L’idea è mettere in scena le ultime ore del mondo.
La sfida è mostrare, in novanta minuti, la percezione dell’evento, attraverso varia umanità.
Da narratore, mi chiedo spesso come possa mutare la percezione delle cose, di fronte all’ineluttabile.
La nostra mente c’inganna, sta li a bisbigliare nel nostro orecchio che abbiamo tempo, che ne abbiamo tanto, che possiamo fare qualsiasi cosa.
E di solito è un problema, perché questo inganno volontario, o forse indotto, ché questa illusione è uno dei trucchi che ci consente di continuare a esistere, questo inganno, dicevo, ci fa sprecare la nostra vita.
Come diceva Nietzsche, se l’uomo potesse davvero, per un singolo istante, avere la coscienza di tutto ciò che lo circonda, orrori, speranze, sogni, illusioni, quell’uomo perderebbe il senno.
Perché è davvero difficile dare un senso alle cose, quando si sa che devono finire.
Tutti noi dobbiamo finire, giusto?
Sì.
Ed ecco che la natura, visto che noi non agiamo con l’istinto come gli animali, e amiamo proiettare la nostra coscienza di là nel futuro, ci ha dotato di questa valvola di sicurezza: l’illusione che ci sia sempre abbastanza tempo.
Questa illusione vacilla nella terza età. A quel punto non resta che fare i conti.
Ma ecco, un evento incoercibile come un asteroide che entra in collisione col nostro pianeta, ci libera dell’illusione, ci dà una data di scadenza terribilmente vicina: dodici ore.
Ecco la sfida:
se vi restassero dodici ore di vita, senza alcuna possibilità di scampo, che fareste?
E devo dire che, personalmente, non sono in grado di rispondere: è un’eventualità così grande, così orribile, che è difficile anche solo immaginarla.
Essere privati di tutto, del senso di ogni cosa.
Ricordando che noi esseri umani viviamo sotto il giogo necessario di un sistema di valori rispettato dalla maggioranza, e che senza questo sistema imposto dall’autorità crolleremmo sotto i colpi della nostra natura selvaggia, tutto il resto perde improvvisamente il significato.
E infatti la società collassa su se stessa.
Ma il fatto è: come impieghereste le ultime ore?
Ammazzando gente?
Cercando di farvi ammazzare?
Rapendo donne e stuprandole?
Partecipando a orge di sesso e droga per stordirvi e non capire più nulla, non provando l’angoscia della fine?
O magari salvando un innocente e accompagnandola a casa, verso un destino comune a tutti?
Ecco, io trovo che These Final Hours, nonostante in esso si dichiari, in più momenti, un ateismo assoluto, io l’ho trovato al contrario molto spirituale.
Teso verso la trascendenza.
Proprio nel momento in cui, sull’orlo della fine, si riesce a trovare la forza e la convinzione necessaria delle proprie azioni.
Dare un senso alla vita non vuol dire necessariamente realizzare qualcosa di duraturo, che verrà tramandato nei secoli, specie in previsione di un evento catastrofico che spazzerà via ogni traccia residua di civiltà del pianeta, bensì compiere ciò che è giusto.
Perché se è vero che la nostra esistenza l’abbiamo regolata noi inventandoci un codice, è altrettanto vero che quel codice morale deriva dalla sensibilità comune, da un insieme di comportamenti che la maggioranza sente corretti, giusti, coerenti.
Quindi è spirituale esorcizzare la disperazione cercando di fare ciò che è giusto.
L’umanità allo sbando, preda di violenza e follia è uno scenario talmente prevedibile che non è nemmeno il caso di stare a discutere sul realismo di tale scelta narrativa: l’umanità è una specie pericolosa e insulsa, capace una tantum di elevarsi a esempio, di solito quegli esempi sono gente osteggiata, magari torturata e ammazzata dai contemporanei, che li hanno giudicati strambi e indegni di vivere.
Ecco, con chi abbiamo a che fare, chi siamo, siamo una specie che s’illude di contare qualcosa, triste, perché campa d’illusioni, e vendicativa, e anche orgogliosa.
Togli all’umanità il tempo, la capacità di proiettarsi nel futuro, e gli hai tolto tutto.
Ma ecco, che tra gli uomini ci sono gli esempi.
E il protagonista di questo film è esemplare.
Volendo tornare al discorso della spiritualità: non solo assistiamo all’applicazione del concetto di giustizia, ma anche a quello di redenzione.
Lui, a suo dire, è capace solo di combinare disastri: si riferisce ai suoi fallimenti amorosi. Perché quella stessa illusione del tempo c’inganna e ci fa credere di avere il tempo, tutto il tempo, di incontrare la persona giusta, quando invece l’abbiamo già incontrata e sprecata.
Ma, come detto, c’è sempre tempo per redimersi, per riparare ai torti. C’è sempre tempo…
Una parabola che sottende anche alla relatività. Il tempo è relativo, e quella mezz’ora che resta dal raggiungere la donna amata, sulla spiaggia, fare pace con lei e scoprirla unica, è un lunghissimo intervallo che ci separa dall’inevitabile.
Che duri cent’anni o un secondo, è sempre la nostra vita.
La nostra.