LE STAGIONI DEL CUORE presenta... LOST&FOUND; di Anita Gambelli

Creato il 27 febbraio 2012 da Francy
Inaugura la nostra nuova rubrica LE STAGIONI DEL CUORE - RACCONTI PER UN ANNO Anita Gambelli, che ha già partecipato a Christmas in Love 2011 e che oggi ci regala LOST & FOUND,  una storia di 'seconde opportunità' in cui il destino e... lo zampino di un'amica, riavvicinano due persone che si credevano ormai perse per sempre.Mai dire mai in amore! Buona lettura.
“Buongiorno a tutti…” esordì Sara. “Buongiorno”, le fecero eco gli altri disposti a cerchio, un cerchio da cui Sara stava uscendo. “Sono lieta di comunicarvi che oggi è il mio ultimo giorno. Sono passati due anni e senza di voi non ce l’avrei mai fatta…” Il discorso di commiato durò a lungo, considerati le numerose interruzioni da parte dei presenti, i pianti, gli abbracci… d’altronde quello che Sara aveva frequentato per due anni era un gruppo di recupero per cuori infranti. Lei era stata mollata all’altare, causa crisi di panico, una situazione molto dura da digerire, aveva messo in discussione tutta se stessa e temuto di non uscirne viva. E invece eccola qua, felice, ben vestita, e con una valigia piena di progetti. Due mesi fa ricevette una lettera. Di carta, come si usava una volta. Alla vecchia maniera, alla lettera manoscritta erano allegate alcune foto. Il mittente era Anne e ricevere notizie da lei la riempì di gioia. Aveva conosciuto Anne pel di carota in Spagna, avevano condiviso l’appartamento assieme ad altre persone, ma fu con Anne, inglese di Brighton, che Sara legò in particolare. Anne la aggiornava sul suo stato, senza ricorrere a un social network lo faceva privatamente. Le foto ritraevano lei e John, lo sposo. Il futuro sposo, dato che Anne le spedì anche un invito alle sue nozze. Volo low cost. Stansted. Treno. Due treni. Nessuno passò a salutarla all’ultima stazione e a toglierle la valigia dalle mani, nemmeno il tassista, che fece fare tutto a lei. Giunse a Brighton a notte fonda. L’albergo dove Anne le aveva prenotato una stanza si affacciava sul mare, che ebbe modo di vedere soltanto il mattino seguente quando scostò la tenda. Per sentirne l’odore tirò su la finestra a ghigliottina e permise all’aria salmastra di invadere la stanza. Si preannunciava una mattinata quieta e gradevolmente calda, pur velata da una cappa grigio perla. L’orologio le confermò che si era svegliata con un netto anticipo sull’incontro con Anne. Scese a fare colazione. Così si rese conto in quale grazioso posticino l’aveva alloggiata la sua amica. A ogni passo le scale cigolavano per via del legno stagionato sotto la moquette un po’ lisa, che faceva tanto rétro. Al piano di sotto l’accolse una deliziosa stanza della colazione, tutta pizzi e merletti. Non si sarebbe meravigliata se a servirle il tè si fosse presentata Miss Marple in carne e ossa Sentirsi chiedere alle spalle se desiderava tè, caffè, o solo latte, da una voce maschile la sorprese non poco. Stava imburrando una fetta di pane e si voltò appena per rispondergli. La cortesia imponeva di alzare lo sguardo, però, e il sorriso che accompagnò la risposta si spense immediatamente non appena lo vide sbiancare quanto la tovaglia di cotone. “Michele!” il grido le si strozzò in gola. Michele dovette sedersi. Di fronte a lei. Avevano già attirato l’attenzione dei clienti, che facevano finta di nulla e avevano spalancato le orecchie ormai simili a parabole. “Che ci fai qui?” domandò lui a bassa voce, non sapendo che altro dire. “No, che ci fai tu qui!” Sara era furiosa e le veniva da piangere, aveva bisogno di strillare. “Senti… Vai fuori, io ti raggiungo tra un secondo, il tempo di dire in cucina che mi assento un momento.” Sara all’aperto non respirava. La gente passeggiava lieta sulla spiaggia, sfrecciava in bicicletta, qualcuno correva. Si chiese chi più di lei potesse stare così male in quel preciso istante, solo un moribondo a letto, non certo quelle persone, quel mondo rilassato davanti a lei. Michele uscì a raggiungerla. Sentì la porta dell’albergo sbattere, non poteva che essere lui. “Vieni, facciamo una passeggiata.” Osò prenderla sottobraccio e lei, con un pugnale infilato nel cuore, accettò. Si sentiva esausta. “Sono due anni che non ci vediamo”, cominciò Sara. “Mi sono dato alla macchia, Sara, ero pieno di vergogna fin sopra i capelli, cerca di capire.” Sara lo strattonò e lo fece fermare. “Cerca di capire? Sai che mi hai mandato in terapia per due anni?” “Stavamo insieme dalle medie, non poteva funzionare, non per sempre… Io speravo che lo avessi capito.” “E’ stata l’umiliazione più grande della mia vita, di questo ti rendi conto, spero.” Michele la guardò, col cuore in mano, era dispiaciuto, non c’erano parole se non un’espressione sinceramente accorata per farle capire quanto fosse pentito d’averla trattata in quel modo. E il silenzio che seguì la fuga, poi, neppure una riga, una telefonata, un sms, segnali di fumo, una lettera anonima. “Sono scappato qua subito, ho scritto ai miei che mi trovavo in Inghilterra e che non si dovevano dare pena di mandarmi Chi l’ha visto? che stavo bene e mi sarei fatto vivo io. – le prese le mani nelle sue Se posso fare qualcosa per farmi perdonare…” “E che vorresti fare?” domandò Sara più che altro a se stessa. “Che hai da fare a Brighton?” Sara fu decisamente stringata nel riferirgli del perché si trovasse là, ma fu sufficiente a Michele per capire che non gli restava molto tempo per iniziare a ricucire uno strappo che se il destino non gli avesse offerto quell’opportunità non avrebbe rammendato. “Non hai mangiato ancora nulla, vieni con me.” L’istinto le suggerì che poteva dargli retta, anche se Michele non meritava neanche di respirare. Prima di allora sapeva che era ancora in vita da qualche parte, di certo non immaginava di rivederlo a Brighton. Lo seguì nella sua casa, una porzione di cottage, accogliente, essenziale, per una persona. Ci viveva da solo, non aveva una ragazza, glielo disse mentre le preparava un caffèlatte e affettava un dolce confezionato che probabilmente non le sarebbe piaciuto. “Che tu ci creda o no, non ho più avuto una ragazza da allora.” Lo disse portando lo sguardo al punto da sotterrarlo sotto le piastrelle del pavimento della cucina. Si sedette ancora di fronte a lei, la guardava mangiare. “Ho fatto due anni di terapia, - gli ripeté – lo sai cosa vuol dire?” “Vorrei non essere scappato, ho sbagliato, mi sono fatto prendere dal panico, che altro posso dirti?” Che era sincero, non v’erano dubbi, non era per niente orgoglioso del suo insano comportamento. Aveva mandato all’aria un ricevimento con tutte le conseguenze del caso, in primo luogo morali. “Ma, mi chiedo, perché non ti sei più fatto sentire? Smaltito il panico, tornato lucido, se mi avessi mandato un mazzo di fiori…” “…li avresti gettati nel bidone… Ci voleva questa Anne a farci rincontrare.” “Devo andare”, disse lei, all’improvviso. Si alzò, d’impulso, lasciando la colazione e la mano di lui che aveva cercato la sua e che non doveva, non doveva toccarla. “Ti accompagno.” Michele accettò di buon grado la decisione di Sara, d’altronde si trovava su un gradino talmente in basso da non essere visibile agli occhi di Sara, che non era cambiata, era sempre bellissima e gli si contorse lo stomaco al pensiero di vederla scomparire ora che l’aveva ritrovata e aveva preso coscienza di ciò a cui aveva rinunciato. Era triste e addolorata, lui non era da meno. Era la condizione di mestizia a renderli più belli, un’immagine perfetta per una foto d’autore in bianco e nero. Michele le aprì il portone e lei fece per andarsene, poi lui provò a impedirle di lasciarlo. “Tornerai? Prima di ripartire, intendo.” Sara si voltò a guardarlo, appoggiò la mano sul suo braccio e con garbo lo abbassò consentendole di andare per la sua strada. Si era alzato il vento, era scesa la sera e Michele non si decideva ad andare a casa. Il suo turno in albergo era finito da ore e continuava a starsene su quelle scale di legno dipinte di bianco. La padrona gli aveva chiesto se voleva entrare, che ci stava a fare lì fuori a prendere freddo? Poi aveva sbuffato quando lui aveva respinto l’offerta. A una certa ora pensò che la notte prima delle nozze di Anne, Sara l’avrebbe trascorsa a casa dell’amica. La prenotazione era fissata anche per quella notte, ma era luna passata e Michele iniziò ad accusare la stanchezza. Si tenne sveglio con altre due sigarette, non toccava un goccio dal pomeriggio, poteva farcela, ma il sonno fu inesorabile e si ritrovò dapprima appoggiato con la testa contro la ringhiera di legno delle scale, poi scivolò lento sullo scalino, così l’avrebbero scambiato per un barbone. Non Sara, che lo riconobbe da lontano. Gli si avvicinò, cauta, non voleva svegliarlo, non di colpo o gli sarebbe venuto un infarto. Prese posto sullo stesso gradino e lo osservò. Somigliava al Michele che ricordava, al Michele a cui aveva voluto un mare di bene, ne era stata innamorata. A conti fatti, con onestà, dovette ammettere che fu più bruciante essere abbandonata il giorno delle nozze che essere abbandonata. Avevano trascurato i segnali di resa fino al capolinea e Michele in fondo era stato il più forte, quello dei due che aveva capito che era finita. Lo accarezzò, piano. Gli passò la mano tra i capelli, si chinò su di lui e gli lasciò un bacio sulla fronte. E come in una favola, il principe si destò. “Sara…” Sara gli fece cenno di restare in silenzio. “Ti aspettavo”, le disse cercando di tornare in posizione. Gli doleva dappertutto. “Sì, l’avevo capito.” Sorrideva, dunque. “Ma mi hai baciato sulla fronte come si fa coi bambini o me lo sono immaginato?” Si passò la mano sulla fronte per raccoglierne la traccia. “Stavi sognando”, mentì. “Già.” Michele tornò a guardare davanti a sé, senza vedere. Era buio, tuttavia la luce del portico dell’albergo bastò a illuminare i loro sentimenti, più eloquenti di mille parole. Sara tornò a Stansted per il volo di ritorno. Il matrimonio di Anne era stato divertente e molto inglese, per Sara fu uno spasso, una rivelazione, di sicuro una giornata particolare da annoverare tra le più originali. Per tutta la durata dell’evento aveva staccato la spina e si era lasciata andare alle conversazioni più disparate, ai balli, ma di tanto in tanto l’immagine e la voce di Michele erano tornate ad attraversarle la mente. Non lo trovò in aeroporto a correre verso di lei con il mazzo di fiori che stava ancora aspettando. Non era là a strisciare in ginocchio urlando disperato a chiedere di farsi perdonare. Si mise in coda al check-in. Qualcuno le bussò sulla spalla. Sara si voltò. Era un ragazzo indiano, cingalese, del Bangladesh? Con un mazzo di rose. “Per me?” gli domandò Sara, quello insisteva, sorridente. Sì, per lei. No, non doveva pagare. Tutte? Sì, omaggio. “Da parte di chi?” Il ragazzo sorridente si girò e gli indicò un uomo davanti al negozio di souvenir. La salutava. “Grazie. – disse al ragazzo e gli diede un paio di sterline, le monete che aveva in tasca Scusate”, disse poi a quelli che venivano dopo di lei. Uscì dalla fila e si diresse da Michele. “Sono i fiori che aspettavi.” “Ti sei sprecato… - lo redarguì, ma faticava a nascondere la gioia incontenibile che le esplodeva dentro – come minimo avresti dovuto comprarmi mezza Olanda.” Le prese una mano. “Posso sperare in un prossimo perdono?” Sara si limitò a guardarlo. Aveva tante cose da dirgli, ma le si erano bloccate in fondo al cuore, le si erano aggrovigliate in gola. “Il mio volo sta partendo”, gli ricordò senza sottrarsi alla stretta di mano. “Posso tornare a trovarti? O troverò un energumeno pronto a spaccarmi la faccia?” La fece sorridereSara reclinò lo sguardo e lo rialzò per infondergli speranza. “Nessun energumeno e neanche un fantino.” “Vorresti un usato sicuro? Un usato garantito da una dose di saggezza che ha capito che l’amore era soltanto andato in apnea e con un tempismo da tartaruga ha realizzato di amarti?” Uhm… sì.” Un fantastico sì, allora, meglio che all’altare… Ti piace il bouquet, adesso?” Lo trovo dozzinale, ma può andare. Michele l’attirò a sé e la strinse in un abbraccio che emozionò i frettolosi che passarono di là, che li sfiorarono o li incrociarono con rapide occhiate. Erano di nuovo innamorati e lo trasmisero al mondo intero. Lo sentirono gli altri, lo sentirono tutti, e si voltarono a guardarli.
 
CHI E' L'AUTRICE
ANITA GAMBELLI , sposata,con un figlio, un cane , un gatto e due tartarughe d'acqua, vive a  Pesaro ed è un'appassionata di lettura e scrittura. Ha partecipato con un suo racconto a Christmas in Love 2011 e collabora attivamente con il nostro blog. E' autrice di due romanzi e...uno in arrivo. I suoi libri precedenti,  Arriva il temporale e Le incantatrici sono acquistabili sul sito ilmiolibro.it . Potete incontare Anita qui sul blog e sulla sua pagina Facebook: http://www.facebook.com/profile.php?id=100002995946149

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