Chi è Simone Weil? È una filosofa francese vissuta nella prima metà del secolo scorso, morta giovanissima (per tubercolosi) all’età di 34 anni. Pur avendo una formazione filosofica, lo scrivente confessa – ripromettendosi di recuperare al più presto – di non aver mai frequentato direttamente il pensiero di questa figura assai rivelante del novecento. Partita da radici profondamente marxiste, sostenendo tenacemente le lotte operaie, Weil approdò, in un secondo momento, a una posizione fortemente mistica, sempre mossa dall’esigenza di perorare la causa degli oppressi.
Nel dibattito filosofico e politico contemporaneo, alcune sue posizioni risultano di grandissima attualità, soprattutto in riferimento alla tendenza biopolitica delle democrazie liberali occidentali, e, in particolare, alla relazione intercorrente tra i concetti di ‘persona’ e di ‘giustizia’. Il diritto dimostra di non esser più in grado di gestire le complesse tematiche del ‘corpo’, sempre più urgenti ed emergenti, proprio perché vincolato da un’obsoleta concezione dell’umanesimo, centrato ancora – per l’appunto – sul paradigma ‘disincarnato’ della ‘persona’. Senza voler approfondire questioni evidentemente complesse, si può però affermare che il contributo di Weil all’odierna riflessione sulla soggettività è determinante, nella misura in cui, in contrasto con l’opinione dominante del periodo storico in cui visse (e anche con l’attuale), seppe elaborare il concetto di ‘impersonale’, recuperando la dimensione corporea dell’individuo, coniugandola con quella razionale.
L’agilissima premessa è necessaria per introdurre l’ultimo film di Emanuela Piovano, Le stelle inquiete, in cui assistiamo al soggiorno della pensatrice francese presso il contadino-filosofo Gustave Thibon, avvenuto nel 1941 nel sud della Francia. Probabilmente Simone Weil (interpretata da Lara Guirao), come già aveva fatto presso le fabbriche francesi, voleva intraprendere un’esperienza diretta della vita agricola, rinunciando ad ogni tipo di comodità e conforto. Gustave (Fabrizio Rizzolo) e la moglie, Yvette (Isabella Tabarini), accolgono questa figura eccentrica, bislacca, e intrattengono con essa un rapporto estremamente arricchente. Thibon si rivelerà successivamente determinante perché pubblicherà L’ombra e la grazia, uno dei suoi più famosi manoscritti.
Molti hanno considerato Europa ’51 di Rossellini (che assieme a Paisà e Germania anno zero compone la celebre trilogia), interpretato da Ingrid Bergman, un omaggio del regista a Simone Weil.
Concludendo, non si può non apprezzare, nel suo complesso, questa operazione cinematografica, per il coraggio, e, soprattutto, per aver fornito la possibilità di un incontro con il pensiero della filosofa francese; comunque, per meglio rendere l’idea che ha mosso la realizzazione del film, le parole della regista – davvero appassionate – appaiono illuminanti: «Volevo fare un film semplice, arioso e profumato; un film luminoso per tempi bui, sul passaggio di una meteora, poiché Simone è stata una meteora che ha attraversato la quotidianità di una coppia ordinaria, trasformandola. Una storia d’amore in cui l’amore non è attaccamento, ma illuminazione».
Luca Biscontini