uomini sono l’esatto contrario dei clandestini che, tre giorni fa, hanno protestato a Milano, bloccando il traffico e gente che doveva magari andare a lavoro, perché qualcuno, ancora, in Italia, lavora. Ci giungono notizie di continue e pressanti ribellioni dovute al fatto che, a costoro, i centri di accoglienza non garbano, sono brutti, vi stanno tutti addossati, il cibo è gramo, per i documenti ci vorrà un anno se va bene. L’insoddisfazione più totale. Hanno evidentemente scambiato l’Italia per il Paradiso Terrestre, ma hanno fatto i conti molto male: d’altronde, mica tutti possono essere bravi in matematica come il mio amico indiano. Questa gente, però, benché possa provenire dai luoghi più disastrati della Terra, non ha alcun diritto di fare i capricci, manifestando collera nei confronti degli ospitanti, solo perché le cose non vanno o non sono nella condizione che si erano immaginati. Perché? Perché il Paradiso Terrestre non esiste, è una vana e mitica illusione.

Ricordo un aneddoto autobiografico. 2011. Ospedale di Parma. Mi mettono su un lettino con bollino verde, nell’allora oscena sala d’attesa: uno squallido e piccolo quadrato in cui stavano ammassati fino a una trentina di letti, con annesse carrozzelle e sedie. Ci sono stato otto ore. Mi hanno rispedito a casa scambiandomi una peritonite per una colica. Quando sono rientrato, c’è mancato poco che crepassi. In quelle otto ore di attesa (e ignoranza medica), non m’è saltato in mente per un istante di scendere dal lettino e spaccare la mia flebo sulla testa del magrebino ubriaco che mi è “passato davanti” con urgenza. Eppure avrei potuto farlo, fosse magrebino o meno. Ma l’ospedale non era e non è mio, anche se le tasse che pago confluiscono in parte nelle sue casse. E, di questo, sono felice. Almeno se vengono fatte le giuste diagnosi.

Non è finita qui. Dopo avermi tagliato l’appendice in gangrena e avermi lavato l’intestino con 8 litri di soluzione, la mensa mi propose un orrendo pezzo di carne di maiale – che tutti sanno essere un toccasana per le viscere chirurgicamente tartassate – . Avrei potuto sbatterlo giù dalla finestra come successo a Eraclea, o magari tagliare la gomma delle auto dei cuochi, come è successo a Ponte nelle Alpi, o direttamente pestarli a sangue come accaduto all’asilo Pampuri di Brescia. Invece non l’ho semplicemente mangiato, senza tanta petulanza. Provenivo anch’io da una guerra, fatta di atroci spasmi e dolori di cui, ad oggi, ne soffro le conseguenze, senza aver malmenato il muso alla dottoressa che confuse pomo per pero.

Cosa ne deduciamo? Che l’Italia è messa male di per sé, anche senza profughi. Ne deduciamo, inoltre, che leggere i testi classici greci e latini, è importante: capiamo che ospitalità è l’atto di adeguarsi ai costumi dell’ospitante, ricambiando l’accoglienza con un dono tanto prezioso quanto quello ricevuto, pena il disonore.

Nel 2015, da rifugiati ed emigranti irregolari di altro genere, non possiamo chiaramente pretendere più nulla.

Per questo ve lo chiedo con il cuore in mano: non fate dispetti, non create ulteriori problemi a un’Italia che è già di per sé un problema. Fatevi un giro per ospedali, case di cura, ospizi, baraccopoli italiane e, se davvero venite da posti devastati dalla povertà, comprenderete che il Paese dei Balocchi esiste solo per Pinocchio, cioè un asino patentato. Il razzismo è odio ingiustificato verso fattori somatici e, per pseudoscienza, anche psichici. Il razzismo, in altre parole, è fallace.

Invece, il detto c’è un limite a tutto è una sacrosanta e rispettabilissima legge umana che non conosce né colore né partito, ma si tramuta in naturale insopportazione. Il che non è da sottovalutare: la corda si sta spezzando. E, quando le corde si spezzano, la storia non lascia presagire belle cose.

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* Articolo precedentemente apparso su BUSILLIS.


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