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Leadership, questa sconosciuta

Creato il 10 novembre 2014 da Espm2014

Da secoli ci interroghiamo un po’ tutti su cosa sia la leadership, chi sia leader, se lo siamo noi stessi, se lo sono le persone con cui lavoriamo, collaboriamo o viviamo. E con ancora maggiore frequenza riconosciamo qualcuno come leader, più o meno consciamente: un amico nel gruppo di divertimento, un responsabile, un manager, un cantante, un primo ministro, un combattente per i diritti civili, un predicatore, un comunicatore mediatico, uno scienziato. O semplicemente una persona qualsiasi, come lo sconosciuto che siede davanti a me sul treno, mentre scrivo questo articolo.

Da secoli fiumi di inchiostro e pubblicazioni hanno accompagnato tale interrogativo, sempre al centro dell’attenzione dei sistemi manageriali, frementi nel desiderio di ottenere risposte efficaci e schemi da applicare. Pochi ambiti psico-sociologici come la leadership hanno ricevuto tanta attenzione nella storia. Eppure non so quanto sia stato veramente colto da tutta questa attenzione.

Sfatati molti miti, ne sono stati proposti altri. Sfatati questi altri, altri ancora e così via. Molti sono rimasti ai primi miti, tutt’altro che dimenticati e non validi. Parlo di miti come quello della leadership naturale. Possiamo affermare che esista? Per fare un esempio un po’ banale, ma pur sempre interessante: chi è il capitano di una squadra di calcio? Sempre il giocatore più “anziano” e il più esperto o il più famoso e il più talentuoso? O una combinazione di tutto questo? E poi il capitano è davvero il leader della squadra o un semplice formalismo? Insomma: leader si nasce o si diventa? Io risponderei: nessuna delle due opzioni e tutte e due. Questa classica domanda è posta nel modo sbagliato, secondo me.

Quello che molti studi empirici ci dicono è che la leadership assoluta non esiste, nel senso che non esiste una personalità ideale del leader, per quanto alcune persone hanno effettivamente caratteristiche comportamentali riconosciute dagli altri come brillanti, competenti, con forte bisogno di influenzare gli altri, abili nell’utilizzo dei simboli e significati, cioè lasciano una sensazione di autorità e guida.

Le due principali categorie di comportamento del leader, quella relativa alle relazioni interpersonali e quella legata alla realizzazione del compito, diventano rilevanti in base al contesto, in quanto situazioni diverse richiedono differenti strategie comportamentali del leader. Una leadership democratica può essere adatta ad un momento storico e non ad un altro, così come quella autoritaria. La stessa relazione leader-seguaci, concetto piuttosto moderno anche per via dei linguaggi e delle dinamiche tipiche dei social network, influenza la prestazione lavorativa, la soddisfazione, la motivazione e il clima dei gruppi di lavoro. Allo stesso modo le attribuzioni che una persona fa nei confronti di un’altra persona giocano un ruolo primario nel processo della leadership.

prius 150x150 LEADERSHIP, QUESTA SCONOSCIUTA

Cosa ci resta allora? Cosa dobbiamo fare se dobbiamo gestire un gruppo di progetto e la leadership viene affidata a noi? In soccorso ci viene sempre il principio, secondo me, fondamentale di noi essere umani: la consapevolezza. Teniamo in tasca tutte le tabelle e gli schemi che ci possono aiutare, ma quello che conta davvero è la consapevolezza della diversità. Degli altri e di noi stessi, della situazione in cui ci troviamo ad agire e delle risorse che abbiamo a disposizione, con le proprie peculiarità e caratteristiche.

A questo punto riformulerei la domanda di prima: possiamo essere leader per queste persone e in questo contesto?

Per rispondere è fondamentale avere una reale visione e conoscenza di sè: le proprie capacità, il proprio stile di comportamento, le proprie attitudini e caratteristiche, i propri punti di forza e debolezza, la propria immagine agli occhi degli altri collaboratori. Non cerchiamo quello che non c’è in noi, non creiamoci aspettative riguardo ciò che vogliamo o dobbiamo essere per ricoprire un ruolo assegnatoci. Se riconosciamo e lasciamo aperta la porta alla nostra unicità e a quella degli altri, abbiamo valorizzato la diversità.

Se sono un project manager, ma non mi trovo incisivo nella comunicazione empatica e ho nel mio gruppo di lavoro qualcuno che ha caratteristiche personali più adatte, la mia forza sta proprio nel saper utilizzare questa diversità per ottenere risultati migliori. Così facendo non opacizzo l’immagine della mia leadership, ma al contrario ne avrò giovamento perché probabilmente otterrò un risultato migliore. Se, per seguire la stessa linea di esempio, nel mio gruppo, incluso me stesso, non sono presenti caratteristiche di personalità apertamente comunicative, affronterò lo stesso serenamente il progetto consapevole di questo aspetto e non lo tratterò come punto di forza. Nei momenti in cui sarà particolarmente importante la comunicazione cercherò di fare ed essere come sono, senza forzare me stesso nel tentativo di apparire diverso, anche perché risulterebbe discrepante, “stonato”, “fuori dalle corde”, non otterrei comunque l’effetto desiderato.

Avere un ruolo di leader non è un fardello che ci deve schiacciare o snaturare e nemmeno illuderci di avere sempre tutte le qualità per essere all’altezza in ogni situazione. Sarebbe impresa titanica e impossibile. C’è già così tanto in ognuno di noi che è inutile e controproducente cercare sempre qualcos’altro. Prima del ruolo, prima del riconoscimento del gruppo, prima dello stile personale di autorità, prima di richiedere agli altri ciò che vogliamo venga realizzato, diventiamo leader di noi stessi, cioè impariamo a riconoscerci per come siamo e a gestirci al meglio.

La probabilità di riuscire a condurre il nostro progetto laddove vogliamo condurlo aumenta insieme alla consapevolezza. Provare per credere.

Paolo Speranza


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