L’analitico è un pignolo al primo stadio. Utilizza come massima espressione grammaticale l’inciso e la frase incidentale, definendoli tramite virgole, parentesi ma anche trattini, come fosse un discorso diretto finito per caso nel testo. La sua attenzione sarà massima verso i particolari e assai minore rispetto al contesto e al quadro d’insieme. Innamorato di nomi e date, non mancherà di informarci all’inverosimile sul superfluo, faticando a trasmettere calore e passione.
Led Zeppelin IV, o Zoso (cioè la trascrizione della runa che identifica Jimmy Page in copertina), è il quarto album del celebre gruppo inglese. Pubblicato nel novembre 1971 senza che sulla busta comparissero i nomi dei musicisti, per volere del gruppo stesso, è per questo spesso identificato anche come “Untitled”. Può essere considerato il coronamento del primo periodo della band, fondamentale e seminale, cominciato con Led Zeppelin I (pubblicato nel 1969) e proseguito negli altri due dischi successivi (II e III). Musicalmente gli Zeppelin spaziano dall’hard rock alla ballata acustica, fino al blues, dimostrandosi ben capaci di affrontare con scioltezza e padronanza perfetta stili anche così diversi tra loro. La prima traccia, “Black Dog”, derivata da un giro di basso scritto da John Paul Jones, apre le danze con una struttura “stop & go” che ricorda “Oh Well!” dei Fleetwood Mac (su Then Play On, 1969). La seconda traccia, “Rock and Roll”, comincia con una citazione di una vecchia canzone di Little Richard del 1958, “Good Golly Miss Molly”, e prosegue come un omaggio scanzonato al vecchio rock n’ roll di fine anni ’50, quello di Chuck Berry, Elvis Presley e Jerry Lee Lewis. Un pezzo veramente scatenante. Nella terza traccia, il cui titolo è “The Battle of Evermore”, compare, come seconda voce, Sandy Denny, la cantante di un gruppo folk, i Fairport Convention, piuttosto famosi all’epoca e freschi dei successi di Liege & Lief (1969) e Full House (1970); è una delicata ballata di quasi 6 minuti in stile medioevale in cui Robert Plant cita riferimenti alla vecchia tradizione pagana inglese; è un pezzo molto affascinante, mistico e in grado di trasmettere un’aura misteriosa all’ascoltatore anche grazie al mandolino suonato da Jones. Jimmy Page non aveva in effetti mai fatto mistero di avere un grande interesse per la figura di Aleister Crowley, un occultista vissuto in Inghilterra tra il XIX e il XX secolo: anche a lui si ispira la copertina interna, con la figura dell’Eremita (carta n° 9 dei Tarocchi). Questi tre brani forniscono una sorta di introduzione al capolavoro del disco e probabilmente di tutto il Rock dell’epoca e non solo: “Stairway to Heaven”. È questa la canzone più trasmessa in assoluto dalle radio statunitensi che la mandavano spesso in onda in contemporanea con il funerale di qualche giovane fan della band; già da questo possiamo capire l’importanza e la considerazione, del tutto meritate, che ha assunto nel tempo. Inizia con un leggero accordo di Page sulla chitarra a dodici corde, mentre le tastiere di Jones, che imitano il suono di un flauto, la accompagnano con una melodia di grande mestizia. Poi arriva la voce di Plant ad introdurre il tema della “scala dorata”, un testo che il cantante sosteneva di avere scritto come in trance; a metà del brano si aggiunge anche la batteria di John Bonham, che conduce al famosissimo assolo alla sei corde di Page, un momento di altissima tecnica strumentale. Il brano seguente, “Misty Mountain Hop”, presenta un interessante riffing “multi-layer” per piano elettrico doppiato dalla Les Paul. Intrigante anche “Four Sticks”, che Bonham interpreta con quattro bacchette (due per mano) per tenere un tempo dispari in 5/8. Nei 3 minuti e mezzo di “Going to California”, il gruppo ritorna esattamente al sound del terzo album, (“That's the Way” in particolare) con un soffice brano acustico che rappresenta un omaggio di Robert Plant all’amata California e in particolare alla cantante Joni Mitchell. “When the Levee Breaks”, ultimo brano, è la cover di un vecchio blues composto da Memphis Minnie nel 1929: l’introduzione di batteria è monumentale tanto da essere in seguito stata campionata da numerosi gruppi hip-hop tra cui i Beastie Boys di “Rhymin' & Stealin” (da Licensed to III, 1986); la canzone è un torrido blues in 12 battute con chitarre ruggenti ed armonica incisa in modalità “backwords”, al contrario, con un bell’effetto straniante. L’album venderà qualcosa come 23 milioni di copie (23 dischi di platino) facendo delle sue canzoni, e di “Stairway to Heaven” in particolare, manifesti intramontabili del rock classico degli anni ’70. Voto: 9,50/10
NOTA: dopo avere riletto e sistemato la recensione sono dell’idea che, piuttosto che “analitico”, il carattere del recensore potrebbe essere identificato come “informativo”: nella sostanza del teso non cambia nulla, ma forse il secondo nominativo è più calzante. Confido nel giudizio e nella critica dei lettori.