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“Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce”, mai frase detta da Pascal o da chiunque altro, fu più sensata. Il perché si cela dietro una storia, questa storia e a me non resta che raccontarvela. Lui è Isac Roncister, anche se questo non dice assolutamente niente su di lui ed il semplice fatto che, un cognome, non dica assolutamente nulla su una persona, rende il tutto drasticamente oscuro, quasi come una maledizione, quasi come qualcosa che non hai scelto per te stesso, ma che tende a fare parte di te, ogni giorno un po’ di più. Il piccolo Isac nacque in una torrida giornata d’estate, una di quelle spiazzanti e devastanti, una di quelle che richiedono tutta la forza del mondo per sopravvivere, ma pare che, al suo cuore, non importasse gran che. Aveva sviluppato una mortale malformazione cardiaca che, a detta dei medici, gli avrebbe concesso non più di cinque anni di vita. Annah e Michael, i suoi genitori, non riuscirono a sopportare la terribile notizia, non capivano come il Signore, avesse mandato proprio a loro, una tale prova, una prova di cui sentivano di non essere all’altezza. Avevano sempre desiderato avere un figlio, ma dopo numerosi tentavi, nessuna speranza lasciava intravedere loro la possibilità di questa gioia, fino a quando, un giorno, quella gioia arrivò e loro si sentirono estremamente riconoscenti per quel dono. Il fatto è che, non si sarebbero mai aspettati quei problemi, volevano avere qualcosa di semplice per una volta nella vita e così si convinsero che, quello doveva essere la loro punizione per non aver accettato la volontà di Dio, nel non volergli dare prima un figlio.
Erano particolarmente credenti e avevano così tanto pregato affinchè Annah restasse incinta, da aver perso quasi le speranze. Quando seppero del problema di Isac, fu come se tutto gli crollasse nuovamente addosso, fu un rifiuto totale, non riuscirono neppure a guardarlo, era il loro più grande fallimento, qualcosa a cui non avrebbero potuto mai rimediare. Così si convinsero e il giorno dopo che, mamma e figlio furono dimessi dall’ospedale, i giovani si recarono in cerca di confronto e di approvazione dai loro migliori amici. Rita e George erano sposati da poco più di tre anni e avevano una bambina particolarmente vivace di quasi due anni, Emily, qualcosa che aveva sconvolto piacevolmente le loro vite. Quando li videro davanti la loro porta di casa a quell’ora di mattina, non si sarebbero mai neppure potuti immaginare una simile richiesta. Rita sapeva quanto forte fosse stato il desiderio di Annah di diventare madre e trovava folle rinunciare ad un tale miracolo per repulsione. Isac era così piccolo, sembrava doversi spezzare ad ogni folata di vento, ma si fece subito largo nei loro cuori e lei non capiva davvero come, non potessero apprezzare una simile benedizione. Si sedettero in soggiorno a discutere sul futuro di quel bambino, ma nessuno riusciva a prendere una reale decisione. Annah spiegò le loro ragioni, anche se a Rita, nessuna ragione, sembrava sufficiente a giustificare un simile rifiuto, una simile condanna, un simile errore. George e Rita si presero qualche giorno per prendere una decisione, ma in realtà fu la decisione a prendere loro, i due amici erano stati abbastanza chiari: non avrebbero comunque tenuto il bambino, gli si sarebbe spezzato il cuore a vederlo morire giorno dopo giorno, lo avrebbero affidato ad un orfanotrofio o peggio, quindi la scelta più umana da fare era solo ed esclusivamente una. Dal giorno seguente Isac entrò a far parte della loro famiglia, sopravvivendo e lottando molto più a lungo di quanto chiunque si sarebbe mai aspettato. Non ci volle molto a farlo entrare nella propria vita e a ritagliare un angolo grosso del loro amore per lui. Era una bambino piacevole, pacato, tutto il contrario di quella peste di Emily, era come se si compensassero, come se riempissero a sufficienza quella casa con tutte le loro risate e i loro giochi. Isac crebbe forte e anche se il suo cuore non accennava a migliorare, neppure si decideva a peggiorare, era come se continuasse a vivere in attesa di qualcosa che avrebbe dato significato a quei battiti poco regolari, ma costanti.
Isac ed Emily crearono un legame speciale, molto più simile ad un’amicizia di sangue, lei si prendeva cura di suo fratello, proteggendolo dalle maldicenze e dalla cattiveria della gente che, non si curava minimamente di offenderlo, sottolineando il fatto che, i due, non si assomigliassero affatto. Emily assistette continuamente a scene di bambini che incoraggiavano la loro diversità e tutte le volte Isac finiva col piangere, senza sapere bene cosa rispondere a tali accuse. Ma in un modo che, solo i bambini, a volte conoscono, creò qualcosa di speciale per loro due. Ogni volta che qualcuno osava mettere in discussione il loro essere fratelli, lei gli appoggiava una mano sul cuore e l’altra sul suo e insieme ascoltavano lo stesso rumore. << Senti? Battono allo stesso modo, io e te siamo uguali. >> Isac finiva per asciugarsi le lacrime e abbracciare forte sua sorella, convinto che il mondo, non avrebbe mai potuto regalargli niente di più bello. Così come Isac cresceva, cresceva anche il senso di colpa e di pentimento dei suoi genitori biologici, dopo il quinto anno d’età del loro figlio, si decisero a rientrare nella sua vita, volevano vederlo crescere, ma a distanza, queste erano state le condizioni imposte da Rita e George. Non potevano sconvolgere nuovamente la sua vita, così vennero presentati al piccolo Isac, sotto forma di amici di famiglia lontani che, tornavano in città per trascorrere le vacanze con loro. Il bambino, ignaro di tutto, continuava la sua vita, circondato da due famiglie che sembravano davvero volergli un mondo di bene, ma che continuavano a tenerlo lontano della verità. La cena di Natale successiva al suo sedicesimo compleanno, Isac venne accidentalmente a conoscenza di tutta la storia. << Rita, io non ce la faccio più, cerca di capirmi, sono sua madre e lo vedo tre volte l’anno, non è una cosa accettabile, abbiamo bisogno di lui, è la nostra famiglia. >> << Annah tu sai quanto ti voglio bene e sai che quello che abbiamo fatto per voi, Dio solo sa, se l’avremmo potuto fare per qualcun altro, ma ormai Isac è nostro figlio, siete voi che ce l’avete portato, eravate voi a non volerlo e mi dispiace, ma ormai la sua famiglia è questa, ora smettiamola e torniamo di là, ci stanno aspettando. >> Isac rimase immobile ad ascoltare quel frammento di conversazione, abbastanza a lungo da capire che, nessuno in quella casa aveva fatto la scelta giusta, ovvero dirgli la verità, per quanto crudele fosse. Tutto ciò che conosceva all’improvviso divenne incolore, privo di significato, fu come ricevere un asteroide in pieno petto. Il suo mondo crollò, precipitò d’un tratto nel buio più profondo, quello in cui si nascondono i pensieri più orribili, quelli più cattivi. E fu lì, fu in quell’oscurità che, Isac rimase per i successivi due anni, senza riuscire a trovare la luce, senza volerne veramente uscire.
Ma si ripromise di continuare a recitare la sua parte, nulla sembrava cambiato, anche se, dentro di lui, nulla sarebbe stato più come prima. La famiglia è una di quelle cose che non puoi scegliere, invece, l’unica cosa che avevano fatto tutte quelle persone per lui, era stato scegliere per lui, senza avere alcuna possibilità di dire cosa ne pensasse. Nessuno gli aveva mai chiesto cos’è che voleva lui davvero. Forse se l’avesse saputo, se avesse saputo prima come stavano le cose, probabilmente non avrebbe voluto avere vicino nessuno di loro, forse avrebbe dato solo ad Emily la possibilità di frequentarlo. Essere infelice non era una cosa che nessuno gli aveva chiesto di diventare, ma inevitabilmente, non fu più una scelta che poté fare da solo. La cena di Natale successiva al suo diciottesimo compleanno, Isac si alzò da tavola scusandosi, si diresse verso la cucina e prese un coltello, aspettando che il veleno paralizzante che, aveva fatto ingerire loro inconsapevolmente, facesse effetto. Voleva che restassero lucidi, tanto da sentire il dolore, ma che non potessero fare niente per reagire, per lui era esattamente quello che gli avevano fatto loro: lo avevano amato, anestetizzandolo, mentendogli per tutta la vita, quindi lasciandolo in balia della propria impotenza. Lo avevano trasformato loro in quell’essere senza sentimenti né rimpianti, avevano creato loro quel vuoto devastante che gli squarciava il petto tutte le notti, loro avevano permesso che lui diventasse una persona diversa, peggiore. Tornò in sala da pranzo e li trovò tutti e quattro con gli occhi sbarrati e in preda al panico, senza la possibilità di muovere un muscolo o di chiedere aiuto. Si avvicinò ad ognuno di loro e versando lacrime amare e sommesse, li prese uno alla volta, conficcando ripetutamente in coltello nei loro cuori, affinché sentissero quello che avevano fatto a lui. Infine si alzò e si riaccomodò al tavolo ancora imbandito di ogni prelibatezza natalizia e circondato da quei corpi esamini, terminò la sua cena in silenzio. Quando Emily, un’ora più tardi rincasò, il sangue di quei corpi dilaniati, la investì completamente e un urlo quasi la fece soffocare. Si accasciò vicino ai suoi genitori cercando un respiro o un battito di cuore, fra i singhiozzi implacabili. Quando finalmente si rese conto di Isac, non riuscì a muovere un muscolo dalla paura, capì all’istante che era stato lui a fare tutto quello e che, in maniera a dir poco rivoltante, stava terminando la sua cena con le mani piene di sangue fino ai gomiti. Gli si avventò contro come una furia, incapace di smuoverlo di un millimetro e incapace di destarlo da un coma vigile in cui sembrava essere sprofondato. Ancora in preda alla disperazione, lo vide spostare cautamente la sedia dal tavolo, alzarsi e dire: << Io ho finito, vado in camera mia. >> Appoggiata contro il muro, terrorizzata, aspettò che lui salisse meccanicamente le scale che lo separavano dalla sua stanza, infine si trascinò fino al telefono e chiamò la polizia che, non tardò ad arrivare. Lo trovarono fermo, immobile, seduto sul suo letto, fissando il vuoto, lo stesso in cui si era rifugiato in quegli anni. Emily lo vide essere trascinato prima in macchina, poi in tribunale ed infine in un ospedale psichiatrico. Era ovvio che qualcosa dentro di lui si fosse spezzato irrimediabilmente e che non era il carcere a doversene occupare.
Quante volte Emily, svegliandosi la notte, madida di sudore, aveva pregato che fosse soltanto un terribile incubo? Ormai non lo ricordava neppure più. La sua mente fissò quelle immagini tutto il giorno, per tutti i giorni, era qualcosa che nessuno avrebbe mai potuto cancellare dalla sua memoria e dal suo cuore. Provava odio, risentimento, rabbia e angoscia per suo fratello, per quello che era stato in grado di fare in modo così netto e spietato, da non lasciare spazio a nessun dubbio. Era stato orribile rendersi conto di aver vissuto in casa con una persona spaventosa e questo la condusse rapidamente ad entrare in analisi, anche se neppure tutti i soldi del mondo le avrebbero permesso di dimenticare. Passarono cinque, lunghi anni, in cui Emily non riuscì a portare avanti la sua vita, afflitta da attacchi di panico incontrollabili, sempre più dipendente da vari psicofarmaci, senza un lavoro, un affetto o una famiglia. Non era riuscita a superare tutto quello che era successo, non passò un singolo giorno in cui non ripensò a quella scena in casa sua che, si era costretta a vendere, ma che nessuno si era offerto di comprare. Così i debiti si mangiarono tutto, perfino la sua voglia di poter essere di nuovo felice. Non le era rimasto più niente, se non un fratello, rinchiuso in un ospedale psichiatrico che tutti i notiziari, chiamavano “L’assassino del cuore”, per via della modalità del massacro. Un giorno come tutti gli altri, decise di andarlo a trovare, mossa da chissà quali insane motivazioni. Si fermò davanti alla porta della sua stanza e lo guardò dal vetro. Era come se fosse rimasto in quella stanza, in casa loro, da allora. Era ancora fermo, immobile su un letto a fissare il vuoto. Si fece coraggio ed entrò, prese una sedia e si sedette davanti a lui, incapace di dire qualcosa, una qualsiasi cosa. Erano lì e lei non riuscì a capire come il suo amato fratellino, si fosse trasformato in un terribile killer. Restarono in silenzio per quindici minuti, lei continuava a fissarlo, poi come se non fosse passato neppure un istante, alzò la sua mano verso di lui e l’appoggiò contro il suo cuore, facendo lo stesso con il suo. Lui sollevò lo sguardo da quel buio pesto e la guardò versare lacrime di dolore, nere come la notte, infine Emily, con voce rotta gli disse: << Per me hanno sempre battuto allo stesso modo. >> Una confessione che valeva più di qualunque altra cosa al mondo. Isac capì che Emily aveva sempre saputo la verità e che, come gli altri, gliel’aveva tenuta nascosta e per la prima volta, lasciò che una lacrima si facesse largo tra i solchi stanchi del suo viso, giusto il tempo di vedere sua sorella prendere dalla borsa due coltelli.
<< “L’assassino del cuore”, colpisce ancora! E’ di poche ore fa la notizia dell’omicidio/suicidio di Isac Roncister e sua sorella Emily. Pare che la ragazza fosse andata a trovare suo fratello per la prima volta e che dopo quasi mezz’ora non ne fosse uscita viva. Ignare le cause di questo ennesimo efferato delitto, i due corpi sono stati ritrovati uno vicino all’altra, i due ragazzi, ancora mano nella mano e con due coltelli piantati nel cuore, sono morti da circa tre ore, l’allarme è stato dato da un’infermiera del Saint Grace Hospital. Sembrerebbe un dramma shakespeariano in cui, i due protagonisti, non trovano altra soluzione se non la morte. Quali sono le cause che hanno spinto questi due ragazzi ad un così estremo atto? Che significato ha il loro gesto? Le indagini sono ancora in corso. Dal Saint Grace è tutto, a voi la linea studio. >>
Fabiola Danese