Quel mattino c’era stata una grande nevicata,
perché molto fredda era quella regione.
Percivalle assai presto
s’era alzato, secondo il suo solito:
desiderava cercare e incontrare
avventure e imprese cortesi.
Per caso giunse diritto sul prato
gelato e coperto di neve,
dov’era accampato l’esercito del re.
Ma prima che giungesse alle tende,
vide un volo di oche selvatiche
abbagliate dalla bianca luce della neve.
Si soffermò a osservarle e ne udì lo strepito
mentre schiamazzando volavano via:
erano state spaventate da un falco
che s’era lanciato contro di loro impetuoso,
e ne aveva colpita una, indifesa,
rimasta fuori dallo stormo.
L’oca era stata ferita al collo
e ne erano cadute tre gocce di sangue:
s’erano allargate sopra il prato bianco
sì che la neve pareva avere un colore rosato.
Quando Percivalle vide macchiata
la neve su cui era caduto il sangue dell’oca
si fermò, appoggiandosi alla lancia,
per contemplare quella strana visione:
il sangue mischiato alla neve
gli sembrava simile al colorito fresco
che aveva visto sul viso della sua Blanchefleur*.
E in quell’immagine la sua mente si perse.
da Perceval
* licenza poetica che mi sono democraticamente permessa. Nella versione originale del testo il nome di Blanchefleur è sostituito con la parola “amica”. Blanchefleur è la donna di cui Perceval s’innamora alla corte del re Artù, e a cui sono dedicati i versi di questa poesia, quindi è stato più forte di me, non ce l’ho fatta, dovevo trascrivere il nome dell’amata, così da poterlo leggere anche se per una volta soltanto.
Lié Larousse