All’ultimo Tool of Change di New York si sono riunite una serie di sturt-up editoriali per discutere del futuro della produzione libraria. Quella che ne è uscita fuori è l’idea che la creazione di un libro richiami ormai agli stessi meccanismi di una sorta di catena di montaggio.
Peter Armstrong, ideatore di un servizio di self-publishing dedicato alla narrativa seriale, l’ha denominata Lean Publishing, ossia, la produzione un libro work in progress, che grazie alla continua interazione con i lettori può cambiare tante volte fino ad ottenerne una versione ottimale, quella più attraente per il pubblico.
In questo processo il ruolo dello scrittore è quello del “contenitore di contenuti”.
“Il problema più grande con gli autori di oggi è che sopravvalutano la loro scrittura e le loro capacità in fatto di editing. Senza le dovute modifiche avremmo avuto ‘The Meh Gatsby’“.
Parola Tim Sanders, Ceo di NetMinds, sito che mette in comunicazione autori, editor, ghostwriter e designer, per realizzare nuovi prodotti letterari in crowd-sourcing. In pratica, lo scrittore arriva con un’idea per la produzione di un libro, che altri professionisti provvederanno poi a sviluppare concretamente.
NetMinds conta oggi circa 500 iscritti, tutti creativi reclutati attraverso Twitter e Facebook. Alcuni hanno esperienza di editing e gli altri non ne hanno alcuna. La maggior parte sono scrittori che sperano di farsi pubblicare. Vengono pagati con una percentuale proveniente dalle vendite dei libri o dagli abbonamenti. I partecipanti si cercano l’un l’altro attraverso una directory online, ma presto gli incontri saranno realizzati secondo un algoritmo più complesso.
Tutti questi dati possono informare gli editori su come produrre prodotti quanto più possibile vendibili, anche se questo significa sminuire l’autorità creativa dello scrittore e permettere al gusto popolare del momento di prendere il controllo. Il risultato è che questa Lean Publishing sembra ideale per sbancare nell’e-commerce, ma non necessariamente il modello migliore per produrre dell’Arte.
Ma infondo che importa? Si tratta solo di libri per i comuni mortali.
FONTE: The NewYorker