Nella vita di ciascuno ci sono sempre quelle quattro o cinque cose che accadano quotidianamente e che risultano fastidiose. Una, ad esempio, quando corri per prendere la metropolitana e incontri sempre qualcuno che ti blocca il passaggio sulle scale mobili. Un’altra è quel clacson che ti rompe i timpani perché c’è qualcuno che deve richiamare l’attenzione dell’autista che ha parcheggiato in seconda fila e che gli impedisce di uscire con la propria auto. Una terza è quella telefonata ch’arriva a qualsiasi ora della giornata per proporti di cambiare questo o quel gestore. Un’altra cosa che quotidianamente dà fastidio è sentire, mentre sei su un mezzo pubblico, le chiacchierate ad alta voce di qualcuno che parla al cellulare. Infine, accendere un televisore è sentire un signore che da diciassette anni ti ripete d’essere un perseguito dalla magistratura. La sola differenza tra quest’ultimo fastidio rispetto a tutti gli altri che ho elencato è che mentre in questi casi la circostanza è uguale, e cambiano di volta in volta soltanto i soggetti, nell’ultimo caso il soggetto è uguale e a cambiare sono di volta in volta le circostanze. Cioè, per far capire cosa voglio dire, è come se incontrassi sulle scale mobili sempre la stessa persona, come se sempre la stessa persona fosse quella che mi scassa i timpani, quella che mi chiama quotidianamente per propormi questo o quel contratto, quella che oggi giorno urla al cellulare. Se così fosse cosa potrei pensare: che quel tizio mi perseguita. Ecco, ascoltando un signore in televisione parlare della sue persecuzioni giudiziarie provo anch’io lo stesso effetto: comincio a sentirmi un perseguitato. Allora, non ha tutti i torti colui che sosteneva che il senso di persecuzione sia contagioso, perché in effetti anch’io negli ultimi tempi ho paura ad accendere un televisore e vedermi di nuovo comparire una faccia taurina dallo sguardo incattivito ripetere come un disco rotto d’essere l’uomo più perseguito del pianeta.