Trascrizione a cura di Daniel Iversen
Articolo di Samuel Arbesman per “New Scientist“, Regno unito
Quando studiava all’istituto odontotecnico, mio nonno imparò qual’era il numero di cromosomi in una cellula umana. Ma c’era un problema: i biologi avevano esaminato i nuclei delle cellule umane nel 1912 e avevano contato 48 cromosomi, riportando scrupolosamente questo numero nei manuali studiati da mio nonno. Nel 1953 l’illustre biologo cellulare Leo Sachs dichiarò addirittura che “il numero diploide di 48 cromosomi nell’uomo si può ormai ritenere un fatto accertato”. Ma nel 1956 Joe Hin Tijo e Albert Levan sperimentarono una nuova tecnica per osservare le cellule. Contarono e ricontarono finché furono sicuri di non sbagliare. Quando annunciarono i loro risultati, altri ricercatori ammisero di aver calcolato lo stesso numero, ma di aver creduto che si trattasse di un errore. Tijo e Levan avevano contato solo 46 cromosomi. E avevano ragione. La scienza è sempre stata un progressivo avvicinamento alla verità, e chiunque lo capisce sa anche che si basa su una continua trasformazione delle conoscenze comunemente accettate. Ma a volte si può avere una sensazione di casualità e inquietudine. Un tempo il fumo era raccomandato dai medici, ora è diventato mortale. Mangiare carne una volta faceva bene, poi faceva male, poi di nuovo bene, e ora è una questione di punti di vista. L’età a cui viene raccomandata la mammografia è salita.
Un tempo pensavamo che la Terra fosse al centro dell’universo, poi il nostro pianeta è stato retrocesso. E non so più se il vino rosso fa bene o male. In realtà c’è un ordine in questo continuo mutamento. La buona notizia emersa nel mio ramo della scientometria – lo studio quantitativo della scienza – è che quando sono valutati nel loro insieme i cambiamenti mostrano un andamento regolare. Possiamo perino stabilire con quanta rapidità i fatti saranno smentiti dal tempo. Questo significa che, in un mondo di conoscenze in continua trasformazione, non dobbiamo sentirci totalmente smarriti. Parte di quello che riteniamo vero finirà con l’essere confutato, ma renderci conto che esistono degli schemi potrebbe aiutarci a individuare le apparenti verità destinate a scadere. Tutti sappiamo che la conoscenza scientifica è continuamente aggiornata da nuove scoperte e dalla verifica degli studi, ma fino a pochi anni fa non avevamo prestato molta attenzione alla velocità con cui si verificano questi cambiamenti. Pochi, in particolare, avevano cercato di quantificare il tempo necessario perché tutto quello che sappiamo in un certo periodo si dimostri falso o sia sostituito da una maggiore approssimazione alla verità. I ricercatori dell’ospedale della Pitié-Salpêtrière, a Parigi, sono stati tra i primi a misurare questo turbinio di conoscenze. L’équipe di Thierry Poynard ha scelto di concentrarsi sul campo in cui erano specializzati: cirrosi ed epatite, due aree collegate alle malattie del fegato. Hanno trovato quasi cinquecento articoli scritti in più di cinquant’anni e li hanno sottoposti all’esame di un gruppo di esperti, ognuno dei quali aveva il compito di stabilire se lo studio era attuale, superato o confutato. In seguito l’équipe di Poynard ha messo a punto un semplice grafico per mostrare la percentuale di contenuti che aveva superato la prova degli anni, osservando una netta diminuzione degli studi ancora validi. Era perino possibile ricavare una chiara misurazione dell’“emivita” dei fatti guardando dopo quanto tempo la curva del diagramma scendeva sotto il 50 per cento: 45 anni. In sostanza, le informazioni si possono paragonare al materiale radioattivo: ci vogliono circa 45 anni perché metà delle conoscenze mediche sulla cirrosi o l’epatite si dimostrino superate o siano smentite dai fatti.
Il ritmo del cambiamento
Purtroppo, creare una commissione di esperti che passi al setaccio tutte le conclusioni scientifiche del passato non è un’impresa fattibile. Quindi dobbiamo sacrificare la precisione e passare in rassegna buona parte della scienza in tempi relativamente brevi. Un modo semplice per farlo è esaminare la durata delle citazioni, la nascita di nuovi domini scientifici e il metro con cui si misura l’impatto di una ricerca. Per capire la scadenza della verità di uno studio, possiamo misurare quanto tempo ci vuole perché non sia più citato l’articolo medio in un determinato campo. Potrebbe non far più parte della letteratura scientifica in circolazione perché non è più interessante o perché è stato contraddetto da nuove ricerche. Anche il tempo che serve perché altri smettano di citare metà della letteratura di un dato settore è una specie di emivita. Con questo sistema possiamo cominciare ad approssimarci a una stima dell’emivita di molte discipline scientifiche. Per esempio, uno studio di tutti gli articoli pubblicati dai giornali della Physical Review, un gruppo di periodici molto importante per i fisici, ha scoperto che in questa disciplina l’emivita è di circa dieci anni. Anche il tipo di pubblicazioni può influire sulla durata dell’emivita. Nel 2008 Rong Tang, del Simmons college di Boston, ha esaminato i testi accademici di diversi settori scientifici scoprendo che la fisica ha un’emivita più lunga dell’economia (13,7 anni contro 9,4), la quale a sua volta supera la matematica, la psicologia e la storia. È il contrario di quello che si riscontra negli articoli dei periodici specializzati, dove le conoscenze ai confini delle cosiddette hard sciences – le scienze dure come matematica, fisica, chimica e biologia – sono rovesciate più rapidamente che nelle scienze sociali. Questo può dipendere dal fatto che l’immediata ripetizione di un esperimento tende ad avere risultati più chiari nelle scienze fisiche che in quelle sociali, dove i dati sembrano più disordinati. Quindi dovremmo essere cauti nel trarre conclusioni drastiche sulle differenze tra l’emivita di settori scientifici disparati, e tenere conto dei vari fattori che la influenzano e dei diversi metodi usati per misurarla. Resta comunque il problema che specifici campi di conoscenza possono avere diverse date di scadenza. Ma questo modo di concepire la conoscenza dovrebbe cambiare il nostro modo di interpretare i fatti che usiamo ogni giorno per navigare nel mondo? Stabilire che certi fatti dureranno più a lungo di altri potrebbe influenzare il nostro modo di agire sulla base delle informazioni che abbiamo e suggerirci di quali verità dovrremmo diffidare maggiormente. Immaginiamo di allineare i fatti in uno spettro in base alla rapidità con cui cambiano. All’estrema sinistra abbiamo i fatti che si modificano in fretta, come le informazioni sulla chiusura della borsa o le previsioni meteorologiche. Sono fatti che hanno un’emivita minuscola. All’estrema destra abbiamo le conoscenze che cambiano molto lentamente, come quello che abbiamo imparato sul numero dei continenti o quasi tutto quello che gli antichi greci hanno scritto sulla geometria. In mezzo ci sono i gruppi di fatti che cambiano, ma non troppo rapidamente. Sono conoscenze che possono modificarsi nel corso degli anni, dei decenni o di una vita umana. Questi fatti di mezzo sono quelli che io chiamo “mesofatti”, e il loro ritmo di cambiamento relativamente lento fa sì che molte persone non riescano a rendersi conto della loro precarietà. Un’area mesofattuale potrebbe essere formata dalle conoscenze sulla nutrizione. Negli Stati Uniti, per esempio, non si parla più di quattro gruppi di alimenti fondamentali: carne, latticini, cereali/pane, frutta/ verdura. Ora sul piatto ci sono cinque gruppi. Nel mezzo c’era stata una piramide alimentare che ha subìto diverse revisioni. Abbiamo anche conosciuto cambiamenti a lungo termine sull’opportunità di mangiare alimenti grassi, carboidrati e così via. Un altro campo mesofattuale è quello della cura dei bambini. Ogni generazione ha una serie di fatti che cambiano: se i bambini devono dormire sulla schiena o sulla pancia, se le donne incinte possono tranquillamente fumare e bere alcool. I mesofatti sono dappertutto, e già solo riconoscerne l’esistenza può essere utile. Dopotutto, come hanno rivelato gli studi sulla nostra percezione delle trasformazioni di lungo periodo nel mondo naturale, spesso siamo ciechi ai cambiamenti graduali. Ovviamente questo non vuol dire che tutte le verità siano destinate a rivelarsi false. Se uno studio finanziato dal governo promuove una certa abitudine salutare, non dovremmo immediatamente liquidarlo con l’idea che è basato su un fatto evanescente. Significherebbe buttare via stupidamente il bambino dell’informazione insieme all’acqua sporca. Ma non dobbiamo sorprenderci più di tanto se quei consigli in futuro saranno contraddetti. Fortunatamente stiamo imparando a interiorizzare questa verità: oggi molte scuole di medicina informano gli aspiranti dottori che nel giro di cinque anni metà di quello che hanno studiato si rivelerà sbagliato, e gli insegnanti non sanno quale metà. Grazie al cielo, i fatti non scadono arbitrariamente. Anche se le conoscenze cambiano, la cosa straordinaria è che cambiano in modo regolare. E noi dobbiamo esserne consapevoli per essere più preparati a vivere in un mondo in continua trasformazione. – gc
FONTE: Internazionale
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