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Le vittime delle Foibe e dell’esodo istriano: un grido muto

Creato il 10 febbraio 2014 da Ilnazionale @ilNazionale

Foibe_di_Vines10 FEBBRAIO – Oggi il nostro Paese si è fermato a ricordare, forse con un tono un po’ più sommesso del solito, la tragedia delle popolazioni dalmata, giuliana e istriana nel secondo Dopoguerra. Migliaia di nostri connazionali furono infatti vittima di un genocidio passato inosservato per decenni, eppure sempre fisso e doloroso nella memoria dei sopravvissuti. Tra il 1943 ed il 1947 le milizie comuniste slave si macchiarono di crimini aberranti nei confronti di migliaia persone, colpevoli solo di non appartenere alla stessa etnia, di essere diverse per usi e costumi, quindi malaccette in quelle terre a maggioranza slava. Non si trattò solo di repressione verso il nemico nazifascista, come spesso si è portati a credere, ma di odio ingiustificato e gratuito che sfociò nella tragedia delle foibe, di cui solo negli ultimi dieci anni si è tornato a parlare. A riprova del sentimento di autentico disprezzo provato dai soldati titini durante le operazioni di pulizia etnica, basti sapere che ad ogni uccisione di Italiani corrispondeva il sacrificio di un cane nero, anch’esso gettato nelle cavità carsiche e chiamato, simbolicamente, a fare la guardia alle anime dei defunti, così che non potessero tornare sulla terra a perseguitare i loro assassini.

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Vergogna nella vergogna, gli infoibati sono stati ulteriormente sacrificati alla ragion di stato, uno stato che riuscì a stento a mantenere un rapporto equilibrato con la Jugoslavia di Tito. Uno stato che preferì il silenzio per preservare il lustro di una certa ala politica e che, per decenni, ha considerato tabù riconoscere i crimini compiuti da una parte estremista e violenta dei suoi partigiani. A ben vedere; è triste costatare che oggi la memoria rischia di essere confinata a giornate “istituzionalizzate”, trascorse le quali solo pochi studiosi continuano a interrogarsi sul nostro passato recente e sul valore degli insegnamenti che se ne possono trarre. Peggio ancora, c’è chi vede le due giornate cardine di inizio anno – il 27 gennaio dedicato all’Olocausto e il 10 febbraio alle Foibe- quali occasioni per ridurre quelle tragedie a mere opposizioni politiche “fascisti contro comunisti” o simili. Dalle testimonianze di chi visse la guerra ed il dopoguerra, si scopre invece che tutta quell’epoca fu pervasa da un odio più sottile delle stesse ideologie, da un’intolleranza piegata anche alle singole antipatie e ad avversioni personali. L’infoibamento per rappresaglia divenne tanto più diffuso dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, quando si assistette alla sparizione improvvisa di podestà, membri della polizia ma anche di semplici impiegati dei pubblici uffici e loro congiunti. Questo fenomeno si diffuse soprattutto nell’Istria meridionale, oggi terra croata, laddove le popolazioni insorsero contro coloro che si erano resi responsabili delle vessazioni perpetrate dal regime fascista –o che erano considerati, in un modo o nell’altro, conniventi con il regime-.

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A partire dal 1945, invece, la maggior parte degli infoibamenti fu dettata dalla volontà di attuare un vero e proprio genocidio. Circa 350mila persone si diedero allora alla fuga con ogni mezzo, lasciandosi alle spalle abitazioni, terre e, soprattutto, ricordi di famiglia. Non sapevano a quale destino andavano incontro, potevano solo essere certe che, nel peggiore dei casi, sarebbero anch’esse scomparse. A migliaia di uomini, donne e bambini il visto in uscita venne negato e chi veniva colto durante le precipitose fughe attraverso il Carso era spesso condannato ad anni di lavori forzati. Il 10 febbraio 1947, con la firma del Trattato di Pace a Parigi, l’Italia cedette infine alla Jugoslavia 7.700 km2 di terra con Fiume, Zara e Pola. L’esodo degli Istriani e dei Dalmati continuò tra mille difficoltà per non piegarsi all’imposizione di usi e tradizioni slavi, per non sottomettersi al regime di Tito, anche se ciò significava perdere tutto.

esodo istiano
A quasi settant’anni di distanza da queste vicende, il ricordo della tragica sorte degli infoibati, dell’esodo e della paura vissuti da chi all’epoca era bambino, rivive nelle testimonianze di migliaia di persone. Annamaria Muiesan, che nelle foibe carsiche perse suo padre, porta con sé il grido di dolore che accompagna i sopravvissuti: «Sul come e dove egli abbia immolato la sua vita, nonostante le tante ipotesi e congetture sollevate, ancora nulla si sa di preciso. Ed è d’altra parte inutile che in tanti si affannino a correre a Lubiana a spulciare negli archivi aperti da poco: tutti sanno che negli archivi si trova quello che si vuol far trovare. Mio padre dunque resterà per sempre senza sepolcro. E senza un fiore».

Silvia Dal Maso

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