Devo averlo scritto un mucchio di volte. E personalità ben più importanti del sottoscritto hanno parlato chiaro a proposito dei dettagli. C’è un problema, o forse dovrei scrivere fraintendimento: la cura per i dettagli non può essere l’occasione per rimpinzare la narrazione di informazioni inutili, superflue.
Soprattutto agli inizi, quando d’un tratto ci troviamo a tu per tu con un personaggio, sorge il solito problema: che faccio? Vale a dire: come lo descrivo?
Se alle spalle si hanno solamente le letture dei classici dell’Ottocento, è un guaio sotto certi aspetti. Non perché siano da evitare, anzi.
Però siamo nel 2012, e come tutte le cose che hanno a che fare con l’umano, anche la letteratura ha avuto la sua evoluzione. Alcuni si stracciano le vesti (un consiglio: visto le temperature di questi giorni, ricopritevi) perché “Allora sì che sapevano scrivere”.
De gustibus.
Ma elencare le caratteristiche fisiche di questo o quello è uno dei sistemi più rapidi per uccidere qualunque lettore, anche colui che è ben disposto. Parla di qualcosa del genere anche Raymond Carver (nel libro “Niente trucchi da quattro soldi“), ma lui se la prendeva con gli ombrellini e certe descrizioni che si trovano nei romanzi vittoriani.
Diamo invece un’occhiata a questo esempio che probabilmente sarebbe piaciuto a Carver:
Appare Mr Snagsby: untuoso, erbaceo e ruminante. Inghiotte un pezzo di pane imburrato. Dice: – Santo cielo, Mr Tulkinghorn!
È tratto dal romanzo “Casa Desolata”, del grande maestro Charles Dickens. Questo tipo, aveva le unghie curate? E i calzini di che colore erano? Le orecchie, i capelli, e la fronte: spaziosa? Pensosa? Accartocciata? Attraversata da rughe? Sporca di fuliggine? Incisa da una cicatrice?
Boh!
In questo brano Snagsby è lì, occupa la scena con: “untuoso, erbaceo e ruminante”. Fa un gesto: inghiotte del pane imburrato, e infine parla.
Un autore deve sempre arrivare al punto. Per prima cosa, il personaggio esiste sulla pagina non per i vestiti, ma per la sua… vogliamo chiamarla personalità? Carattere?
Una delle evoluzioni della narrativa è il progressivo disinteresse per l’aspetto esteriore del personaggio. Ma non è qualcosa di davvero recente, se Dickens ricorreva a questo espediente per introdurre alcuni dei suoi personaggi.
Appare un paradosso che la letteratura abbia adottato questo modo di presentare i personaggi quando nella società d’oggi (che è il suo naturale punto di riferimento), è l’esteriorità a contare.
Ma nemmeno troppo un paradosso, perché lo scopo della scrittura è andare controcorrente, o no?
Torniamo per un attimo alla descrizione di Dickens. Sotto certi aspetti è contraria alla regole. Ci sono troppi aggettivi: d’accordo. Però per quale ragione se incappiamo in una frase del genere, rallentiamo e torniamo a rileggerla?
Per prima cosa, lo facciamo grazie al traduttore, si capisce. Però costui ha lavorato su una materia prima eccellente, e quella l’ha fornita Dickens.
Non ha messo sul foglio delle parole, ma ha scelto quelle che meglio raffiguravano il personaggio. Però questo non è ancora sufficiente. Come si sa, o un personaggio è vivo, respira, oppure è meglio eliminarlo, diventa solo un accessorio, come il numero a piè di pagina.
E Snagsby “buca” quella pagina. È un attimo, ma in quei pochi secondi la sua figura emerge.
Quando si parla di “caratterizzazione” di un personaggio, non si intende il vestito, il cappello, gli ombrellini o le unghie. Ma quelle qualità che lo rendono unico, e degno di occupare quella porzione di testo.
No, non credo che ci sia da qualche parte una ricetta da replicare o applicare. C’è da leggere tanto e almeno all’inizio scrivere e buttare via tutto quello che si è scritto. Soprattutto se sembra buono; di certo non lo è.
È una sfida impegnativa. E si inizia a vincerla quando si guarda agli altri non come a componenti della mandria, bensì a individui. Quando questa consapevolezza prende piede, e spesso è necessario molto tempo, i personaggi diventano tutti importanti. Non importa quanto “spazio” abbiano sulla pagina. Se si sceglie di metterceli, allora riusciremo a essere così capaci e bravi, da renderli reali. A individuare cioè la “personalità” di ciascuno.