Rob Zombie si allontana dai remake (Halloween, 2007 e Halloween 2, 2009), torna a raccontare una storia “originale” dopo l’ottimo La Casa del Diavolo ( The Devil’s Reject, 2005) e lo fa con Le Streghe di Salem, in originale The Lords of Salem.
Zombie per l’occasione rispolvera i famosi processi alle streghe di Salem (Massachusetts) avvenuti intorno al 1692.
Al centro delle vicende troviamo Heidi Hawthorne, interpretata dalla moglie del regista Sheri Moon Zombie, componente femminile del trio di dj noto come Big H Radio Team, che, dopo aver ascoltato un misterioso disco inciso dal fantomatico gruppo noto come I Signori, si ritrova in una spirale di incubi e visioni demoniache legate ad una antica maledizione scagliata dalla strega Margaret Morgan sul Reverendo John Hawthorne, reo di averla bruciata viva assieme alle sue consorelle.
Con questa storia Zombie contribuisce ad aggiungere un tassello a quel filone del cinema horror che tratta il tema della venuta del figlio di Satana.
Sfortunatamente si rivela un passo falso nella sua breve filmografia.
Il motivo è presto detto.
Stilisticamente Zombie mette in scena un omaggio serio e pieno di rispetto nei confronti delle più importanti pellicole di quel cinema horror americano che verso la fine degli anni ’60 cominciava a rivoluzionare il genere.
Dalle atmosfere de L’Esorcista (1973) di William Friedkin al lento scorrere del tempo di Shining (1980) di Stanley Kubrick, passando per i vari Ken Russell (I Diavoli, 1971), Richard Donner (Il Presagio, 1976), Roman Polanski (Rosmary’s Baby, 1968), senza dimenticare le pellicole di John Carpenter.
E per riuscirci si avvale della fotografia di Brendon Trost, che riesce a catturare e trascinare ai giorni nostri la provincia americana degli anni ’70.
Una nota di merito a questo processo stilistico va al sapiente uso delle luci artificiali: dai lampioni dei viali solitari spazzati dal vento autunnale ai lampadari che sormontano l’inquietante corridoio del pianerottolo dove vive Heidi, luci bianche, fredde così intense che quasi sembrano vive e protagoniste.
Anche durante le visioni, le luci artificiali, stavolta col rosso predominante, hanno un ruolo importante: la manifestazione di insegne al neon con messaggi e simbolismi vari sembrano travolgere lo spettatore, quasi volessero imprimersi nella mente. Fino al finale, un travolgente mix di luci e colori esplosivo.
Una nota di demerito invece va al design di una delle creature: al momento delle sue tre apparizioni più che farti paura, ribrezzo od orrore, ti strappa una risata e questo spezza violentemente la tensione che andava creandosi. Questo è il primo dei punti a sfavore del film.
Mentre il secondo va ricercato nella storia in se: nulla di originale, il classico tema satanico che sfrutta il mito della “musica satanica”, citando persino Charles Manson.
Nessun degno colpo di scena, personaggi poco approfonditi: in particolare Zombie non sfrutta appieno la condizione di Heidi come ex-tossica.
Il regista si concentra talmente tanto nel disporre apparizioni, creature, capre, croci o ha filmare la sexy moglie che alla fine sembra perdere il filo della storia, per poi riprenderlo all’ultimo in malo modo.
Dando, infine, una veloce spiegazione ad un finale, altrimenti enigmatico, nei titoli di coda.
Nonostante ciò, le interpretazioni dei vari caratteristi assoldati dal regista, Bruce Davison, Patricia Quinn, Dee Wallace, Meg Foster, Lisa Marie, Ken Foree e il sempre presente Sid Haig non ne soffrono, anzi dimostrano l’impegno richiesto.
Ottima la colonna sonora composta dal chitarrista John 5, che compare anche nei panni di Halvard Il Guardiano. Mentre tra le canzoni spicca All Tomorrow’s Parties dei The Velvet Underground.
Come già scritto, nemmeno cast e colonna sonora riescono ad evitare il passo falso di Zombie.
Peccato, sarebbe potuto essere il miglior horror del 2013.
Written by Antonio Petti