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Ho visto di nuovo che le razze non esistono. Ho visto il ragazzino ebreo, a Tolosa, con la kippà, che piange i bambini uccisi, appoggiato al petto di un uomo che, a capo chino, gli tiene delicatamente la faccia tra le mani. Un braccio di qualcun altro è posato sulla spalla del ragazzo. Si sente il suo pianto, il singhiozzo che lo scuote. Ha l'età millenaria del suo popolo. Ho visto in lui il popolo immenso delle vittime, da tutte le tribù della terra.
Ecco perché le razze non esistono: perché il pianto e il riso sono uguali in tutte le lingue e le culture; perché il dolore e la gioia, coi motivi più diversi, sono uguali in tutti i petti umani, e lo capiscono anche gli occhi di un cane che ci guarda. La vita è comune. Chi uccide lo fa perché è morto: qualche idea morta lo ha avvelenato. Dovremo riportarlo in vita, con tutta la necessaria fatica. Il "non uccidere" è il felice comandamento di vivere. E' uccidere anche fabbricare armi di distruzione e di dominio, perché la vita è unica, non è divisa in razze, né biologiche né spirituali.
Nessuna religione ha il monopolio della religione. Nessuna verità è tutta la verità. Nessun popolo, nessuna cultura è l'umanità, e non esiste primato né superiorità tra gli umani che cercano umanità. Le razze e le barriere culturali sono come un centimetro di statura, o il colore del vestito. Sotto, dentro il vestito c'è sempre un essere umano, aperto o chiuso agli umani.
Solo questa è la differenza, questa sì, questa è il problema. Ogni vittima ce lo grida di nuovo: sei umanità aperta o umanità chiusa? Sei armato o pacifico? Sei vivo o sei morto?
da una mail di Enrtico Peyretti
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