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Le proposte del Governo Renzi

Creato il 20 marzo 2014 da Capiredavverolacrisi @Capiredavvero

Le proposte del Governo Renzi hanno come obbiettivo finale la distribuzione di 80 euro al mese a dieci milioni di italiani della fasce medio basse.

Da notare inoltre che da questo inutile provvedimento sono comunque esclusi i lavoratori indipendenti, pari ad un terzo del totale, più i lavoratori sottopagati ed i disoccupati. Qualora anche riuscisse il risultato finale sarebbe risibile.

L’aumento della tassazione sulle rendite finanziarie, avrà due effetti devastanti:
- Le banche comprerebbero sempre più titoli di Stato, perché esenti da tasse, finanziando sempre meno l’economia reale. C’è chi dice che questo effetto è voluto, se così fosse sarebbe criminale.

- Inoltre, il legame finanziario reciproco tra banche e Stato creerebbe una dipendenza indissolubile dell’uno verso le altre, con l’alto rischio per cui lo Stato, con i nostri soldi, dovrà, in caso di grosse difficoltà, ripianare i deficit delle banche piene di titoli di Stato. Vedi Moral Hazrad.

È incredibile ed inaccettabile che la struttura di tecnici del Governo Renzi non abbia saputo trovare riforme più incisive.

Per approfondire v’invitiamo a leggere il nostro monitoraggio sulle riforme del Governo Renzi qui di seguito.

Le proposte recenti del governo Renzi non sembrano sufficienti, sono di dubbia implementabilità per mancanza di coperture esplicite, e sono modulate in modo da massimizzare l’effetto politico ma non quello economico.

Il governo promette di tagliare le tasse per 10 miliardi sui lavoratori dipendenti, agendo sull’IRPEF, o forse sui contributi previdenziali. In un secondo momento si potrebbe ridurre, solo del 10%, l’IRAP. Le coperture dovrebbero venire da un aumento delle imposte sui redditi di capitale, da un aumento del deficit, dalla riduzione della spesa per interessi, e da tagli di spesa ancora da effettuare e di natura non specificata. Gli sgravi saranno concentrati sui redditi medio-bassi, ma escludendo chi non percepisce un reddito o – se i tagli agiranno sull’IRPEF, percepisce un reddito inferiore ad una certa soglia. Inoltre saranno esclusi i lavoratori autonomi, che rappresentano circa un terzo dei lavoratori.

La spending review stimata è di soli 3 miliardi per il 2014, e cifre più consistenti sono attese negli anni successivi: 18 e 34 miliardi nel 2015 e 2016. Con una tale spending review sarà necessario aumentare le tasse per coprire buona parte dei 10 miliardi. Le cifre in gioco negli anni successivi sono ragguardevoli: purtroppo sono poco credibili, sia perché due anni è un tempo molto lungo per la politica italiana, sia perché i tagli sono di norma calcolati rispetto alle previsioni di spesa e non alla spesa attuale, e quindi potrebbero non portare ad una riduzione di quest’ultima. A ciò si sommano i piani per aumentare la spesa per l’edilizia scolastica, l’ingresso nel mercato dei lavoro dei giovani, la tutela del territorio (circa 7 miliardi in tutto) che sebbene forse necessari, dovranno comunque essere finanziati.

La scelta delle imposte da tagliare per prime, e di quelle che probabilmente saranno aumentate, da parte del governo risponde ad un imperativo politico ma non ad una logica economica. A beneficiare saranno i dipendenti, ma non i disoccupati e gli autonomi, e probabilmente non chi ha redditi molto bassi. La spinta per l’occupazione sarà trascurabile perché non si riduce il costo del lavoro per le imprese, tranne per la riduzione, molto contenuta, dell’Irap. I benefici del taglio dell’Irap saranno poi ridotti, se non cancellati, dall’aumento della tassazione sui risparmi, che danneggerà i giovani che cercano di accumulare un capitale previdenziale – consci che dall’INPS non potranno attendersi molto nonostante gli esosi contributi – e ridurrà i fondi disponibili per le imprese. Questa misura distorcerà maggiormente l’allocazione delle risorse finanziarie allargando la discriminazione fiscale a vantaggio dei titoli di Stato, che non verranno toccati dal pesante aumento delle aliquote. Questo effetto distorsivo sarà ulteriormente aggravato dal “piano casa“. Il risultato sarà che finanziare le imprese converrà ancora di meno.

Complessivamente le cifre in gioco sembrano rilevanti, anche se non si tratta di un cambiamento epocale, ma dato che i tagli di spesa effettivi saranno probabilmente trascurabili rispetto a quelli annunciati, e che i tagli di tasse effettivi beneficeranno poco, o addirittura danneggeranno, gli investimenti e la competitività, è probabile che l’effetto macroeconomico sarà trascurabile. Inoltre non si farà nulla, o ben poco, per giovani, imprese, disoccupati, lavoratori autonomi, e dipendenti a bassissimo reddito. Il piano del governo non sembra molto dettagliato, e gran parte delle promesse potrebbero rivelarsi irrealizzabili: nel caso venissero realizzate, l’effetto sarebbe comunque piuttosto contenuto.


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