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Le vetrate nell'arte

Creato il 16 marzo 2016 da Artesplorando @artesplorando

Le vetrate nell'arte

Particolare di alcune icone delle vetrate decorate del duomo di Milano

La vetrata è stata ed è un mezzo che gli artisti utilizzano per creare capolavori. Ma cosa si intende per vetrate? si tratta di schermature realizzate con lastre di vetro di piccole dimensioni sostenute da un sistema di telai in piombo.
Per la loro produzione vengono impiegati vari sistemi: la soffiatura in stampi dalle pareti quadrate, il cilindro, la colatura semplice. Le vetrate avevano anche uno scopo conservativo perché mantenevano l'ambiente in una semioscurità che tutelava le opere conservate nelle chiese.
Ovviamente questo tipo di arte è legata a filo doppio con la Chiesa, le cattedrali e la loro decorazione.

Un po' di storia

Nella Schedula diversarum artium del monaco Teofilo (un testo della prima metà del XII secolo) viene descritto il procedimento per l’esecuzione delle vetrate medievali secondo una tecnica che ha trovato recentemente un preciso riscontro in due frammenti di una tavola sui quali è tracciato il disegno di una vetrata trecentesca. Questo supporto, sul quale attraverso lettere sono indicati anche i colori, serviva di base al taglio dei vetri, seguendo il disegno che in altri casi veniva invece steso su carta. Già nel testo di Teofilo vengono individuati gli stretti rapporti di stile che ci sono tra le tecniche artistiche medievali: dipinti, sculture, miniature e vetrate.
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Molti storici dell’arte forse hanno assegnato un ruolo eccessivo, ad esempio, all’influenza esercitata dalla miniatura: J. L. Fischer introdusse il suo capitolo sulla Vetrata del XIII secolo con lo studio dei manoscritti di Bianca di Castiglia e dell’epoca di san Luigi. Al contrario J. Porcher segnalò il rapporto inverso, citando manoscritti le cui miniature imitano, nella presentazione e nel cromatismo, le contemporanee vetrate a medaglioni.
I primi grandi cicli di vetrate conservati per intero risalgono tutti al XII secolo, riferiti i cantieri di Augusta, Saint-Denis, Poitiers, Le Mans e Chartres. Questi cicli mostrano nel loro insieme uno stretto rapporto con gli smalti carolingi e ottoniani, quasi in competizione con lo splendore e la purezza delle pietre preziose: Suger, abate di Saint-Denis, celebrò la saphirorum materia delle vetrate che egli ha fatto erigere per la sua chiesa.

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Maestro Gherlacus, Storie di Mosè, abbazia di Arnstein an der Lahn 

La gamma cromatica usata in questo periodo è già quella che verrà utilizzata fino alla fine del Medioevo: la tonalità generale tende al chiaro, a una tersa limpidezza, scarsamente modificata dalla grisaille, cioè della pittura monocroma stesa su vetri. Le aree che testimoniano una chiara omogeneità stilistica, nella loro importanza per la storia della vetrata di questo periodo sono quella tedesca e quella francese.
In Francia si contrappongono e si incrociano varie tendenze: una è rappresentata da un gruppo di vetrate occidentali che presentano stretti rapporti con la miniatura e la pittura murale della regione, e che sono pienamente romaniche nell'espressività e nella fantastica distorsione formale. Una tendenza diversa è quella rappresentata dall'abbazia di Saint-Denis, dove l’abate Suger fece dipingere alcune vetrate figurate e altre puramente decorative per il deambulatorio della chiesa abbaziale, costruito tra il 1140 e il 1144.
La situazione testimoniata dalle vetrate di area tedesca è molto differente da quella francese e, nonostante siano poche le vetrate superstiti, è possibile rintracciare alcune caratteristiche costanti: più ancora che in Francia, in Germania appare chiaramente il rapporto con gli smalti e gli oggetti preziosi, con accenti di un’eleganza minuziosa. In quest’area la superficie vetrata viene a inserirsi  in aree più limitate, corrispondenti alle aperture delle chiese romaniche.

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Profeti della Cattedrale di Augusta 

Un esempio particolare tra le vetrate del XII secolo è rappresentato dalle cosiddette grisailles cistercensi che, seguendo i precetti di san Bernardo, non avevano figurazioni, ma semplici intrecci decorativi che tramandano forme ornamentali antiche.
Ad apertura del nuovo secolo, la serie delle vetrate costruite a Chartres tra il 1200 e il 1236 costituì il massimo monumento della pittura su vetro medievale. Nell'imponente ciclo della navata, che prosegue con una cromia generalmente più cupa la serie iniziata già nel secolo precedente sulla facciata, le vetrate assumono per la prima volta l’andamento narrativo determinato dalla suddivisione in medaglioni, raggruppati a formare quadrilobi, cerchi o rombi sovrapposti, secondo una tipologia che avrà grande influenza per gli sviluppi della vetrata dipinta: le maestranze che a Chartres avevano portato le esperienze più diverse, in seguito si sposteranno in tutta la Francia.

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Cattedrale di Chartres, vetrate del transetto sud

Parallelamente al cantiere di Chartres, si sviluppò negli stessi anni il ciclo di vetrate della Cattedrale di Bourges, ma altri cicli importanti sono quelli di Sens, Auxerre, Le Mans e di Rouen. Intorno alla metà del secolo, il grande ciclo della Sainte-Chapelle, eretta tra il 1243 e il 1248, cambiò sostanzialmente i modi della decorazione vitrea, abbandonando la formula della vetrata-tappeto, con complessi montaggi di medaglioni, per una semplice sovrapposizione delle scene. Il loro stile veloce e spezzato ha avuto una grande influenza sulle vetrate francesi della seconda metà del Duecento.
Lo sviluppo duecentesco della vetrata tedesca mostra invece l’esistenza di due correnti stilistiche: una prima si mantiene più conservatrice, con forti derivazioni romaniche e bizantine, mentre la seconda testimonia più chiaramente un rapporto con la vetrata gotica francese.

Limpidezza e leggibilità

E nel nostro paese? Affrontando lo studio della vetrata in Italia è necessario insistere sul rapporto dei pittori con la tecnica stessa. La lezione delle scuole settentrionali, nel nostro paese venne messa in discussione, anche in un caso a esse molto legato come la serie delle vetrate di San Francesco ad Assisi, che inseriscono tra la metà del XIII secolo e l’inizio del XIV, e che rappresentano il vero, grandioso inizio della storia della vetrata dipinta in Italia. La maestranza tedesca che eseguì le finestre del coro della Basilica superiore introdusse in Italia un linguaggio legato alle persistenze romaniche, mentre intorno al 1270, il cantiere di Assisi si aprì ai maestri francesi e ad avanzati modelli gotici, diventando una vera fucina d'idee.

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rosone del coro della Cattedrale di Siena

L’opera italiana più significativa rimane però il rosone del coro della Cattedrale di Siena, per il quale è stata proposta la data 1287, anche se non confermata.
In questa vetrata tutto è completamente nuovo: solo due personaggi incorniciati da una mandorla possono richiamare dei precedenti tedeschi, mentre le cornici sono discrete, come negli affreschi di Giotto a Padova. I personaggi si inseriscono con naturalezza su uno sfondo di grande limpidezza, con un modellato trasparente: siamo di fronte alla prima vetrata moderna.
Altri importanti cicli di decorazione vetraria sono quelli del Duomo di Orvieto, delle chiese fiorentine di Santa Croce e di Orsanmichele.
Sono inoltre da ricordare la vetrata absidale di San Domenico a Perugia, che venne conclusa nel 1411 da Fra Bartolomeo di Pietro e Mariotto di Nardo, e la finestra dell’oculo nella facciata di Santa Maria Novella a Firenze, di Andrea Bonaiuti.
Nel corso del Trecento, in Europa, si assistette a una importante innovazione tecnica, determinata dall'uso del cosiddetto "giallo d’argento"; grazie alla stesura di sali metallici che, con la cottura, assumono una colorazione dorata, questa tecnica rese possibile una variazione cromatica là dove in precedenza sarebbe stata necessaria l’inserimento di un nuovo vetro.
La dimensione dei vetri, la nitidezza dei drappeggi, l’economia del tratto vennero comunque a definire una nuova monumentalità e si impose contemporaneamente una gamma cromatica nuova.

Il punto di equilibrio

Se in area francese si può verificare una certa continuità di risultati, in Italia, e soprattutto a Firenze, l’intervento diretto dei grandi pittori del momento portò la vetrata a un altissimo livello, a un particolare equilibrio, sia pure destinato ad avere breve durata, nel rapporto tra pittura e tecnica vetraria. In questo senso assume valore ciò che già sottolineava Cennini: "(...) questa tale arte poco si pratica per l’arte nostra, e praticasi più per quelli che lavorano di ciò; e comunemente quelli maestri che lavorano, hanno più pratica che disegno, e per mezza forza, per la guida del disegno, pervengono a chi ha l’arte compiuta, ciò che sia d’universale, e buona pratica".

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Paolo Uccello (cartone) e Angelo Lippi (esecuzione), natività, Santa Maria del Fiore

L’architettura rinascimentale si mantenne disponibile alla decorazione, si tratti di affresco, ceramica o vetrata: la cupola brunelleschiana di Santa Maria del Fiore, ad esempio, presenta nei sei grandi oculi del tamburo vetrate dovute a Donatello, Paolo Uccello, Ghiberti, Andrea del Castagno, la cui
scioltezza e semplicità sembrano gareggiare con l’architettura.
Uno sviluppo diverso si riscontra nella chiesa di Santa Maria Novella, dove Ghirlandaio utilizzò questa tecnica come fosse un intarsio.
Come schizzi preparatori per le vetrate ebbero la diffusione maggiore i cartoni, ma un altro supporto utilizzato per questi disegni era la tela e questo valse per l'Italia come per la Francia e la Germania.

I pittori e la diffusione delle opere attraverso l’incisione

Tra l’ultimo terzo del XV secolo e la metà del successivo si possono confrontare le opere di maestri vetrai dei quali riconosciamo la personalità in alcune vetrate che sono tratte da cartoni elaborati dai grandi pittori contemporanei. Nonostante l’apparente rigidezza delle diverse competenze, artisti e artigiani operavano a stretto contatto, particolarmente nei grandi cantieri urbani: Grünewald, uscì dalla bottega di Martin Schongauer, dove acquistò il titolo di maestro, per operare nella bottega di Pierre Hemmel, pittore su vetro a Strasburgo. Vasari era stato allievo del pittore su vetro Guillaume de Marcillat, che lasciò vetrate a Roma, Cortona e Arezzo. Sono solo alcuni esempi che dimostrano l'interazione tra le varie arti.
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L’informazione e la documentazione circolavano a tutti i livelli: senza la stampa, il rinascimento non avrebbe presentato la stessa compattezza. Stampe di opere fiamminghe e italiane circolarono in tutta Europa, producendo imitazioni, ispirazioni e libere trasposizioni. In questo periodo, siamo agli inizi del XVI secolo, è in piena attività l’importantissimo cantiere del Duomo di Milano. Qui abbiamo uno dei maggiori cicli di vetrate esistenti in Italia, per cui molti maestri vetrai furono fatti venire dalla Germania e dai paesi fiamminghi e dove forse vi partecipò direttamente il Foppa.
Le diverse correnti, fiamminghe, tedesche, italiane, andarono così intrecciandosi: per fare un esempio, il pittore lionese Antoine Noisin, nella grande vetrata dell’abside della chiesa di Brou, riprodusse nell’Incoronazione della Vergine una tavola della Marienleben di Dürer e, nella fascia sviluppò il Trionfo di Cristo, da una stampa di Andrea Andreani a sua volta da Tiziano.

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Duomo di Milano, vetrata dell'Apocalisse, XV secolo

I grandi maestri vetrai del periodo trassero ispirazione da fonti anche più dirette: grande importanza ebbe lo Hausbuch, una raccolta di disegni originali e di rapidi appunti con annotazione dei colori che passò di mano in mano a diversi artisti tra cui Grünewald. In questa raccolta compaiono molti schemi di medaglioni a soggetto religioso o civile. Ma gli esempi abbondano: il vetraio Engrand Leprince di Beauvais possedeva una raccolta di opere originali di gran pregio; nel suo testamento Valentin Busch, il pittore delle vetrate della Cattedrale di Metz, cedette "tutti i grandi modelli, dai quali ha fatto le vetrate della detta chiesa, per servirsene nella riparazione di esse", e contemporaneamente lasciò a un servitore "dodici pezzi di ritratti d’Italia o di Albert".
Certo, tutte queste fonti d'ispirazione sono poca cosa se confrontate con la libertà e l’invenzione del pittore su vetro, con la sua gamma di pennelli, piccoli legni e spilli; il taglio dei vetri e l’inserzione nei piombi compaiono soltanto in pochi documenti, dove sono disegnati a sanguigna.
Nei paesi germanici troviamo, tra la fine del XV secolo e i primi due terzi del seguente, uno stretto legame tra i pittori e i maestri vetrai. Questo rinascimento tedesco si impose con particolare chiarezza
nell’arte della vetrata, in cui la ristrettezza degli spazi e la gamma cromatica satura contribuiscono alla drammatizzazione degli atteggiamenti, come in una sorta di espressionismo, che viene denunciato dal disegno.

Manierismo, barocco e classicismo

Con l'inoltrarsi nel XVI secolo, l'avvento del protestantesimo (e la conseguente iconoclastia) e della Controriforma, iniziò per le vetrate un periodo di declino, sopratutto in Italia e in Germania. La Francia porterà avanti la tradizione e ai suoi mastri vetrai si deve riconoscere una particolare sensibilità pittorica nel trattamento degli incarnati, dei panneggi e del paesaggio.
A partire dal terzo decennio del XVI secolo intervenne una svolta, riguardante soprattutto l’inquadramento architettonico delle vetrate, nel quale venne introdotta una rappresentazione scenografica caratterizzata dalla prospettiva. Questa nuova strutturazione di volumi entro un inquadramento prospettico sarà presente in molte vetrate.
Nel periodo barocco l'interesse nei confronti della vetrata calò ulteriormente: la conoscenza delle tecniche si perse in molti casi, tanto che nessuno fu più in capace di eseguire i restauri.

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Burne-Jones e Morris, Commissione di Davide a Salomone,
1882, 
Trinity Church, Boston 

La Francia, ultimo baluardo della tecnica artistica, eliminò le grandi composizioni attenendosi a vetrate geometriche e l’intervento dei pittori su vetro si ridusse a bordi decorati su disegni realizzati da pittori.
Una tecnica invece che rimase monumentale fu quella della pittura, della grisaille o dello smalto impiegati su una trama di vetri rettangolari incolori, nota in particolare in Olanda. Questa era una particolare pittura che si eseguiva sul lato interno delle vetrate, per aggiungere alcuni effetti pittorici, altrimenti impossibili a causa dell'uniformità cromatica dei vetri.
Questa tecnica verrà introdotta all’inizio del XVIII secolo in Inghilterra, da Bernard van Linge e dal figlio Abraham, e sarà ulteriormente perfezionata da Henry ed Edmund Gyles, mentre ci fu un ritorno alla vetrata colorata con l’opera di William Peckitt a York. Ebbe invece un esito negativo la realizzazione con una tecnica pittorica a freddo, nelle vetrate su disegno di J. Reynolds per il New College di Oxford.

L’Ottocento

Soltanto in Gran Bretagna si mantenne costante l’interesse verso la tecnica della vetrata, mentre in Francia si dovettero far arrivare due inglesi, Warrem e Jones, per tradurre i cartoni destinati alla chiesa di Sainte-Elisabeth a Parigi. La ricerca tecnologica, mirante a ritrovare l’antica tecnica del vetro dipinto, insieme all’atteggiamento archeologico che iniziava a prevedere il restauro delle vetrate antiche, provocarono un vero revival della tecnica. La famosa manifattura di Sèvres, in Francia, continuò a creare vetrate su cartoni di grandi maestri, mentre il maestro vetraio Steinheil realizzò per la chiesa parigina di Saint-Germain-l’Auxerrois la prima vetrata ispirata ai prototipi duecenteschi. Il confronto con gli esempi antichi venne cercato anche in Italia, soprattutto a Milano, dove la dinastia familiare iniziata da G. B. Bertini fu a lungo attiva per il ripristino delle vetrate del Duomo.
Solo nella seconda metà dell’Ottocento si vide un moltiplicarsi delle botteghe e un’intensa produzione, in Francia e in Germania.
Strade più moderne furono però intraprese in Inghilterra, dove l’officina fondata da William Morris realizzerà opere dei preraffaelliti, di Madox Brown, Rossetti, oltre ai grandi complessi di Burne-Jones. Questi, come il suo contemporaneo svizzero Grasset, trovò proprio nella pittura su vetro la migliore espressione per la sua grafica.

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Esempio di vetrata Liberty

Le fonti del XX secolo

Toccherà a quattro architetti, Gaudí, Horta, Guimard e Mackintosh, dare nuova vita alla vetrata, riportandola a una scala monumentale, cosa che non avvenne invece in pittura, con le esperienze dei nabis, i cui cartoni verranno spesso realizzati da L. C. Tiffany. Nei vetri dipinti da Gauguin o da Maurice Denis, si ritrovano una decisa accentuazione dei contorni e un forte contrasto coloristico. Con la diffusione dell’Art Nouveau si arrivò in tutta Europa alla ripresa della vetrata profana, che si impose come prezioso elemento di arredo.
Nel gruppo del Bauhaus, un laboratorio di vetrate venne diretto prima da Klee, poi da Albers, facendo eseguire i lavori del gruppo dal laboratorio Kraus di Berlino. La corrente di De Stijl elaborò, con Theo van Doesburg e Sophie Taeuber-Arp, il complesso dell’Aubette a Strasburgo, purtroppo disperso.
Meno rigorosi furono invece i tentativi di un’arte che si ricollegasse a fonti popolari, come accadde in Polonia con Jozef Mehoffer e in Olanda dove furono attivi Roland Holst, Joep Nicolas e J. Toorop.
In Germania, la corrente espressionista condusse alcuni pittori, tutti docenti nelle Accademie, a cercare nell’arte della vetrata un importante strumento didattico. A Cracovia, invece, Stanislaw Wyspiafski creò per la chiesa dei francescani (1897-1902) una serie di vetrate di grande creatività e libertà disegnativa. Tutti esempi che confermano una larga ripresa di questa tecnica nel XX secolo.

I pittori contemporanei

A partire dal 1919, con la creazione degli Ateliers d’art sacré, ebbe inizio una rivalutazione dell’arte della vetrata che la portò a riavvicinarsi alla pittura religiosa moderna. Al congresso internazionale sulla vetrata, svolto a Parigi nel 1937, si affermò: "per riabilitare [questa tecnica] bisognerebbe innanzi tutto accostarsi ai maestri della pittura moderna", quasi parafrasando il testo di Cennini citato in precedenza. Mentre Alexandre Cingria riprese le risorse tecniche delle vetrate svizzere del Cinque e Seicento, l’esposizione di arte sacra moderna al MAD di Parigi (1938-39) presentò una prima campionatura, con opere di Denis, Desvallières, Chagall, e una vetrata di Paul Bony. Il passo decisivo venne però compiuto nel 1939, su iniziativa di Jean Hebert-Stevens, con la mostra di vetrate e arazzi al Petit Palais, in cui vennero presentate le prime esperienze di Bazaine, Bissière, Gromaire, Francis Gruber e Singier, messe a confronto con quelle degli svizzeri Cingria e Stocker.

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Fernand Léger, particolare delle vetrate del Sacro Cuore di Audincourt

Nel 1946, su iniziativa di padre Couturier, si iniziò una serie di vetrate nella chiesa di Notre-Dame-de-Toute-Grace di Assy che, con la partecipazione di molti artisti, si propose come opera esemplare. Nel 1954, per una sala da musica in una vecchia cappella a Reux, l’espressionista tedesco Francis Bott usò tutte le risorse della grisaille, senza rinunciare a una intensa luminosità, realizzando un opera straordinaria.
Gli esempi di grande qualità continuarono: nel 1951 Fernand Léger creò la vasta decorazione della chiesa di Audincourt, evidenziando la sua grande padronanza delle forme; Matisse, appoggiandosi alle sue esperienze con i collages, realizzò i cartoni per le vetrate della cappella del Rosario nel convento dei domenicani di Vence (1948-51); Braque nel 1955 lavorò nella cappella di Saint-Dominique di Varengeville, centro nella cui chiesa parrocchiale realizzò anche l’Albero di Jesse, suo capolavoro.
Queste opere, lentamente elaborate, rappresentano il momento della ripresa tecnica della vetrata, anche se non aiutano a cancellare l’equivoco che rimase, agli occhi del pubblico, tra arte decorativa e arte astratta.
Un deciso mutamento nell'arte delle vetrate fu determinato dalla discesa in campo di due pittori di grande temperamento che lavorarono alla Cattedrale di Metz: Villon e Chagall. Le tre grandi vetrate figurative del primo conferiscono alla mediocre architettura di una cappella laterale del XIX secolo una dimensione grandiosa, mentre, ricollegandosi ai maestri del Quattro e Cinquecento, Chagall proseguì, in piena libertà, la tematica biblica a lui cara. Sfruttando, come i suoi predecessori cinquecenteschi, tutte le potenzialità dell’incisione su vetri sovrapposti e del vetro dipinto, Chagall ritrovò l’ingenuità delle sue opere giovanili.

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Marc Chagall,
particolare della vetrata dell'Antico Testamento,
cattedrale di Metz

Negli Stati Uniti come nell’Europa occidentale l’architettura in cemento armato si adattò all’impiego della lastra vetrata fissata nel cemento. Paul Mariani e Robert Kehlmann si fecero portavoci dell’astrattismo e della Pop Art, ma nei casi migliori la volontà dell’architetto predominò, determinando il rapporto volumetrico tra cemento e vetro. Pochissimi pittori hanno saputo padroneggiare tale tecnica; i tentativi più felici sono quelli di Le Moal della cripta della chiesa di Audincourt e di Ubac a Ezy-sur-Eure.
L’incitamento verso l’arte della vetrata rivolto ai più rappresentativi pittori del nostro tempo proseguì attraverso mostre come quella di Strasburgo e Chartres del 1968. In Gran Bretagna proseguirono gli esempi di vetrate pur essendo di una certa convenzionalità, a volte inserendosi nel filone del neoespressionismo.

Gli anni 1980-90

In anni recenti, la collaborazione tra pittori ed esecutori si è limitata ad alcuni cantieri prestigiosi.
Nella Cattedrale di Saint-Dié (Vosges), Bazaine ha affiancato alcuni artisti esperti in questo tipo di lavori, come Alfred Manessier e Geneviève Asse, ad altri più giovani, in un confronto sul tema Morte e Resurrezione (1982-87).
Analoghe le soluzioni avviate nella Cattedrale di Nevers, un edificio molto danneggiato durante l’ultima guerra. Accanto a Ubac, cui furono affidati i cartoni delle finestre del coro occidentale romanico (1977-83), sono stati coinvolti quattro pittori tra i più rappresentativi delle tendenze attuali (Viallat, Rouan, Honegger e Alberola) che, seguendo indirizzi anche diversi, studiarono la trasposizione dei cartoni con il concorso dei pittori di vetrata scelti per realizzarli.

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Le vetrate della Sagrada Familia a Barcellona

Sono comunque molte le difficoltà in cui si dibatte oggi l’arte della vetrata in Europa, dove non è più considerata come un ambito primario della pittura, come era stata soprattutto in Francia tra il XIII e il XVI, e più ancora nel XIX secolo. In Francia in particolare, nonostante l’attività di eccellenti tecnici che ne hanno rinnovato gli effetti formali e cromatici e i rapporti con l’architettura, il riconoscimento a questi artisti tarda ad arrivare.
Ma ancora oggi mastri vetrai sono al lavoro, per terminare l'ultima cattedrale del nostro tempo: la Sagrada Familia. E forse questa antica e complessa tecnica artistica un destino nel nostro futuro ancora ce l'ha.
Questo post si avvale di contributi bibliografici vari che potete consultare qui

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