febbraio 21, 2012 Onofrio Bellifemine No Comments
Le vite degli altri, di Florian Henckel von Donnersmarck, Germania, 2006, 137 minuti
Florian von Donnersmark, alla prima prova da regista, voleva raccontare il dramma della DDR, schiacciata da un apparato repressivo ottuso e crudele, senza accodarsi alla fabbrica di stereotipi degli ultimi anni. Ci prova con un’opera complessa, tesa, tutta nervi e batticuore, col piede sempre sul pedale della sensazione, del brivido, del colpo di scena amaro ma spettacolare. Ne esce fuori una DDR dipinta come una sorta di “Grande Fratello” orwelliano capace di controllare ogni cosa, di ridurre al silenzio, di costringere al tradimento, di imporre idee e instillare paure. Il paese è praticamente Stasi-centrico. Il potere della polizia esasperante. Una fitta ragnatela di spie, telecamere, microfoni nascosti avvolge tutto e tutti e se non arriva è solo questione di istanti. Non esistono sfumature, scale di grigi, livelli intermedi. Nel Partito sono tutti avidi e corrotti, nella Stasi fanatici pronti a qualsiasi cosa per il sistema o arrampicatori senza scrupoli. Gli artisti leccapiedi codardi e calcolatori o oppositori esemplari e coraggiosi. Chi cerca di stare nel mezzo come Dreyman dovrà comunque schierarsi. Il regime comunista e i suoi oppositori sono divisi in due blocchi monolitici senza possibilità d’equivoci. Non è nemmeno presa in considerazione l’eventuale esistenza di militanti sinceri e coscienziosi che si battono davvero per una società nuova. Impossibile incontrare agenti severi e scrupolosi ma umani e dignitosi. Chi era comunista e capisce, passa dall’altra parte. Eppure convincono poco anche quegli oppositori tutti idealisti coraggiosi pronti ad affrontare anche il pericolo di arresti, interrogatori, prigionie. E così i protagonisti si ritrovano ingessati nei loro ruoli, perfettamente inquadrati negli schemi del regime, relegati nella ricerca di una parte.
C’è la bella attrice amante del potente ministro (la Sieland), il celebre drammaturgo legato al partito (Dreyman), il burocrate immorale (Grubitz), il capitano intransigente (Wiesler), l’oppositore “ufficiale” del regime (Hauser). Durante l’azione, i personaggi evolvono, mutano condizioni e punti di vista. Ma alla fine il regime ripristina lo status quo.
Gerd Wiesler alla postazione d'ascolto
Tutti si muovono come pedine spaesate nelle mani dello Stato Caserma, tra le strade grigie e deserte di una Berlino cupa e spettrale; buia e inquietante di notte, spenta e opaca di giorno. Sopra tutti, Bruno Hempf. Il ministro che decide vite, destini, carriere mosso da capricci, risentimenti, superficiali infatuazioni. Compare e scompare all’improvviso a bordo di una limousine nera, simbolo di un potere sopra le parti. Sullo sfondo lo Stato, il Partito Comunista, il Socialismo schiacciati a schemi che si ripetono sempre uguali e si svuotano di significato. Il tedesco occidentale von Donnersmark ha sviscerato il dramma di un gruppo di personaggi, estremizzati sino all’inverosimile, cercando di scavare “sotto” il muro e raccontare cos’era davvero la DDR. Ha picchiato duro sui nervi del pubblico e ha portato a casa Oscar e milioni. Ma il film azzarda sentenze senza porsi domande.