Le tre sorelle di Anton Cechov è in scena al Teatro Leonardo di Milano fino al 24 novembre. Al centro della storia, tre donne, Macha, Olga e Irina (che hanno un fratello, Andreï, spostato con Natacha) che vivono insieme nell’area di san Pietroburgo, il padre è morto da un anno e loro aspirano a tornare a Mosca.
La tragedia ruota attorno alla figura della donna: ciascuna delle tre sorelle rappresenta una caratteristica, spingendola all’eccesso e rappresentandone le nevrosi. Olga è il ricordo e la tradizione (non si sposa), Irina è una bambina illusa e senza un ideale da seguire, che tende ad aderire in modo vuoto alle idee della sorella maggiore (è attratta da Solenyj ma sposerà il barone Tuzenbach).
Macha ha tendenze incestuose (al Leonardo la qual cosa non si accentua) ed è una nevrotica. Olga non riesce a vivere il presente, Irina non ricorda il passato, Macha non vivrà il suo amore in futuro.
Altri temi centrali della rappresentazione sono le ambizioni (non realizzate), il sapere, il lavoro e lo studio, privi di una cura accurata dei particolari dell’esistenza in casa, nel matrimonio, nelle relazioni personali e pubbliche, non hanno senso né utilità.
Le tre sorelle messo in scena da Comteatro sembra aver voluto dare brio a Cechov, che di vivacità non ne ha molta in sé, portando al paradosso e alla esasperazione alcune tematiche, non dando la giusta importanza ad altre, come la noia, ad esempio, ed il sogno (non solo di andare a Mosca).
Si vede, è chiaro, come la vita delle sorelle e del fratello si spenga, senza obiettivi, senza arrivare da nessuna parte: il matrimonio triste di Macha e il suo flirt senza futuro, le ambizioni di Irina, i sogni di Andreï, la noia di Olga. I giorni sono tutti uguali, e la vita si spegne sino a che la casa non prende fuoco.
La lentezza è un dato importante in Cechov, che però Comteatro dimentica, e annega in corse, urtletti e canti (sì, Le tre sorelle in pratica è un musical, con canzoni in russo ed una, inspiegabilmente, in italiano). Anche il tema della caduta della nobiltà per mano della borghesia non riceve la giusta rilevanza.
L’idea di messa in scena del regista Claudio Orlandini punta sulle conversazioni-monologo un po’ assurde (la cui finalità dovrebbe essere farci capire l’assurdità della vita presente e l’incapacità di comunicare davvero e stringere rapporti sinceri) , ma risulta superficiale.
Fa tristezza in particolare vedere come un personaggio perverso ed affascinante, determinato verso la sua meta, come Solenyj sia nella messa in scena del Leonardo irritante e vuoto.
Complimenti a Natacha, resa con vividità, intensità e in modo spontaneo.
Written by Silvia Tozzi