Sulle riviste letterarie, che le prof a scuola hanno trattato più o meno velocemente – e qui è parsa la loro “nobilitade” – si sono fatti le ossa scrittori che ora rientrano stabilmente e trionfalmente nei programmi di italiano dovunque si studi letteratura. In qualche modo però le riviste sono state una contraddizione in termini, in quanto la dimensione cartacea (quando non fossero in volume) le rendeva leggere fisicamente e monetariamente. Dunque erano accessibili a molte più persone di quanto non lo fossero i libri – comunque più costosi e più difficilmente reperibili. Viste e “riviste” più volte, avevano e hanno la vocazione a una rilettura e a una diffusione ampia. O più ampia. Eppure erano, e forse sono ancora, per pochi
Sì, lo so che siamo nell'era di Internet, e voi mi state leggendo su Internet, ma seguitemi ancora un po'. Nel Settecento e nell'Ottocento quattro gatti di intellettuali discettavano più o meno allegramente sui massimi sistemi. E gli altri, quell'entità vissuta dai borghesi come un mostro pericoloso: il popolo (il Moby Dick di Melville ne era forse l'allegoria), si arrabattavano fra orari di lavoro proibitivi e la necessità di restare vivi nella moderna società industriale, mettendo insieme il pranzo con la cena. Quando andava benissimo. Il mondo era molto ben diviso all'epoca. Quelli che avevano la capacità, il tempo e la voglia di leggere le riviste – letterarie e non – e quelli che semplicemente non ce l'avevano. Dunque quando si parla della “democraticità” e della vocazione alla diffusione delle riviste, ci si riferisce a qualcosa di molto “relativo”. Cosa subentra a fare la differenza? La scuola pubblica, l'istruzione come diritto, le lotte del liberalismo e, infine, la società di massa, che vuol dire anche omogeneizzazione degli interessi e dei modi di passare il tempo. Ah, sì forse di un'altra cosa bisogna far menzione: i parrucchieri. E i barbieri anche. Le vecchie riviste lì trovano, nelle attese, sempre nuova vita e persino su “Gente” si può trovare la pagina culturale. Sul Corriere dello Sport c'è? Dimmi che rivista leggi e ti dirò chi sei? Le sale d'aspetto dei parrucchieri, e anche quelle dei medici, sono davvero democratiche. Questo cambia le cose? Sì e no.
Allora. Esistono riviste letterarie di più o meno antica tradizione. Sono il luogo dove trovano posto dibattiti, narratori esordienti e non, dove ci si pone quesiti stilistici e dove si sperimenta il nuovo. Trovano la necessaria incubazione in case editrici più o meno piccole, in enti che fanno da sponsor – Casse di risparmio e simili – e nella tenacia instancabile di singoli appassionati che tengono la redazione a casa loro (un esempio è Ellin Selae). Alcune riviste protestano e mostrano come una medaglia la loro libertà dai condizionamenti. Alcune altre sono condizionate dalle politiche delle loro case editrici. In alcuni comitati editoriali ci sono solo esponenti della popolazione accademica, in altri si parla di popolo a più non posso. Alcune, poche, sono diffuse in edicola, altre vivono con gli abbonamenti delle biblioteche, altre ancora le trovi in libreria. Alcune sono rivolte agli “scrittori” http://www.writersmagazine.it/ (le virgolette sono dovute al fatto che potete intendere il termine proprio come volete), altre non necessariamente. Alcune vogliono essere controcorrente – ma forse lo vogliono tutte – ecco ad esempio come Tropico del libro www.tropicodellibro.it parla di Atti impuri http://www.attimpuri.it/presentazioni/:
“Se qualcuno si chiedesse quali riscontri stia ottenendo Atti Impuri – dietro cui tanti grafici, redattori, traduttori, scrittori si adoperano per portare ai lettori una selva di chicche –, nel 4° numero si può leggere questo sfogo che ce ne dà un’idea: «Ignorati dalle vetrine, evitati da certa critica, scansati da chi si proclama paladino del nuovo/necessario per poi rivelarsi, ancora una volta, allineato a tutto il resto; genericamente sconosciuti ai più, noi, malgrado i più, insistiamo». Perché quello che inseguono, con i loro atti impuri, è «un mondo governato da fantasie plurime, ipotesi di felicità possibili», e a un progetto del genere occorre di certo lavorare con pazienza. Anche perché la diabolicità del perseverare sembra sposarsi perfettamente al nome della rivista”.Senza demordere, con il gusto dei professionisti dell'utopia, tanti vogliono dire la loro e costruire mondi. Poi c'è ovviamente l'insopprimibile bisogno di comunicare se stessi. Scrivere o essere pubblicato su una rivista può aprire a un autore le porte per la pubblicazione? A volte. Perché essere su una rivista letteraria fa élite e questo fa sentire in paradiso chiunque scriva. Tranne quelli che vogliono ricavarci soldi: gli ingenui/i fortunati.
Certe riviste vantano nomi di narratori italiani che i più troveranno sconosciuti e che magari in futuro staranno (chissà) sulle antologie delle superiori. Oppure no.
Alcune giudicano tutto http://www.giudiziouniversale.it/, persino l'ufficio di collocamento o l'ultimo modello di cellulare; altre si dedicano solo alla letteratura. Cinema, teatro, arti visive, e manifestazioni varie della fantasia vi trovano luogo e fucina di crescita. Magari qualcuna rimane pervicacemente sulla carta, altre sono scese a compromessi col web in soluzioni più o meno miste.Un'enciclopedia a parte in questo panorama meriterebbero i blog letterari, come quello che state leggendo, che spesso “producono” uscite sporadiche in formato di rivista. Ce ne sono diversi e interessanti e si occupano di fumetti, di cinema, di televisione, di libri – ovviamente – e di arte tout court. Sarebbe interessante tracciare il profilo del lettore di questi prodotti editoriali. Di certo, parlando di chi li cura, il web è democratico perché consente l'espressione di persone che hanno parecchio da dire e che con difficoltà riuscirebbero a farsi notare nella massa che guarda speranzosa all'olimpo dell'editoria tradizionale su carta. Ma il lettore? Non saremo noi i lettori di noi stessi? Le riviste, grazie al loro sguardo curioso e riflessivo sul mondo della cultura presente e passato, sono un melting pot di elaborazioni e tagli originali. Si mette la mano nel calderone e si tira fuori qualcosa: un tranche de vie seppellito dalla dimenticanza. Un fotografo dei primi del Novecento, un libro prezioso, prima confuso nei trilioni di uscite editoriali, un disegnatore della Catalogna, un filosofo buddista, un racconto inedito.
L'originalità dei contenuti e la grafica avvertita fanno la differenza. La passione e la soddisfazione per i risultati in certi casi sono i soli risarcimenti per la fatica. E questo indifferentemente dal grado di professionalità. C'è Players, ci sono i magazine di siti e lit blog come Speechless (la nostra figliola), ci sono Watt, Knife, Flanerì, Cadillac, Granta e molte altre più o meno utili, più o meno ben fatte. Sono una costellazione densissima: tanti prodotti e tutti si ritagliano una fetta di lettori che trovano quello che cercano. Persino la tanto bistrattata (in Italia) letteratura di genere, Fantasy, Sci Fi, Horror et alia, quella che fa arricciare tanti nasi accademici e intellettuali, trova chi ne tratti. Grazie a Dio e al Web. Certo a volte potrebbe sorgere il dubbio che ci si trovi a leggere di scrittori che parlano di scrittori che parlano di scrittori. Illuminante il breve dialogo di Nino Fricano, di Pupi di zuccaro, che posto qui Insomma nel mondo delle riviste letterarie c'è di tutto. Il web è la loro occasione per farsi conoscere e accrescere il loro bacino di utenti. A volte, bisogna ammettere, la facilità con cui oggi la tecnologia consente di creare una rivista on line produce l'uscita di prodotti che qualitativamente lasciano a desiderare. Di fatto ci sono riviste e riviste, ma. C'è un ma: ci sono gradi di approfondimento diversi, a seconda delle risorse umane a disposizione o degli obiettivi che ci si prefigge, e gradi di perfezionismo estetico diversi. Forma e contenuto sono modulate a secondo delle possibilità e delle scelte. Il "libero mercato", cioè la libertà di scelta, la possibilità di venire a conoscenza delle notizie in modo capillare, consente agli utenti di prediligere tagli, stile e contenuti diversi. Ma sostanzialmente tutti possono trovare quello che cercano, con il livello che cercano. Poi chi fa il prodotto migliore ottiene maggiori consensi anche a seconda della visibilità. L'aumento esponenziale di questi prodotti mette alla prova i lettori, sta a loro riconoscere la professionalità, quando la incontrano. E la libertà di critica dovrebbe cresce in ugual misura, in regime di concorrenza. Chi le riviste le crea può dunque desiderare di migliorare o autocompiacersi dei risultati: scelte, sempre scelte. Insomma, le riviste sono per pochi? In generale, ancora, sì. Vi troverete l'ultima recensione su Cinquanta sfumature di grigio? Quasi di certo, e fortunatamente, no. Sono popolari? Ni. Ne sentiremo parlare ancora? Credo proprio di sì. Possono competere con Magazine tuttologi ed onnivori? O con le riviste che si comprano in edicola? Forse ancora no. Eppure molte edicole stanno fallendo e gli "ignoranti" delle TIC (communication and information technology), anche quelli che resistono volutamente, prima o poi finiranno nelle riserve indiane (o nelle case di riposo). Eppure qualcosa rimarrà uguale a mio parere: prodotti culturali (ad ampio spettro) come questi potranno essere trovati da chi li cerca. Che sia una biblioteca polverosa, una piccola libreria di nicchia, una scintillante Feltrinelli, uno dei meandri del web: ognuno potrà trovare quel che cerca. L'importante è che si cerchi. Per far nascere sempre di più questi “bisogni” – convinti che sia un'impresa sacrosanta – possiamo far altro se non continuare a scrivere? E la democrazia del mondo della comunicazione non è anche questo? A voi l'ardua sentenza.