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Le tempeste “a sorpresa”

Creato il 04 novembre 2011 da Albertocapece

Le tempeste “a sorpresa”Anna Lombroso per il Simplicissimus

Il 7 ed 8 ottobre 1970 a Genova i torrenti Polcevera Leira e Bisagno, straripano in più punti. Piogge molto intense accumulano circa 900 mm d’acqua in 24 ore. La più colpita è il capoluogo ma gravissimi danni si hanno anche in altri 20 comuni delle provincia. Le vittime furono 44, di cui 35 morti, 8 dispersi. Gli sfollati furono oltre 2000.
È che pare che sia connaturato all’uomo contemporaneo essere colto di sorpresa anche da eventi prevedibili, preventivabili e che non hanno nulla di naturale.
Avviene così anche per i rivolgimenti politici e sociali.

Sembra che solo pochi illuminati avessero – inascoltati questa crisi. E senza difesa la controffensiva capitalistica ha vinto. Hanno perso gli Stati e i popoli. le cronache ne indicano l’inizio nei primi anni Settanta, quando gli Stati Uniti di Nixon si sottrassero alla disciplina monetaria ancorata all’oro di Bretton Woods, imponendo di fatto al mondo il dollaro come moneta universale. Ma risale alla fine degli anni Settanta la seconda fase quella contro lo Stato sociale, quando quello che sembrava essere un capitalismo “temperato” si è esercitato su tre fronti: quello della rivoluzione tecnologica, con un’applicazione massiccia delle innovazioni elettroniche e informatiche al processo produttivo, che hanno aumentato la produttività, determinando un calo occupazionale, rafforzando enormemente il potere contrattuale del capitale e indebolendo altrettanto quello del sindacato.

Il secondo fronte è quello della silente e dissennata “liberazione dei movimenti di capitale” – la possibilità di spostare capitali ingenti in tempo reale, pigiando un tasto, da una parte all’altra del mondo – che ha attribuito al capitale un tremendo potere arbitrario e discrezionale rispetto alle scelte politiche “democratiche” dei governi: una potenza che condiziona e ricatta le politiche.

Il terzo campo di battaglia è consistito in una “controrivoluzione” spietata e condotta sulle politiche, alterando le visioni del futuro e le garanzie, intervenendo su costumi e aspettative, compromettendo definitivamente l’ipotesi “socialdemocratica” di l’intervento pubblico sulla domanda e nella distribuzione delle risorse. La controffensiva capitalistica ha cavalcato la riscossa del pensiero neoliberista, monetarista, che rifiuta l’interferenza dello Stato nel mercato e ha riportato in auge la fede cieca nella sua capacità di autoregolazione.

Il capitalismo si è conquistato due fondamentali vittorie: la riconquista di un rapporto di forze vantaggioso rispetto al lavoro organizzato, disorganizzandolo. E e la conquista di una posizione di forza rispetto agli Stati nazionali, inducendo la compenetrazione simbiotica tra élite capitalistica e sistema politico, mai realizzatasi nel passato in una forma così estrema.

Da noi grazie a fattori endogeni – della criminalità organizzata, familismo, corruzione, la grande “anomalia” – la resa è rovinosa. E è travolta la democrazia, nella infedeltà al contratto sociale che ne è cardine, nella svendita di dignità e di diritti, sfruttamento, perdita i libertà. Ha vinto il mercato senza regole e una ideologia sopravvissuta che si è presa una rivincita contro lo Stato sociale, contro la Costituzione, corrompendo il sindacato attraverso la violazione di regole fondanti e prefigurando un sistema privilegiato di rappresentanza a favore di chi partecipa a alleanze conservative del sistema. Hanno vinto logiche criminali lesive dei diritti quelle delle trattative condotte con la pistola del disinvestimento, del trasferimento della chiusura, con la forza bruta della necessità che si sostituisce alla giustizia.

Ha perso lo stato sociale ma hanno perso gli Stati dimissionari dalla programmazione strategica e da un sistema di decisioni basate sugli obiettivi e sui progetti, sul controllo delle regole indispensabili al corretto funzionamento del mercato. Stati servili, nei confronti della finanza e arresa sul fronte della difesa del lavoro.
Ha perso la democrazia che dovrebbe essere governo del popolo attraverso le istituzioni politiche in cui il popolo si fa valere, e governo per il popolo, mediante l’azione politica a favore del popolo, e che ha smarrito il senso della rappresentanza dei valori irrinunciabili di equità, coesione sociale.
Hanno perso i popoli, spaesati, trattati come greggi da governi asserviti al potere ben poco occulto di una finanza avida, cinica, rapace, eccessiva, arrischiata. Quei re del mercato, le private equities, gli istituti finanziari che hanno ridotto anche le borse a rappresentazioni virtuali, che il gioco ardito coi fondi si svolge altrove. E nei cui consigli di amministrazione siedono sussiegosi personalità “autorevoli” Clinton, la Albright, e intorno ai quali proliferano club esclusivi cui accennava oggi il Simplicissimus a proposito dell’auspicato “salvatore” Monti.

La loro spregiudicatezza è stata ammirata, la loro tremenda potenza è stata blandita, in nome di un malinteso pragmatismo, di una “realistica” approvazione e accettazione delle regole scellerate del mercato.
Non dicano che la tempesta è arrivata inattesa. Stavano al caldo dentro casa e guardavano le previsioni, pensando che a loro non sarebbe successo mai, seguivano distrattamente le evoluzioni del disastro confortati di averlo scampato. Troppa televisione ha prodotto un popolo di spettatori. E oggi in programma c’è un film catastrofico ma non fidatevi dell’eroe buono, a salvarci dobbiamo pensarci noi.


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