Le vasche del Re
19 novembre 2013 di Redazione
di Antonietta Trono
“E io corro verso la mia foce, verso il mio mare come il sogno verso la sua stella”. Così dice il Chidro che, insieme alle sue meraviglie sommerse e raggiungendo l’immensità del mare di San Pietro in Bevagna, incontra ciò che da circa mille e settecento anni è custodito nei suoi fondali, tesori regali che pochi conoscono…. I bagnanti sono lì sotto l’ombrellone a godersi l’estate, ma pochi sanno cosa giace nel fondale a poche bracciate dalla spiaggia. Emozionante è, a dir poco, la splendida sensazione che assapora il sub quando all’improvviso, nel blu profondo, intravede qualcosa di strano. Ma torniamo a 1700 anni fa…..
L’ordine sparso dei reperti ha fissato in maniera indelebile la dinamica di quel naufragio. Sarà sicuramente stato un terribile mare di scirocco a far incagliare la nave sul basso fondale e a farla naufragare vicino allo scalo, forse mentre si cercava un attracco per salvare il carico. Quasi duemila anni sono trascorsi da quel naufragio, ma loro, i reperti, sono lì intatti, a manifestare tutta la loro possente struttura, a ricordare la grandiosità della gente che li commissionava, un lungo viaggio dall’Egeo alle volte di Roma. A San Pietro in Bevagna sorgeva un antico porto utilizzato come scalo per le navi che trasportavano preziosi materiali verso Roma, e probabilmente quell’ammasso di “sassi” adiacenti al sito dei ‘sarcofagi’ è quel che rimane di quel porto. I sarcofagi appunto! Le conoscenze ad oggi acquisite si devono alle fortunate prospezioni e ai recuperi condotti dall’archeologo americano Peter Trockmorton negli anni ’60 del secolo scorso. C’erano strani contenitori in marmo che giacevano sul fondo del mare della frazione balneare di Manduria, a una profondità irrisoria di circa sei metri e a una distanza di meno di cento metri dalla riva. La popolazione locale ne conosceva già l’esistenza e le definiva “Le vasche del Re”, attribuendole, secondo una accreditata tradizione popolare, al re Fellone, guarito e convertito al cristianesimo dall’apostolo Pietro. Le prospezioni di Trockomorton documentarono il carico di una nave romana costituito da 23 sarcofagi del III sec. d.C. che si ritenne facessero parte di un gruppo di maggiore entità di tombe esportate dall’Asia Minore, probabilmente dalle cave di Afrodisia, tra le quali, di notevole valore, ricordiamo il sarcofago di Acilia oggi conservato nel Museo Nazionale Romano nella sezione del Palazzo Massimo alle Terme, e quello di Badminton conservato al Metropolitan Museum di New York. Le naves caudicariae probabilmente erano dirette a Roma, alla Statio Marmorum del porto di Ostia, da dove con il prezioso carico, avrebbero risalito il corso del Tevere giungendo nei quartieri dei marmorari dell’Urbe. I sarcofagi di San Pietro sono il più grande giacimento archeologico sottomarino del mare Ionio e uno dei più importanti di tutto il Mediterraneo. Le forme e le dimensioni sono variabili, dieci sono rettangolari fra cui alcune singole, quattro a doppia deposizione in un unico blocco e altre nove a vasca o tinozza. Per economizzare lo spazio, alcuni sarcofagi più piccoli sono stati rinvenuti impilati all’interno di esemplari di maggiori dimensioni; globalmente il peso stimato varia tra i 1000 e i 6000 kg. Inoltre tutti i manufatti sono privi di decorazione, che quasi sicuramente veniva poi eseguita sul luogo di lavorazione. Ma purtroppo ancora pochi sanno che 23 sarcofagi destinati a uomini illustri dell’Urbe giacciono nel mare Ionio a due passi dalla foce del Chidro.
“E io corro verso la mia foce, verso il mio mare come il sogno verso la sua stella” dice il Chidro.
Bibliografia
Direzione Regionale per i beni Culturali e Paesaggistici della Puglia (MiBAC) 2010 “Greci e Messapi in Terra di Taranto, tra musei e Parchi archeologici”.
Immagine di repertorio.