Leap Year

Creato il 16 dicembre 2011 da Eraserhead
Fa un po’ specie pensare che anche in Messico le persone siano maledettamente sole.
Uno si immagina le chilometriche spiagge di Acapulco o i colorati sombreri che nascondono sonnacchiosi uomini baffuti, dimenticando – forse – le bidonville e la sovrappopolazione, ma vabbè, l’idea che abbiamo di questo paese è filtrata dai depliant turistici che arrivano nella vecchia Europa e perciò il Messico deve essere un paese tutto mare e sorrisi. Le cose però non sembrano stare così, almeno per Michael Rowe, un australiano che chissaccome e chissapperché ha avuto l’idea di smentire le nostre supposizioni mostrandoci la provincia del Mondo, una specie di malinconica globalizzazione relazionata da illustri(ssimi) colleghi: Tsai Ming-liang, Bruno Dumont, Sharunas Bartas, Lisandro Alonso. Cambiano gli scenari, la lingua e/o il clima, ma gli occhi da cui sgorgano le lacrime che se ne fregano della mdp, sono sempre quelli. Maledettamente uguali.
E allora ci ritroviamo davanti una Laura di cui non sappiamo niente ma che basta un’inquadratura per capire tutto: lei che si masturba guardando una coppietta felice oltre le tapparelle, dove la casa di fronte segna un parallelo drammatico fra la felicità, e quindi la vita, e la disperazione, vedasi la morte che aleggia prepotente nel loculo-appartamento: la foto del padre defunto, il 29 febbraio come data della Fine, ultimo, tragico sacrificio anticipato da una lettura beffarda, L’arte di amare.
Non apparirà dunque strano se la vita sentimentale di questa Laura sia una merda. Incontri occasionali post-discoteca, malinconici amplessi in cui prima si scopa e solo dopo ci si chiede i reciproci nomi.
Attraverso l’immobilismo registico, aderente in maniera pedissequa all’esistenza di Laura, si comprende che quando entra in scena Arturo la protagonista giunge ad un giro di boa importante che la convince a fare una scelta drastica, quella di morire.
Mentre il tubo catodico emette radiazioni solitarie con pubblicità di efficienti vibratori, Laura sprofonda in un apparente baratro di perversione che invece nasconde da parte dell’uomo uno spiffero di tenerezza (“con chi è stata la tua prima volta?”) non recepita dalla donna, e non per altezzosità, ma probabilmente perché non più in grado di comprenderla.
Con Año bisiesto (2010) Rowe offre un ennesimo e doloroso frame del mondo contemporaneo. Camminando sul filo della gratuità, questo regista sonda in maniera convincente un malessere intimo e interno che trova nella sgraziata attrice Monica del Carmen una credibile interprete.
Nulla si inventa in questo piccolo film che parla di grandi cose, ma la variazione sul tema piace assai, non foss’altro perché finalmente viene fornita una valida risposta a tutto la sofferenza rappresenta: basta abbracciare il proprio fratello per poter voltare pagina.

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