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Le vie di cagliari protagoniste della storia

Creato il 24 maggio 2012 da Ilmulinodeltempo @IlMulinodelTemp

VIA CANELLES E L'OMICIDIO CAMARASSA
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Via Canelles, insieme a via La Marmora e via dei Genovesi, è una delle strade più antiche della città di Cagliari. Si hanno sue notizie dal XIII secolo, quando compare in un diploma della primiziale di Pisa con il nome di Ruga Marinariorum, durante l'epoca spagnola prese il nome di Carrer del Cavallers, denominazione che mantenne fino al XIX secolo, quando assunse il nome attuale di Nicolò Canelles al fine di commemorare l'editore-imprenditore che nel 1566 impiantò proprio nella via dei Cavalieri la prima tipografia sarda e stampò molti libri a sue spese; l'officina si trovava nel numero civico 69 dove è presente un epigrafe commemorativa posta nel 1872 dai fratelli Nieddu, allora proprietari della casa.

LE VIE DI CAGLIARI PROTAGONISTE DELLA STORIA

Nicolò Canelles nel 1560 fu ordinato sacerdote e verso il 1570 frequentò la Biblioteca Vaticana dove rinvenne dei manoscritti inediti che provvide a stampare a sue spese. Questo gesto gli valse la benevolenza del papa Giulio III che lo segnalò ai vescovi di Cagliari e di Oristano per la concessione di benefici e prebende; fu infatti canonico della Cattedrale di Cagliari ed ebbe modo di conoscere l'Arcivescovo Antonio Parragues di Castellejo. Nel 1571 andò via da Cagliari e lasciò la tipografia in vendita temporanea ad uno dei suoi procuratori, il Sembenino, che apportò migliorie all'officina con nuovi attrezzi e locali più idonei; dopo un paio d'anni ad esso subentrò il tipografo lionese Francesco Guarnerio. Nel 1572 Nicolò Canelles fu commissario generale della diocesi di Cagliari e, successivamente, vicario capitolare, titolo che rinnovò con il nuovo arcivescovo nel 1574. L'8 aprile del 1578 fu consacrato vescovo di Bosa. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1585, la tipografia aveva maturato moltissimi volumi ma anche molti debiti e le attrezzature furono vendute all'asta nel 1589 a Giovanni Maria Galeerino.
A un secolo di distanza la via fu teatro di un evento sanguinoso dove è difficile stabilire se furono determinanti gli elementi passionali o quelli politici. Nel muro adiacente al numero civico 32 è presente un'iscrizione spagnola datata 21 luglio 1668 recante una perenne nota di infamia nei confronti dei nobili che uccisero Don Emanuele Gomez de los Cobos il marchese di Camarassa, l'allora vicario regio del Regno:

LE VIE DI CAGLIARI PROTAGONISTE DELLA STORIA
para perpetua nota de infamia de que fueron traydores del rey Per perpetua nota di infamia del fatto che furono traditori del re nuestro señor don jaime artal de castelvì que fue marques de cea nostro signore, don Jaime Artal di Castelvì, che fu marchese di Cea, doña francisca cetrillas, que fue marquesa de setefuentes donna Francesca Zatrillas, che fu marchesa di Sietefuentes, don antonio brondo don silvestre aymerich don francisco cao don don Antonio Brondo, don Silvestro Aymerich, don Francesco Cao, don francisco portvgves y don gavino grixoni como reos de crimen Francesco Portugues e don Gavino Grixoni, come rei del crimine lesa magestad por homicidas del marques de camarassa virrey de di lesa maestà per l'omicidio del marchese di Camarassa viceré di cerdeña fveron condenados a mverte perdida de bienes y de Sardegna furono condannati a morte, perdita di beni e di honores demolidas svs casas conservando en sv rvina eterna onori, demolite le loro case, conservando a propria rovina eterna ignominia de sv nefanda memoria y por ser en esto sitio la casa ignominia della loro nefanda memoria. E per essere questo sito la casa de donde se cometio delicto tan atroz a veynte y vno de jvlio da dove si commise un delitto tanto atroce il 21 di luglio de mil seiscientos sesenta y ocho se erigio este epitaphio del 1668, fu eretto questo epitaffio. Prima di narrare sinteticamente la vicenda inquadriamo brevemente i personaggi principali coinvolti. Al fine di comprendere appieno le motivazioni che indussero i cospiratori a uccidere il viceré è necessario fare un passo indietro di un mese, per l'esattezza nella notte tra il 20 e il 21 giugno del 1668, quando nella Calle Mayor, l'attuale via La Marmora, fu ucciso ad archibugiate e pugnalate il Marchese di Laconi don Agostino di Castelvì. Quest'ultimo oltre ad essere la prima voce dello stamento militare era anche un uomo molto ricco e potente, egli capeggiava la fazione che rivendicava il diritto dei nobili sardi di origine spagnola ad accedere alle più alte cariche del Regno, compresa quella viceregia. L'attempato don Agostino era sposato con la giovanissima nobildonna Francesca Zatril, la, marchesa di Sietefuentes, che aveva la metà dei suoi anni (poco più che ventenne) che, come vedremo in seguito, fu coinvolta nell'omicidio del vicerè in qualità di amante di uno dei cospiratori. La pretesa rivendicativa dei nobili sardi non era ben accetta soprattutto da parte della reggente di Spagna Anna d'Austria che, tramite il marchese di Camarassa, faceva sentire la sua pesante autorità nel Regno di Sardegna. La situazione degenerò quando verso la fine del 1664 la corona, tramite il vicerè, pretese dal parlamento sardo un donativo di 70.000 ducati. L'organo di governo sardo in tutta risposta si dichiarò disponibile a dare il suo contributo solo a condizione che gli antichi privilegi fossero rispettati e, soprattutto, che i regnicoli potessero avere accesso a tutte le alte cariche del Regno; una simile richiesta non poteva trovare accoglimento e si creò una situazione di stallo che si protrasse per tutto il 1665 e il 1666. Successivamente vi furono due partenze verso la corte di Madrid, da un lato il vicerè mandò un messo incaricato di illustrare la situazione in Sardegna e di ricevere istruzioni sul da farsi, da un altro lato lo stamento militare, in accordo con quello ecclesiastico e reale, decise di inviare il marchese di Laconi con il compito di spiegare alla reggente le ragioni dei sardi. La missione di don Agostino non ebbe successo forse anche a causa dell'ostilità, probabilmente collegata a personali ragioni di natura economica in territorio sardo, dimostratagli da don Cristoforo Crespi di Valdaura al quale la reggente scaricò il problema. Mentre don Agostino si trovava ancora fuori Sardegna, da Madrid giunse l'ordine al vicerè di Camarassa, al quale fu riconfermato l'incarico per altri tre anni, di riaprire il parlamento. Approfittando dell'assenza del marchese di Laconi, venne chiamato a presiedere la seduta don Artaldo Alagon marchese di Villasor, suo acerrimo rivale. Nel frattempo don Agostino rientrò a Cagliari e chiese una sospensione dei lavori parlamentari per riferire l'esito della sua missione in Spagna. Gli vennero concessi solo tre giorni, al termine dei quali, il 28 maggio del 1668, il vicerè chiuse il parlamento. Dopo 23 giorni, come già detto, nella notte tra il 20 e il 21 giugno fu assassinato don Agostino di Castelvì; l'opinione pubblica indicò subito quali artefici dell'omicidio due personaggi legati alla famiglia del marchese di Camarassa, don Gaspare Niño e don Antonio de Molina, che si rifugiarono nel palazzo viceregio, da dove riuscirono a scappare alla volta della Sicilia. Il fatto che i due probabili assassini fossero intimi della famiglia viceregia e trovarono rifugio palazzo di rappresentanza rafforzò la convinzione che il mandante dell'omicidio fosse proprio il marchese di Camarassa. Dopo un mese, il 21 di luglio, il marchese di Camarassa, mentre passava per la via dei Cavalieri (via Canelles) insieme alla moglie e un largo seguito di cavalieri e guardie, fu colpito a morte da una salva di archibugi partita dalla casa di Antioco Brondo (attuale numero civico 32).

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Nonostante il grande clamore e la paura dei tumulti, le funzioni di presidente del regno vennero assunte, secondo la costituzione da don Bernardino di Cervellon con grande equità e obiettività. Durante la breve istruttoria aperta dalla Reale Udienza sulla morte del marchese di Laconi Francesca Zatrillas portò dei documenti atti a confermare la sua convinzione della responsabilità del vicerè della morte del marito, poco dopo però partì nel suo feudo di Cuglieri in compagnia di don Silvestro Aymerich; questo fatto fece nascere il sospetto che tra i due vi fosse una relazione già precedente alla morte di don Agostino e che avessero utilizzato l'espediente della diatriba politica per liberarsi del peso coniugale che contrastava la loro unione. Il fatto che nel mese di ottobre del 1668, dopo solo quattro mesi di vedovanza, i due giovani si unirono in matrimonio aggravò la loro condizione. Il nuovo vicerè don Francesco di Tuttavilla duca di San Germano, fu incaricato di trovare i responsabili dell'omicidio del vicerè precedente. I due amanti furono ritenuti responsabili dell'uccisione di don Agostino di Castelvì in un momento di forte tensione con il vicerè e quindi di aver indirettamente provocato la sua morte determinata dall'immediata vendetta della fazione a lui ostile. Iniziò così una feroce ricerca e cattura di coloro che furono ritenuti colpevoli del delitto di lesa maestà. Il procedimento istruttorio si chiuse con la sentenza del 18 giugno del 1669 nella quale furono condannati a morte Silvestro Aymerich, don Artaldo di Castelvì marchese di Cea e don Antonio Brondo marchese di Villacidro, ai quali furono inoltre confiscati i beni e demolite le abitazioni. La cattura dei responsabili avvenne in tempi e modalità diverse, la più cruenta fu quella del marchese di Cea tratto in catene dal nord Sardegna fino a Cagliari, dove fu giustiziato. Francesca Zatrillas e don Silvestro, dopo essere stati condannati per l'omicidio di don Agostino, tentarono la fuga, ma don Silvestro fu catturato e ucciso e donna Francesca si ritirò in un convento dove trascorse il resto della sua vita. 


Il processo fu sbrigativo e le indagini portate avanti con l'inganno e le minacce da parte del nuovo viceré, don Francesco di Tuttavilla duca di San Germano, che inoltre si avvalse della collaborazione di loschi individui.
Alla corona spagnola serviva assolutamente un capro espiatorio perché l'omicidio del marchese di Camarassa fu interpretato come un attacco all'autorità regia e molti innocenti probabilmente finirono sacrificati sull'altare della ragione di stato.
Fabrizio e Giovanna
Notizie tratte da:
F. C. Casula, Storia di Sardegna
L. Ortu, Storia della Sardegna
F. Loddo Canepa, La Sardegna dal 1478 al 1793, vol. I
Paolo de Magistris e Giancarlo Sorgia, Cagliari : la suggestione delle epigrafi 

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