20 LUGLIO – Ecco che si apre di fronte all’Italia il processo di privatizzazione del demanio pubblico. Il Ministro dell’Economia Grilli lo ha ribadito più volte. Questa misura, secondo l’economista bocconiano, è necessaria per poter diminuire il debito pubblico, derivante dalla partecipazioni dello Stato in molte società nazionali. Il ministro ha elencato chiaramente tutto quanto è in programma, soffermandosi sul ruolo che hanno i comuni e le regioni nella gestione di varie imprese. Il patrimonio dello Stato vale 300 miliardi di euro, mentre quello delle regioni si aggira intorno ai 350 miliardi. L’intenzione del governo è quella di procedere con singoli pacchetti da 10-15 miliardi l’anno da collocare sul mercato e vendere al miglior offerente.
Questo riguarderà le imprese delle Regioni e dei Comuni e ovviamente gli immobili dello Stato: caserme, uffici, palazzi, musei. Il ministro ha già incontrato alcune banche d’affari, come i giapponesi di Nomura. Queste operazioni vorrebbero quindi aumentare le entrate statali e sono senza dubbio un tassello fondamentale per recuperare liquidità. Il primo passo consiste nella cessione di buona parte delle partecipazioni in Fintecna, Sace e Simest alla Cassa Depositi e Prestiti; questa operazione dovrebbe fruttare circa 10 miliardi. È già pronta una white list dove sono indicati 13000 immobili che si avviano verso il mercato. Lo scopo è quello di ridurre il debito non soltanto dello Stato, ma anche di Regioni e Comuni.
Un altro punto importante sono le imprese che gestiscono servizi pubblici, come acqua, elettricità ed energia, imprese che sono però spesso in perdita, soprattutto nel Mezzogiorno. Queste società sono circa 4800, ma va ricordato che circa 3000 svolgono servizi una volta interni all’amministrazione pubblica, ma oggi esternizzati, rendendole così esterne al piano di privatizzazione. I servizi pubblici (soprattutto quelli energetici) sembrano invece essere al centro del mirino. Lo stesso Ministro Grilli ha però più volte messo in guardia, ricordando, insieme alla Corte dei Conti, che l’operazione di privatizzazione risulterà molto più complessa e difficile di quanto possa apparire a livello teorico. “Non ci sono più gli asset vendibili dello Stato e degli enti pubblici, come avveniva vent’anni fa”, ha detto l’economista milanese.
E ha aggiunto che c’è “un patrimonio immobiliare di difficile valorizzazione, come insegnano le esperienze non felici di Scip 1 e Scip 2 (società create per vendere o cartolarizzare le proprietà degli enti), molte attività sparse a livello locale”. Tuttavia, appare chiaro che, almeno nei prossimi anni, vi sarà un tentativo di privatizzare quei servizi e quegli enti che sono fino ad oggi stati per definizione pubblici. Indicare i possibili effetti è difficile, ma certamente si può tentare uno sguardo audace. Se si considera che i servizi e gli immobili dello Stato saranno privatizzati, bisogna ricordare che si assisterà ad un possibile taglio degli esuberi, visto che nel settore pubblico ve ne sono molti. Tuttavia, se si pensa che alcuni servizi importanti quali quelli energetici sono sotto il monopolio dello stato, si può immaginare che, se questo monopolio verrà meno, vi sarà un decisivo cambiamento dei prezzi dei servizi.
La concorrenza è forse il fine di queste operazioni (lo stesso Grilli ha dichiarato di avere un’impostazione economica liberale). Ma sorge spontanea la domanda: cosa avverrà? Il rischio è che si passi da un monopolio pubblico a uno privato, il che sarebbe naturalmente un danno indescrivibile. Inoltre, cedere i nostri immobili ad acquirenti stranieri significherebbe essere in parte colonizzati. Forse stiamo solo cercando di cambiare padrone visto che, come si può immaginare, chi detiene il nostro debito pubblico controlla il nostro Paese. Ma se consideriamo che ora stiamo svendendo, con l’acqua alla gola, il nostro patrimonio immobiliare, considerando l’importanza che questo patrimonio ha nella finanza pubblica, non sembra che si aprano orizzonti migliori. La privatizzazione dei servizi è possibile e positiva soltanto se l’autorità garante della concorrenza vigilerà attentamente su quanto avverrà.
C’è poi un aspetto particolarmente interessante di questa manovra, vale a dire il fatto che la vendita di alcune società del patrimonio pubblico alla Cassa Depositi e Prestiti sembra effettivamente un semplice passaggio di proprietà interno allo stato, piuttosto che una vendita vera e propria. Sorge quindi spontaneo il dubbio che tale operazione altro non sia che un modo per ottenere liquidità nell’immediato. E un’eventuale conferma in questo senso, che non è stata tuttavia data, porterebbe la situazione ad una gravità ancora maggiore. L’unica speranza è che questa operazione di privatizzazione possa alleggerire la pressione fiscale, così da permettere agli italiani di far ripartire il mercato interno, ora decisamente stagnante. Il recupero di liquidità volto al solo pagamento del debito è infatti assurdo, fine a se stesso, visto che l’economia può ripartire soltanto se il denaro pubblico viene investito in attività.
Enrico Cipriani