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Le sorprese del mare

Da Pietroinvernizzi
Aguglie

Aguglie – immagine da Google Immagini

Ogni pescatore, quando non può pescare, vorrebbe sognare di pesca e le migliori guide nei sogni di pesca sono i libri scritti dai pescatori! “Racconti di pesca” è una raccolta di racconti brevi, massimo due o tre pagine, di storie di pesca e pescatori nel mare tra Napoli e le Eolie… reti, canna, bolentino, ma anche bombe ed esplosivi… c’è un po’ di tutto. Tra le righe sembra di vedere un mondo di tempi lontani, eppure è datato appena 1981… Storie che ci appassionano ed altre che ci indignano, ma anche consigli tecnici un po’ “vetusti” sulle attrezzature ma ancora validi su luoghi ed orari di pesche mirate. Se lo trovate su una bancarella non fatevelo scappare, o magari cercate nella rete più grande di tutte le reti da pesca, vi piacerà. Vi regaliamo due racconti a fila “rubati” alle pagine del libro: “le sorprese del mare” e “il mare si vendica”. Buona lettura!  Rock’n’Rod

Racconti nella Barca, avventure di pesca

Copertina di “Racconti nella Barca”

Racconti liberamente tratti da “Racconti nella Barca - Avventure, disavventure e consigli di pescatori napoletani”.

di Carmelo Pittari

“Compagnia Tipografica Napoletana” – 1981

LE SORPRESE DEL MARE

L’episodio che sto per riferire è stato definito « incredibile » dallo stesso protagonista il sig. Raffaele Gelone di Portici. Io, che posso garantire in assoluto sulla serietà del sig. Gelone, definisco l’episodio «eccezionale» e per questa ragione lo racconto.

II sig. Gelone, pescatore sportivo, studioso della fauna marina e delle attrezzature da pesca per le quali ha un vero hobby, possiede, tra l’altro, un’approfondita conoscenza del fondale della zona di Portici, di S. Lucia, di Posillipo e della costiera amalfitana. E’ stato appunto sul mare della famosa costiera che il mio amico ha fatto l’esperienza più straordinaria di tutta la sua lunga carriera di pescatore sportivo.

L’episodio si è verificato sulla «posta» del Capo d’Orsu, un’ottima «posta» che si raggiunge lasciando il noto capo alle spalle e uscendo sempre diritto finché, guardando di fianco a sinistra, in una piccola gola tra le colline che sovrastano la cava di Erchie, si vede tutta intera una vecchia garitta di ferro arrugginito che appare gradatamente a chi sa mantenere la barca, per tutto il tragitto, perfettamente perpendicolare al Capo d’Orso.

Era domenica, Gelone e il suo compagno di barca cominciarono subito a pescare bene, sin dalla prima «calata». GeIone, come spesso usa fare, mise in acqua una lenza «morta» (senza piombo» fatta con nailon da 120 azzurro, una girellda n. 3 e un filo di acciaio di 30 cm. saldato alla girella e ad un amo bianco, dritto del tipo che si usa per i tonnetti. Uno spigaro vivo, sapientemente innescato tra la testa e la pinna dorsale, portò rapidamente l’amo sul fondo a circa trenta metri di profondità.

Gelone, allora, tirò su una mezza bracciata e assicurò la lenza ad un grosso galleggiante di sugherò e riprese a pescare con il bolentino.

Dopo solo qualche minuto, il sugherò della lenza morta si inabissò d’un colpo e poi ricomparve e si inabissò ancora.

Non c’era dubbio: aveva abboccato un tonnetto o un pesce spada o qualche altro pesce grosso. I due amici avevano già pronti il retino e l’arpione e naturalmente avevano il « cuore in gola » per l’emozione. Gelone fu sulla lenza con uno scatto felino ma il suo entusiasmo doveva trasformarsi ben presto in una delusione: ebbe subito la sensazione di aver agganciato con il suo grosso amo un cavo di ferro o qualche altro corpo morto sul fondale. Lo disse all’amico, avrebbe voluto lasciare la lenza ma, come si sa, il pescatore spera fino all’ultimo, così i due amici cominciarono a tirare su il pesante fardello, tagliandosi le mani a sangue, decisi ormai a portare alla luce quello che avevano pescato.

Polpo disegno-giuseppe peluso

Immagine tratta dal blog di Giuseppe Peluso (google imm)

Ad un certo punto, mentre già si profilava sull’acqua un corpo scuro e largo che via via andava assumendo caratteri sempre più precisi, la preda si mosse con rabbia, uno, due, tre volte e con uno strappo secco si liberò, scomparendo nel mare, come una grossa ombra nera. Sull’amo, i nostri amici trovarono il tentacolo di un polipo gigante. Indescrivibile la loro delusione. E’ difficile, infatti, che si stacchi tutto il tentacolo a un polipo; o si perde tutto, oppure si spezza la lenza.

Forse quella bestia, quando ha cominciato a vedere la luce si è attorcigliata, in un estremo tentativo di salvezza intorno al filo di ferro e questo le ha segato il tentacolo.

Ma l’eccezionalità del racconto non è soltanto questa.

La domenica successiva, Gelone ed il suo amico sono andati a pescare sulla stessa «posta», e con loro sorpresa l’episodio si è ripetuto preciso alla stessa ora.

Solo il finale è cambiato con un autentico colpo di scena degno di un film di fantascienza: i due amici, sicuri ormai di aver «incocciato» un polipo grande come quello della settimana precedente,

hanno tirato su con la massima attenzione, senza mollare mai, nemmeno quando le mani hanno cominciato a sanguinare un’altra volta. Ed ecco l’ombra scura apparire sull’acqua e poi una grossa bestia come quella intravista otto giorni prima, un polipo enorme che comincia a muoversi paurosamente,

che con infinita perizia essi riescono a stancare ed alla fine a tirare su in barca con uno sforzo immane. E’ una «presa» meravigliosa.

Ma ecco il colpo di scena: il polipo è mutilato, gli manca un tentacolo: è incredibile ma è vero, ne ha soltanto sette e poi si vede la mutilazione; sembra una favola ma è proprio così, non ci sono dubbi, è Io stesso polipo della settimana precedente. Gelone e il suo amico, per un momento, hanno stentato a crederci, essi stessi.

 

Stromboli al tramonto-

Stromboli al tramonto-Immagine da Google

IL MARE SI VENDICA

La pittura e la pesca hanno certamente qualche potere emozionale in comune. Io l’ho scoperto parlando con Alfredo Avitabile, uno dei pittori napoletani più affermati della «penultima generazione».

Chi conosce l’artista, esuberante, sicuro, impulsivo, passionale, sa bene quanto calore egli mette nelle sue parole, quando parla della solitudine dell’uomo, del consumismo, della droga, del sesso e di tutti gli altri problemi della vita che lo appassionano, che egli analizza, seziona, ricompone e traduce poi in immagini nei suoi quadri. Ebbene, con me il pittore «della neo-figurazione» ha parlato di pesca e dei problemi attuali della pesca con la stessa intensa partecipazione e con lo stesso entusiasmo trascinante. Ha parlato del mare limpido di Capri, la sua isola preferita dove trascorre le vacanze, di «poste» favolose al largo dei Faraglioni, di sensazioni incredibili provate all’alba in mezzo al mare quando si compie quella sorta di miracoloso rapporto dell’uomo con la natura; mi ha parlato di saraghi, di ricciole e di stelle e di altri pesci che, purtroppo, diminuiscono di anno in anno per colpa dell’inquinamento, delle bombe e delle reti a strascico.

A questo proposito, mi ha raccontato la sua uscita a mare più bella, più suggestiva fatta una notte da Stromboli, durante un suo breve viaggio nelle isole Eolie. Ma, prima di iniziare il racconto, l’artista si è fatto promettere che avrei riportato l’episodio in questa rubrica come una denuncia contro tutti quelli che pescano di frodo a mare. Non gli è stato difficile avere subito la mia promessa perché conosco benissimo la gravità del problema e so come prosperano impuniti questi delinquenti del mare.

A Stromboli, Alfredo Avitabile, passeggiando un giorno sulla battigia della spiaggia di Scauri, conobbe un pescatore.

Francesco Caizzone, comandante del peschereccio « I tre fratelli ». Il Caizzone, accortosi della passione dell’artista per il mare e per la pesca, lo invitò ad uscire con il suo battello e la sua «ciurma» : quella sera alle sette dovevano andare a pescare aguglie e calamari. Alle sette il pittore era già sul peschereccio tra gli uomini dell’equipaggio che gli riservarono una cordiale accoglienza, pur continuando ad eseguire gli ultimi ordini urlati in dialetto dal comandante.

Il peschereccio si staccò puntuale dal molo. Alcuni gozzi lanciarono a bordo le funi per essere trainati al largo dove, con le loro lampare, avrebbero individuato «il passaggio» delle aguglie. La prua fu diretta verso lo stretto di Strombolicchio che, dice Avitabile «di notte appare come il profilo di un tetro castello medioevale».

Giunti in vista dello scoglio, il peschereccio si fermò e furono mollate le funi ai gozzi che accesero le lampare e cominciarono a cercare «il passaggio» delle aguglie. Il pittore, seduto sulle corde a poppa con Francesco, il comandante, gli chiese come pensava che sarebbe andata la pesca quella notte.

«Ora il mare non ci vuole più bene», rispose Francesco. E disse ancora; «Sono riuscito in queste acque a pescare fino a quaranta quintali di pesce in una sola «mollata» Ora non c’è più niente e quel poco che c’è ci costa molta molta fatica».

Intanto,  da una delle lampare giunse il segnale atteso, tutti furono ai loro posti e dopo qualche attimo cominciò la faticosa operazione della «mollata». Alla fine, nella lunga rete di trecentocinquanta metri che affonda nell’acqua  per quaranta braccia, c’erano soltanto una trentina di chili di pesce, tra aguglie e calamari. A questa «mollata» ne seguirono altre quattro.

Per altre quattro volte ancora Alfredo Avitabile vide lo sgomento e la delusione sul volto di Francesco e di tutti i suoi uomini.

«Non è il mare che non vuole bene più ai pescatori — dice infine il pittore — Sono gli uomini che Io hanno distrutto con inutili stragi di pesci piccoli, con le vandaliche pesche con le bombe, con l’inquinamento sistematico delle acque. Cosa aspettano le autorità ad intervenire energicamente? II mare si vendica».

 

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