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Le radici di una scrittura: Massimiliano Santarossa

Creato il 27 febbraio 2015 da Leggere A Colori @leggereacolori

«La mia generazione è nata nel mondo contadino, è cresciuta nel mondo operaio, oggi vive nel mondo tecnologico. Uno su dieci ce l’ha fatta, io racconto gli altri nove». Massimiliano Santarossa sintetizza così, come meglio non si può, quel mix di radici e storie di vita che l’hanno formato, educato e rafforzato a tal punto da diventare quasi un antieroe, di quelli però di bell’avvenire e con un lieto fine ancora tutto da scrivere. Il legame con le radici, l’impegno e soprattutto il non perdere mai il contatto con la realtà delle cose e delle situazioni, di quelle che insegnano ad usare un talento e che, nel contempo, possono disperderlo come neve al sole: lui gestisce tutto questo con una saggezza tutta popolare  ma mai fuori dai tempi.

1) Massimiliano, il territorio come formazione alla vita e, nel tuo caso, come preparazione umana alle Lettere?

Non siamo unicamente figli dei nostri genitori, anzi, con una certa sicurezza posso sostenere che siamo soprattutto figli dell’ambiente, ambiente inteso come luogo, il posto dove cresciamo. Siamo l’asfalto su cui camminiamo, siamo la casa che abitiamo, siamo le persone che incontriamo, siamo il ferro, il vetro, il legno che ci circonda, e siamo le tradizioni, il passato, la terra su cui viviamo. Quando un bambino cadeva sui sassi e si tagliava una mano o sbucciava un ginocchio, qui da noi in Friuli i vecchi dicevano “Ti entra la vita dentro”. E così nei miei primi anni da giovanissimo operaio di fabbrica, quando mi tagliavo la pelle delle mani con lo scalpello affilatissimo, gli operai esperti mi dicevano “Ti entra il lavoro dentro”. Tutto questo prepara alla vita divenendo vita, la crea e contemporaneamente ci prepara a ciò che accadrà.

Nel mio caso, tra le varie esperienze “estreme” vissute in passato, una delle più importanti, a suo modo formativa, è stato fare il primo anno di scuole elementari in una classe di “bambini indietro”; proprio così ci chiamavano: “indietro”, rallentati, diversi, estranei alla normalità. Eravamo in quattro, chi aveva gravi problemi fisici o mentali e chi come me aveva problemi di espressione. Non sapevo parlare, non riuscivo a leggere né a scrivere. Tutta la mia letteratura nasce da quella classe, nemmeno con un premio Nobel riuscirò a abbandonare quel luogo, antichissimo e presente.  Quindi ritengo che sia proprio lì la “preparazione umana alle Lettere” come la definisci con precisione tu.

Tuttavia diffido degli scrittori ombelicali, rivolti unicamente alle proprie storie. Il mio passato dirige sicuramente la mia scrittura, ne dà forma stilistica anche, ne determina alcune scelte; ma ho fatto un grosso lavoro di distacco da me stesso, quindi di utilizzo del mio passato per arrivare a governare strumenti in grado di leggere in modo profondo ciò che mi e ci circonda. Non sono io protagonista, non lo voglio essere, non lo sarò mai. Sono un ponte, sono al servizio. Mi faccio corpo che sente, vede, prova, per dire quello che accade attorno a noi, attorno a tutti noi, in questo luogo oscuro chiamato Occidente.

2) Narrare di esperienze vissute può essere catartico come indicibilmente doloroso. Cosa ti è rimasto dopo averlo fatto?

Anche su questo diffido di chi sostiene che la scrittura è un modo “per uscire dal proprio inferno”. In verità scrivere è come rivivere, di nuovo e di nuovo, ciò che ci siamo lasciati alle spalle. Scrivendo si torna nei luoghi. Nel mio caso, il più delle volte, è rivedere luoghi complessi, difficili, in costante penombra, dove il cielo è basso e perennemente piovoso. Come si capisce leggendo i miei romanzi.

Mi è rimasto di tutto questo “viaggio temporale” la sensazione nettissima del compito della Letteratura, che è quello di far sentire meno soli, di non farci mai sentire differenti. È come un sospiro, una voce tenue che continua a ripetere pagina dopo pagina “guarda che non sei diverso, guarda che la vita attende anche te.” Prima di essere uno scrittore, sono un appassionatissimo, viscerale, imbattibile lettore, al quale addosso resta la magia della Letteratura: siamo tutti uguali, abbiamo tutti diritto di stare a questo mondo.

3) Anche se non vuoi farne una favola di eroismo, devi ammettere che arrivare a malapena alla licenza media e diventare dopo anni e anni di duro lavoro un preparato scrittore e editor ha un che di incredibile: è ancora possibile in Italia arrivare a qualcosa in questo modo nell’ambito letterario, o è una storia di altri tempi?

No, non voglio per nulla farne una favola di eroismo. Diffido dei lieto fine come del sogno americano. Sono ateo, sono friulano, ero e sto con i piedi per terra, quindi tengo a distanza parole come “eroe”, “favola” e soprattutto come “speranza”. Ho sempre e solo creduto nell’impegno.

È vero, ho decisamente avuto qualche grosso problema con le regole scolastiche, con lo stare fermo su un banco, su un unico libro, ne va anche della mia capacità di attenzione: sono estremamente attratto da alcune cose come del tutto indifferente da altre. Sono selettivo. E questo ha comportato il mio totale fallimento scolastico, per colpa mia, unicamente mia. Poi un giorno una persona a me molto cara mi ha dato dello stupido, dell’incapace, dell’ignorante, avevo quindici anni. In quel momento è scattata una voglia di riscatto totalizzante. Sono quindi corso in Libreria, ho messo nelle mani del libraio un mio intero stipendio da operaio dicendogli “Dimmi tu da dove iniziare a leggere. Voglio leggere tutto”. Ho quindi compreso da subito che solo i libri ci possono cambiare, che solo i libri portano le rivoluzioni che contano: intime, interiori, solo nostre. La rivoluzione più importante: il raggiungimento della Libertà propria, da tutto, anche da se stessi. Quindi, oggi come ieri, come domani, e in qualsiasi ambito, con l’impegno si può ottenere molto, moltissimo; sicuramente per certi la strada è più lunga, ma è da tutti percorribile.

Oggi non mancano le possibilità. Oggi piuttosto manca la voglia di conquista, la voglia di riscatto, la voglia di rivoluzionare se stessi. Non ho mai seguito né ascoltato chi si lamenta senza provare. Non sopporto chi “spera”. Amo chi agisce, chi ci prova, soprattutto amo chi è in ginocchio, amo gli ultimi, che quando sono ultimi e in ginocchio continuano ad avanzare.

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4) Lavorando per l’editoria, ti sarà capitato di avere a che fare con suoi aspetti che ti sono piaciuti poco. Quali sono?

Lavoro nell’editoria da venti anni, pubblico romanzi da dieci. Quindi conosco abbastanza bene questo mondo. Non ci sono nemmeno più aspetti che mi piacciono poco. Dopo molti anni impari a concentrarti su ciò che fai e tenti di farlo al meglio delle tue possibilità. Non è una perdita di capacità critica, anzi è la maggiore forma critica: faccio ciò che ritengo importante, senza perdere tempo a guardare cosa fanno gli altri. È un concetto snob? Bene, la definizione di snob non mi ha mai spaventato, anzi. Però darei un consiglio, se mi è permesso, altrimenti pazienza lo do comunque: le concentrazioni di scrittori, le amicizie tra scrittori, le ripetute cene e pranzi e incontri e confidenze tra scrittori, sempre in gruppo, perennemente assieme, sono dannose per la Letteratura. Nel fare gruppo si crea inevitabilmente un “canone”, la frequentazione svilisce le differenze di comportamento e di “voce”, per cui omologa. Oggi il motivo principale per cui esiste una scrittura piatta, sempre uguale a se stessa, è perché appunto gli scrittori stanno in costante contatto, si muovono, pensano, quindi scrivono in branco. Mentre la scrittura richiede innanzitutto silenzio, solitudine, richiede una propria “essenza”, e questa “essenza” si trova e poi si salva non svelandola quotidianamente. La luce, il caos e il gruppo offuscano la luminosità della “Parola”.

5) Perché in Italia gli emergenti fanno fatica a decollare, crisi a parte? Cosa c’è che non va nel settore, sempre che ci sia qualcosa che non va?

 Ritorno alla precedente risposta. I giovani scrittori, oggi, sono bravissimi a studiare nelle scuole di scrittura, sono bravissimi a studiare i canoni attuali, sono bravissimi a trovare la parola corretta dell’italiano, sono bravissimi a spalleggiarsi e fare appunto gruppo. Ma la maggior parte non ha una “voce” propria. E quindi non arriveranno mai alla pubblicazione. Non c’è nessun sistema cattivo. Nessuna cospirazione socio-politico-culturale c’è dietro. Manca la “voce” differente del giovane scrittore. Quindi al giovane scrittore manca tutto. Il consiglio è sempre lo stesso: meno frequentazioni letterarie e più vita reale. Un buon racconto nasce spesso da una buona sbronza, mai da una serata trascorsa a parlare di contratti editoriali.

6) Torniamo a te e alla tua visione della scrittura. Cosa ti salta all’occhio tecnicamente, sia in positivo che in negativo, quando editi il lavoro di una nuova leva rispetto a un veterano?

Amo molto la ricerca della parola corretta, credo che le parole siano come persone, alcune stanno bene vicino ad altre, certe invece sono inavvicinabili. Ci sono parole dal suono stupendo, altre dal suono orribile. La parola contiene una musica e questo nei testi si comprende subito. Basta leggerli ad alta voce.

Ho sempre amato un uso salmodico della parola, ho sempre amato quando, esempio, la ripetizione di un aggettivo diviene gesto, rotondità, pienezza nella frase. Aggettivi e avverbi sono difficili da usare, molti tentano di farne a meno, ma è un errore: bisogna cercare il modo, sforzarsi, trovare una via nuova, diversa, “altra”. In questo alcuni giovani scrittori sono molto bravi, non voglio fare nomi, molti li leggo, con alcuni ho avuto la fortuna di lavorarci. Il problema invece di alcuni scrittori “di lungo corso” è sempre lo stesso, una volta trovato un terreno sicuro non lo abbandonano più e scrivono e riscrivono lo stesso romanzo anche venti volte: stesse parole, stessa metrica, stesso tema, stesse ambientazioni. Questo è il pericolo primo di ogni scrittore che voglia scrivere seriamente. Non bisogna ripetersi. Bisogna sforzarsi di trovare sempre “altro”. Altrimenti è più dignitoso smettere di scrivere.

 7) Tu invece, quando scrivi, che forme tecniche prediligi (uso di tempi verbali, dialoghi, narrazione, ecc.)?

 Ti rispondo in modo molto semplice.

Dieci anni fa dicevano che le storie nate nei bar erano antiletterarie. E io mi sono detto Benissimo: scriviamole.

Cinque anni fa dicevano che le storie monologanti erano antiletterarie. E io mi sono detto Benissimo: scriviamo monologhi.

Ora dicono che le storie distopiche sono antiletterarie. E io mi dico Benissimo: scriviamo storie distopiche.

Seriamente. Non ho mai scritto una sola riga pensando al pubblico o per andare contro qualcosa o qualcuno. Scrivo. Tutto qui. Arrivano le voci nel buio e io sono chiamato a portarle su carta. Ogni voce ha un suo suono, quindi un suo stile. I primi due romanzi avevano voce e stile semplicissimi: nascevano al bar e parlavano la voce del bar. Il terzo e quarto romanzo erano vite vere ambientate negli anni Ottanta e Novanta, in una ipotetica provincia popolare italiana, quindi quella è stata la loro voce: provinciale, arrabbiata, a tratti isterica, verissima. Il quinto e il sesto romanzo hanno narrato l’anima, lo spirito, o meglio le terminazioni nervose del mostro occidentale, affrontando alcune storie di vita esemplari nel dolore. La voce poteva solo essere salmodica, teologica anche, barocca se vogliamo. Con il nuovo romanzo, Metropoli, cambia nuovamente tutto. Altro punto di vista. Altra dinamica sociale. Altra voce.

 8) Narri la crisi dell’essere umano nell’occidente attuale: dov’ è la vera crisi secondo te, in cosa si identifica?

Si identifica per chi ha fede nella scomparsa dell’anima. Per chi come me è ateo si identifica nel peso insopportabile che devono reggere le terminazioni nervose di ognuno. Cosa comportano i centomila messaggi quotidiani urlati, le centomila luci sparare negli occhi, le centomila nuove forme di terrore intimo? Cosa comporta questa enorme e violentissima omologazione del pensiero, ultratecnologico, perennemente connesso? Cosa comporta la totale perdita di pensiero critico, di capacità di analisi, questa continua corsa in mezzo al frastuono, cosa comporta tutto ciò?

Comporta una cosa molto semplice e irreversibile, la fine dell’essere umano per come lo conosciamo, e qualcosa di inedito che sta arrivando a grandi passi dall’orizzonte. Una nuova forma umana. Al momento sembra terribile e oscena, ma non è detto sia così.

9) Scrivi anche per i giornali: come vivi il doppio ruolo di narratore di cultura e fautore della stessa?Ci scrivevo molto in passato. Da qualche anno ci scrivo poco, raramente, e solo per parlare di romanzi che amo, che ritengo determinanti. Oggi fatico molto a dedicare del tempo a ciò che non è strettamente letterario. Sono arrivato a pensare, per me lettore e scrittore, che sia meglio concentrarsi unicamente sulla lettura e scrittura di romanzi letterari. Penso di non essere mai stato uno scrittore totale come in questi ultimi anni, quelli della stesura di Metropoli.

10) Per finire: cosa non ti hanno mai chiesto a cui ti sarebbe sempre piaciuto rispondere?

Ho avuto la fortuna e l’onore di essere uno scrittore molto recensito e molto intervistato in questi anni. Ma nessuno mi ha mai chiesto “Cosa provi quando tieni in mano un tuo nuovo romanzo, appena stampato?”. A quella domanda avrei risposto con la parola più sincera: Gioia. Provo una Gioia totalizzante. Perché so che quando io non ci sarò più, lui continuerà a restare vivo, per moltissimo tempo, nelle case altrui. Un romanzo ci rende in qualche modo “immortali”.

contattalo: il sito

su facebook: Massimiliano Santarossa

Chi è Massimiliano Santarossa:

Massimiliano Santarossa (Pordenone, 1974) è uno scrittore italiano.

Ha pubblicato Storie dal fondo nel 2007 e Gioventù d’asfalto nel 2009 per Biblioteca dell’immagine, nel 2010 Hai mai fatto parte della nostra gioventù? e nel 2011 Cosa succede in città per Baldini Castoldi Dalai editore, nel 2012 Viaggio nella notte e nel 2013 Il male per Hacca edizioni.

I primi due libri, Storie dal fondo e Gioventù d’asfalto, sono nati dalla narrazione diretta della estrema periferia italiana, in particolare legata alle regioni del Nord-Est. Storie di disagio e di vite ai margini hanno dato forma a uno sguardo realista, spesso crudo, sulla vita non raccontata di quella che fu, dagli anni Ottanta sino alla fine degli anni Duemila, la Locomotiva Economica del Paese, tanto da considerare l’autore come uno degli artefici del ritorno del Realismo in letteratura. La critica letteraria e i molti lettori hanno subito compreso il legame tra l’autore, i luoghi e le storie narrate, infatti prima di dedicarsi alla scrittura Santarossa è stato falegname e operaio in una fabbrica di materie plastiche.

Alle prime due opere ne sono seguite subito altre due, Hai mai fatto parte della nostra gioventù e Cosa succede in città, di taglio più narrativo, dove le ambientazioni sono le medesime ma lo sguardo è aperto, non unicamente legato alla biografia diretta, ma centrato principalmente sui fenomeni sociali della gioventù degli anni Ottanta e Novanta, due lavori che dai critici sono stati definiti di contro-formazione, riconoscendone i tratti narrativi dissacratori e realistici.

I romanzi seguenti sono quelli della svolta post-moderna. Viaggio nella notte e Il male difatti si staccano dal racconto in presa diretta per giungere a una narrazione più complessa, a tratti visionaria. La struttura si fa spesso monologante e assimila visioni quotidiane – dal lavoro operaio fino a giungere a considerazioni politiche, economiche e teologiche – ad analisi dettagliate ed estremamente critiche sulla società nel suo complesso. La volontà dell’autore, in questi romanzi si fa esplicita, è quella di narrare più a fondo possibile la crisi dell’essere umano nell’Occidente attuale.

Diversi romanzi di Santarossa vengono da tempo rappresentati a teatro dalla compagnia teatrale di “Arti e Mestieri”.

Nel 2013 è entrato a far parte della prestigiosa antologia Fabbrica di carta. I libri che raccontano l’Italia industriale edita da Laterza e dal 2014 i suoi scritti sono oggetto di studio in alcuni corsi di università italiane. Ha vinto nel 2008 il premio letterario “Parole Contro” e nel 2009 ha ricevuto la menzione speciale del premio “Tracce di Territorio”. Dal 2011 scrive per le pagine culturali del Messaggero Veneto e collabora con radio e riviste.



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