L’ultimo romanzo di Carlo Santi, “I lupi di Palermo”, ha per protagonista…
Matteo Alfonsi
Già interprete di “Delitti al castello”, è specializzato in “psicologia criminale … a Quantico, presso la famosa e apprezzata scuola dell’FBI” e si dichiara “pronto al nuovo incarico, alla nuova vita, a una nuova ed esaltante esperienza”.
Segnato da una tragica vicenda familiare (la morte del fratello: “Era un drogato ed è morto di overdose…”), giunge a Palermo per assumere un ruolo di primo piano nell’antimafia, ma da “pivello” (“Pivello, guarda che sei tu quello che comanda qui!”).
Neppure il tempo di arrivare a destinazione e già viene chiamato alla prima prova: “Abbiamo ricevuto una segnalazione … un pericoloso latitante che cerchiamo da mesi sembra si sia rifugiato in una masseria abbandonata in piena campagna”.
Nella prima fase del suo incarico il commissario Alfonsi deve affrontare, anche sul piano psicologico, una “prima volta” del tutto personale.
“Mi viene in mente solo ora che io non ho mai visto un morto ammazzato di fresco”
“La prima volta che uccido un uomo, non provo nulla di più di un leggero fastidio, nient’altro”.
E la affronta con un monito: “Uccidere per non essere ucciso. Uccidere affinché i miei colleghi non siano uccisi.”
In tutto questo, però, non è solo. Perché ha il suo branco di riferimento!
I lupi
Interessante e d’effetto la caratterizzazione dell’antimafia come branco di lupi: “nel pieno dell’azione lavorano in simbiosi, movimenti studiati, sinuosi, assolutamente silenziosi”.
E ancora: “Seguiamo le tracce come delle belve feroci assetate di sangue e di carne fino a colpire duro, quando l’avversario nemmeno se l’aspetta”.
Perché il lupo è animale che si presta molto bene alla metafora: “sempre e ovunque, ci si deve sincronizzare, muovere in branco, proprio come lupi”.
Anche nei momenti di difficoltà: “Ora prende il sopravvento l’istinto da lupo, non quello che si prodiga nella caccia, bensì quello braccato”.
O quando è necessario reagire prontamente: “Per questo abbiamo bisogno di un nuovo capobranco”.
L’avversario
Temibilissimo, insidioso, abbiamo imparato a conoscerlo – nostro malgrado – attraverso fatti di cronaca tragici e sanguinosi: “La Mafia fa sistema, crea una mentalità … garantisce favori, lavoro, anche crescita …”
Con i suoi tristissimi personaggi di spicco: “Carrisi è chiamato la Bestia per via della sua propensione agli omicidi violenti.”
“Chi, se non il Boia, poteva ottenere il diritto sacrosanto di uccidere Aziz, il mandante dell’omicidio del suo amato figlio?”
Organizzata in mandamenti, la criminalità intende opporsi alle nuove norme antimafia e non esita a emettere una sentenza sommaria: “I tre sono i responsabili di aver fatto approvare al Parlamento la famosa legge contro i crimini di mafia e, per tale ragione, erano stati condannati a morte”.
Per raggiungere l’infame obiettivo, la mafia si serve di tutti i mezzi di cui dispone: “Hanno unito le risorse economiche di tutte le famiglie per quel carico eccezionale”. Nella consapevolezza che “lo stato sta subendo un ricatto epico…”, mentre “la Cupola oggi è governata da un sol capo, talmente forte che è riuscito a riunire tutte le famiglie siciliane, e anche quelle americane”.
Attraverso faide, conflitti a fuoco, attentati che alimentano la strategia del terrore, Carlo Santi conduce il lettore a ripercorrere – romanzandoli – gli orrori degli anni novanta: attraverso percorsi ove gli eroi dell’antimafia sanno interpretare il ruolo di hacker nei circuiti insidiosi della finanza internazionale, di atleti di free climbing, di oppositori dei servizi segreti.
Lo stile è sanguigno, adatto a riprodurre – attraverso le interiezioni della lingua parlata – nervosismi, tensioni e crudezza di situazioni estreme nelle quali la posta è alta, molto alta: la sopravvivenza non soltanto dell’individuo, ma di una collettività intera.
Bruno Elpis (Link articolo originale)