Saras è un nome ben noto ai sardi. La società petrolifera guidata dalla famiglia Moratti è presente a Sarroch dal 1965 (anno di entrata in funzione dell'impianto) con uno dei più grandi poli petrolchimici d'Europa per il trattamento di idrocarburi. Nei suoi cinquant'anni di attività, lo stabilimento è arrivato ad occupare 800 ettari di territorio, con un notevole impatto per l'ambiente e la salute dei cittadini. La portata delle emissioni, sino a pochi anni fa, non è mai stata soggetta a regolamentazioni e numerosi incidenti e fuoriuscite anomale hanno messo in evidenza importanti problemi strutturali. Massimiliano Mazzotta, con il documentario Oil!, ha realizzato un'inchiesta per approfondire le condizioni dei cittadini e dei lavoratori di Sarroch, quotidianamente a contatto con l'impianto. Una testimonianza che la famiglia Moratti non ha gradito, ostacolando e boicottando le proiezioni. Il documentario è disponibile su Youtube (qui).
Domani la Saras presenterà uno studio per valutare l'impatto ambientale del progetto di estrazione di gas nel sottosuolo sardo. L'area interessata si estende per 44.300 ettari nella provincia di Oristano, a poca distanza da siti riconosciuti da direttive comunitarie per la tutela della biodiversità. Una minaccia che provocherebbe ingenti danni all'ecosistema e conseguenti problemi per tutta la popolazione, sia in termini economici che per la salute:
"L’economia di Arborea è basata da ormai ottant’anni sull’agricoltura e sull’allevamento di qualità. Ad Arborea hanno sede la Cooperativa Produttori Agricoli e la Cooperativa LatteArborea, che produce il 98% del latte vaccino sardo, coinvolgendo circa 200 aziende per un totale ci 30mila capi bovini. L’installazione di un pozzo per l’estrazione di idrocarburi è totalmente in contrasto con la nostra storia e la nostra economia."Il comitato civico No al Progetto Eleonora è nato nel 2011 per esprimere l'evidente incompatibilità del progetto con il territorio. Attraverso una massiccia campagna d'informazione e sensibilizzazione, il comitato ha tenuto alta l'attenzione sul progetto della Saras.
Ho voluto rivolgere qualche domanda a Paolo Piras, membro del comitato, per fare il punto della situazione:
Le istituzioni locali come si sono dimostrate nei confronti dei cittadini e delle vostre azioni?
Le istituzioni locali sono totalmente impreparate, assolutamente prive di formazione, di competenze e anche di un minimo di coraggio nell’affrontare questi temi. E il più delle volte abboccano alle solite promesse di sviluppo e posti di lavoro, puntualmente smentite dai fatti. E non lo dico perché siamo quelli del no a prescindere ma lo dico perché lo dimostra la storia della Sardegna dal ’48 ad oggi, anzi, dall’unità d’Italia ad oggi.
Noi ci siamo ritrovati in una situazione di scontro aperto all’inizio della battaglia: il sindaco e l’amministrazione erano apertamente favorevoli e noi eravamo i soliti rompiballe ambientalisti. Poi col passare del tempo la situazione è cambiata, le informazioni e le testimonianze che abbiamo portato davanti ai nostri concittadini hanno avuto il loro effetto e fortunatamente ora lavoriamo tutti uniti per bloccare questa follia, ma c’è voluto un po’ di tempo. Questo comunque non è avvenuto solo nel nostro caso ma è una situazione che si ripresenta praticamente ogni volta che nasce un comitato di cittadini che tenta di porre l’attenzione su un determinato problema che mette in discussione il rapporto salute/sviluppo. Quale sia poi questo sviluppo è tutto da vedere, perché non è detto che la visione di sviluppo che ha la Saras debba per forza coincidere con la nostra o con quella dei sardi, anzi, direi che è apertamente in contrasto.
Il problema dell'occupazione in Sardegna, a tuo avviso, viene affrontato in modo serio?
Assolutamente no, e non è una novità, semplicemente non è mai esistito un piano strutturato per creare una forma intelligente e organica di sviluppo nella nostra isola. Ora la situazione è terribile e si vive costantemente sotto ricatto, per di più siamo in periodo elettorale e si assiste a teatrini veramente scadenti, dalle promesse pubbliche di riapertura di fabbriche che non sono più competitive al solito giochetto delle clientele sottobanco. Sostanzialmente in Sardegna la logica della spartizione l’ha sempre fatta da padrona, gestita principalmente dai partiti e dai sindacati. Tot tessere uguale tot voti in cambio di tot posti di lavoro, questo è il metodo che ha dominato il mercato del lavoro fino ad oggi.
Quante possibilità ha chi nasce in questa regione di poter restare e lavorare senza doversene andare?
Attualmente pochissime, i tassi di disoccupazione giovanili se non sbaglio sono i più alti d’Europa, contemporaneamente riprende a grandi passi l’emigrazione non solo dall’interno dell’isola verso le coste ma anche oltremare. Ciò che serve fare però è cambiare prospettiva e capire che non si può dipendere né dalle promesse elettorali del capo coalizione di turno né tantomeno dall’investimento promesso dall’imprenditore in giacca e cravatta – che nel 90% dei casi investe grazie a finanziamenti statali. Le cose cambiano costruendole concretamente nel posto in cui ti trovi, creando nuove reti e forme di collaborazione con le persone, non aspettando un messia arrivato da chissà dove.
Cosa ne pensi dei progetti per favorire l'impiego di fonti di energia alternativa?
Penso sia difficile far passare un messaggio che vuole mettere in cima alle priorità la salute delle persone e di un territorio. Paradossalmente il settore delle energie alternative è in forte sviluppo in Sardegna, ma questo non deve trarci in inganno. Questo è un settore in cui gli speculatori sono sempre in prima fila per via dei contributi statali, non passa giorno in cui non spunti fuori una richiesta per un nuovo campo eolico, una centrale a biomasse, una parco termodinamico. Il problema in questi casi non è essere contrari all’energia pulita, chi sarebbe così stupido da essere contrario all’eolico? Il problema è la gestione di questo tipo di progetti. E dunque le domande sono: da dove vengono i soldi per gli investimenti? A quanto ammontano i finanziamenti pubblici? Quanto terreno viene consumato? Quanta energia viene prodotta? A che prezzo viene rivenduta questa energia ai comuni e ai cittadini? In poche parole: chi ci guadagna alla fine dei conti da questa corsa alle energie rinnovabili? Se le energie rinnovabili devono essere uno strumento per migliorare l’impatto dell’uomo sull’ambiente e la qualità della nostra vita ben vengano, se invece vengono sfruttate solo come fonte di investimento fregandosene altamente del risparmio economico che possono portare alle comunità bè, a quel punto i parchi fotovoltaici ce li costruiamo noi sui tetti ed evitiamo di vendere i terreni agricoli per impiantarci sopra i pannelli.
La Saras non molla, domani presenterà i suoi studi d'impatto ambientale. Come si muoverà il comitato?
Considerando che un anno e mezzo fa questa eventualità non era nemmeno prevista - se non fosse stato per il comitato ora la trivella sarebbe già attiva senza alcuna VIA - posso dirti: "attendiamo".
In ogni caso, non demordiamo. Entro i prossimi 60 giorni presenteremo il nostro controstudio per chiedere la bocciatura.
Allego il trailer del video IO DICO NO! ed un appello della scrittrice Michela Murgia.
Alessio MacFlynn