Come sempre, come dappertutto, il conflitto è l’estremo orizzonte dei regimi fallimentari e delle governance che si dibattono nella rete di contraddizioni e interne che hanno creato. Non è certo un caso che con l’arrivo della crisi che ha reso visibile il disegno di riduzione democratica portato avanti dalle elites continentali, l’Europa che si vantava di essere testimonianza vivente della volontà di pace si è lasciata trascinare dall’amico americano in una complicata e assurda rete di scontri e di tragici intrighi. Ma proprio per questo l’informazione main stream e non solo quella, è riluttante a collegare le vicende interne a quelle esterne e finisce per presentare gli eventi amputati da parecchie delle chiavi di lettura necessari a comprenderle anche quando il soggetto sembra distante per geografia e cultura.
E’ il caso dell’Arabia Saudita entrata all’improvviso in rotta di collisione diretta con l’Iran, forse nel complesso di un disegno volto a un ridimensionamento degli accordi con Teheran il cui ritorno sul mercato del petrolio getta nel terrore la monarchia di Ryad con la sua azzardata strategia ribassista. La decisione di giustiziare 47 presunti terroristi tra cui lo sceicco Nimr al-Nimr, leader dell’oppressa comunità sciita dell’Arabia Saudita, arrestato dal regime nel 2012 insieme ad altri sei rappresentanti della comunità, è il tentativo di buttare in scontro religioso e geopolitico problemi ben più concreti, resi più acuti dalla folle guerra in Yemen che costa quasi un miliardo e mezzo al mese senza portare ad alcun risultato se non a qualche strage e a brucianti sconfitte.
In realtà chi conta davvero sono gli altri 40 decapitati in tutto il Paese che poco o niente hanno a che fare con la corposa minoranza sciita dell’est. Il fatto è che la famiglia dittatoriale teme l’esplosione della protesta sociale dopo che sono state abolite le sovvenzioni sui beni di prima necessità che costituiscono l’elemosina su cui si regge un regime che ha sempre impedito la nascita di una diversificazione economica e che ha comprato la pace sociale con le briciole della rendita petrolifera. Il calo del prezzo del petrolio e l’assurda guerra in Yemen, assieme agli allarmi dell’Fmi hanno indotto Ryad a stracciare il patto implicito con i sauditi che fra l’altro cominciano ad essere toccati dalla disoccupazione. Così dal primo gennaio i prezzi dell’acqua, dell’elettricità e del gas sono aumentati del 70% , mentre quelli dei prodotti petroliferi si sono alzati dal 40 all’80%, ma si tratta solo di un primo passo cui seguiranno a breve un aumento generalizzato delle tariffe dei servizi pubblici e di quelli sanitari, la creazione di una tassa simile all’Iva e privatizzazioni foriere di nuova disoccupazione.
Dunque il messaggio della decapitazione di massa avvenuta nello stesso giorno sono cui sono state tolte le sovvenzioni è chiarissimo: la rendita petrolifera assoluta è finita, ma saranno i sauditi dei ceti bassi che dovranno pagare il conto. E senza fiatare, senza contestare la famiglia regnante, il principe Mohammed bin Salman, vera eminenza grigia della politica saudita e la corte di nababbi rentier da oro nero, altrimenti siete terroristi ed ecco cosa succede: salta la testa.
Ma ormai si è così poco abituati a pensare in termini di dinamiche sociali che l’elemento principale delle decapitazioni è passato del tutto inosservato in favore delle chiacchiere sugli pseudo temi religiosi o dell’esplosione della contrapposizione con l’Iran, caldamente suggerita da Washington. Del resto l’occidente non chiede altro che cancellare questi temi dal discorso, troppo al centro della cattiva coscienza delle sue elites, come dimostra il fatto che nel 2015, anno nel quale si è avuto il maggior numero di decapitazioni nella storia del Paese, tanto da costringere alla ricerca affannosa di otto nuovi boia, il regime é stato premiato con la presidenza del Comitato Consultivo Onu per i Diritti Umani. Del resto se Obama è nobel per la pace ci sta anche questo.