La cosa più realistica l’ha detta il senatore del Movimento 5 Stelle Roberto Cotti al termine del comizio di Capo Frasca: il Governo italiano non ha alcuna intenzione di rinunciare alle servitù militari in Sardegna. La proposta della Difesa di restituire 7 mila dei circa 25 mila ettari attualmente interdetti ai civili, è solo un modo per sbolognare piccole parti di territorio sardo che non servono ai militari, mantenendo intatto il sistema. Un sistema “illegale”, ha spiegato Mariella Cao, leader storica del comitato Gettiamo Le Basi che per anni si è battuto da solo contro le basi militari: la legge italiana prevede infatti che le servitù militari siano equamente suddivise tra tutte le regioni, norma di legge che poco si concilia con il 70 per cento di gravami a carico della terra sarda. Poco prima, i rappresentanti dei partiti, movimenti e associazioni indipendentisti e pacifisti avevano sgranato gli occhi, vedendo dal palco la grande folla di cittadini arrivati da tutta la Sardegna a Capo Frasca, cosa inusuale per le manifestazioni pacifiste e indipendentiste.
La manifestazione contro le servitù
Tra la folla, seminascosti, molti rappresentanti dei partiti di centrosinistra. Forse anche chi protesta quando è in Sardegna, ma a Roma non fa nulla per contrastare il suo partito appoggiando senza fiatare i disegni della Difesa e della NATO sulla nostra regione.
Eppure molti, già durante gli interventi di sabato pomeriggio, si chiedevano cosa sarebbe successo dopo la grande manifestazione di Capo Frasca, fortemente sostenuta dal quotidiano cagliaritano L’Unione Sarda che l’ha ribattezzata “No servitù” e ha fornito anche le bandiere azzurre ai partecipanti.
La risposta, scontata, è arrivata pochi giorni dopo, per bocca del sottosegretario alla Difesa Domenico Rossi, che parlando a Radio Anch’io (neanche in una sede istituzionale) ha annunciato un’altra imminente visita del ministro Roberta Pinotti e ha ribadito: i poligoni sardi non si toccano. Magari si discuterà di un ridimensionamento e ci sarà qualche accorgimento per tutelare la sicurezza del personale e degli abitanti delle zone vicine alle basi durante le esercitazioni (l’unico risultato tangibile, annunciato ieri dalla Regione con un comunicato stampa, è che sarà esteso anche ai poligoni il Servizio regionale antincendi: è già qualcosa). L’Italia – ha spiegato Rossi – deve muoversi «all’interno di alleanze internazionali, specie in un momento che vede le necessità maggiori di difesa con le situazioni che vanno dall’Ucraina al Medio Oriente: occorre prendere atto che questo Paese ha bisogno di forze armate addestrate».
Nulla di nuovo. L’aveva detto Barack Obama a Matteo Renzi lo scorso marzo, quando il premier italiano nicchiava sull’acquisto degli F35, lo dice oggi la Difesa italiana al presidente sardo Francesco Pigliaru, che recalcitra nel firmare il protocollo d’intesa sulle servitù militari: ci sono accordi internazionali da rispettare. L’Italia ha bisogno di forze armate addestrate e questi addestramenti devono essere fatti in Sardegna: Quirra, Teulada (dove ci sono già i finti villaggi, uno mussulmano e uno balcanico), Capo Frasca. Non ci sono manifestazioni che tengano: nel caso in cui la situazione internazionale precipiti, insomma, c’è la Sardegna.
Ma veramente sabato scorso tutta la Sardegna ha detto no alle servitù militari o è la solita esagerazione dei giornalisti? Le tante persone che hanno dato vita alla manifestazione di Capo Frasca rappresentano davvero tutta la nostra isola?
La verità è che non tutta la Sardegna sabato scorso ha detto no alle servitù militari. Lo dimostrano i cartelli in cui gli abitanti del posto hanno manifestato la volontà di opporsi categoricamente alla chiusura del poligono di Capo Frasca. Lo racconta la stessa Unione Sarda di domenica, non più di due pagine dopo i resoconti della manifestazione, spiegando che la paventata chiusura della base di Decimomannu sta letteralmente terrorizzando la popolazione: “Se chiude la base sarà fame“, diceva il titolo del pezzo.
La stessa reazione, se ben si ricorda, era avvenuta anche a Perdasdefogu, dove la popolazione e gli amministratori hanno a lungo cercato di occultare le cose poco chiare avvenute nel poligono di Quirra.
Molti sardi sono terrorizzati dal fatto che i poligoni chiudano perché per anni hanno constatato la cronica incapacità delle istituzioni sarde di programmare, riconvertire e rivitalizzare l’economia delle zone rimaste nelle mani i militari, come è avvenuto alla Maddalena dopo la partenza degli americani. E danno parecchia importanza al fatto, seppure minimo, che i militari di stanza nei poligoni e quelli che vengono in Sardegna durante le esercitazioni muovono un po’ l’economia perché devono andare a mangiare e comprarsi vestiti e roba varia. E per popolazioni locali stremate dalla crisi, come si vede, non è una cosa di poco conto.
Non risponde al vero che la Sardegna ha detto no alle servitù militari, infine, perché c’è una grossa parte della politica e dell’opinione pubblica sarda che sabato a Capo Frasca non c’è andata perché ha un’idea diametralmente opposta sulla presenza militare nella nostra isola. Ed è una parte con cui, volenti o nolenti, si deve necessariamente fare i conti (e che, detto tra parentesi, dimostra forse più coerenza di chi a Roma asseconda le politiche militariste del Governo e poi in Sardegna manifesta contro le basi militari).
Le servitù della Sardegna
La manifestazione di sabato, sia che ci fossero i 5mila partecipanti contati dai media sia che ce ne fossero un po’ di meno, ha dimostrato che una parte della Sardegna si è stancata di una politica che non difende i diritti di un’isola perennemente colonizzata. Questo è già un inizio.
Ma il problema delle servitù militari è troppo complesso per essere risolto con una manifestazione, ancorché partecipata e appoggiata dalla stampa. Nè può essere affrontato con degli irrealistici diritti di veto in capo al Consiglio regionale, visto che i poligoni, essendo beni del demanio militare, sono (purtroppo) di proprietà esclusiva della Difesa (lo ha detto chiaramente l’ex sottosegretario Gioacchino Alfano rispondendo alla Camere ad una interrogazione del deputato di Sel Michele Piras).
Può essere affrontato soltanto da una politica seria e autorevole in grado di intercettare la volontà popolare, mediare gli interessi dei sardi e rivendicarli con forza a Roma. Una politica che abbia forza contrattuale e sia capace di tutelare le popolazioni interessate dalle servitù imponendo allo Stato prima di tutto di stoppare le esercitazioni e avviare le bonifiche (le ultime notizie dicono che in tre anni Teulada sarà bonificata, ma l’attività è stata praticamente imposta dalla Procura di Cagliari che sta indagando su alcuni casi di tumori sospetti avvenuti nel poligono) e poi di risarcire congruamente i disagi subiti dalle popolazioni (sotto questo aspetto la costituzione della Regione come parte civile nel processo per Quirra è un segno sicuramente positivo). Ma anche una politica che sia in grado, quando ne ha la possibilità, di progettare e riconvertire le zone recuperate dai militari, sperando siano il più vaste possibile.
Le parole del sottosegretario Rossi, che seguono con assoluta coerenza quelle del suo predecessore Gioacchino Alfano (vedi questo post) e dell’ex ministro della Difesa Mauro, fanno capire che lo Stato non è disposto a mollare i suoi possedimenti in Sardegna, se non qualche briciola.
Il grosso problema, però, è che le servitù della Sardegna non sono soltanto militari. Esiste una sudditanza politica ed economica nei confronti dei grandi partiti e delle lobby che muovono in Sardegna tutti i burattini. Servitù politiche, economiche e culturali che stanno avviluppando la nostra regione e succhiando tutte le energie migliori. Non si possono contestare le basi militari e nello stesso tempo appoggiare tranquillamente i ricchi emiri del Qatar che si stanno mangiando tutto il nord Sardegna e probabilmente inghiottiranno anche la compagnia aerea Meridiana. Non si può pretendere di combattere le servitù militari e nello stesso tempo permettere alle grandi lobby di monopolizzare i mari della Sardegna, affossando gli imprenditori sardi che cercano di attrarre turisti e di allargare il mercato dei trasporti marittimi da e per la Sardegna.
Ma c’è una servitù che è peggiore di tutte le altre: è la servitù mentale che tanti sardi hanno verso il potere, la sottomissione alla raccomandazione e al favore che affossano ogni meritocrazia. L’asservimento alla politica degli arraffoni che fanno i loro interessi fregandosene della comunità. La servitù di chi offre la sua dignità in cambio di un posto importante e si autocondanna ad essere il servo sciocco di un sistema marcio e corrotto che quei favori glieli farà pagare con gli interessi. La servitù di chi è succube dei signorotti che, quasi fossimo ancora nel Medio Evo, spadroneggiano nei territori della Sardegna promettendo a destra e sinistra favori e raccomandazioni.
Se la lotta per la libertà e per l’autodeterminazione della Sardegna continuerà ad essere parcellizzata e priva di una visione organica che mette a sistema ogni singolo aspetto della nostra regione, non avremo alcuna forza contrattuale con lo Stato e continueremo ad essere servi dei poteri forti che condizionano la nostra vita. E se non sarà vinta la grande battaglia contro la servitù della corruzione e della raccomandazione saremo sempre un popolo diviso. Saremo impegnati a fregarci l’uno con l’altro, in balia di chi arriva da oltremare per colonizzarci tutti. Se non si risolveranno questi problemi e si ragionerà come un vero popolo unito e leale il problema delle servitù militari presto scomparirà dai titoli dei giornali sardi, come peraltro sta già succedendo, e la manifestazione popolare di sabato scorso a Capo Frasca sarà soltanto un ricordo sbiadito.