Lega e PdL siete la vergogna d'Italia

Creato il 22 novembre 2011 da Antonio

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Leggete questo articolo e poi fatevi un'idea di che tipo di gente possa opporsi ad una legge che garantisca la cittadinanza a chi nasce e vive stabilmente in Italia.
***
Comizio
Qui è più puro, nel suo quieto
terrore - se le sere ormai fonde
tremano agli ultimi brusii, poetici
di mera vita - l’incontro delle gronde
urbane con il buio del cielo.
E muri impalliditi, infeconde
aiuole, magri cornicioni, nel mistero
che li imbeve dal cosmo, familiare
e gaio fondono il loro. Ma stasera
un improvviso rovescio sulle ignare
fantasie del passante frana, e gela
il suo trasporto per le calde, care
pareti sconsacrate...
Non più, come un androne, di passi sonori
perché rari, di voci trasparenti
perché quiete, tra splendori
d’umile pietra, la piazza negli spenti
angoli trasale: né solitarie
frusciano le macchine dei potenti,
sfiorando il fianco del giovane paria
che inebria coi suoi fischi la città...
Una smorta folla empie l’aria
d'irreali rumori. Un palco sta
su essa, coperto di bandiere
del cui bianco il bruno lume fa
un sudario, il verde acceca, annera
il rosso come di vecchio sangue. Arista
o tetro vegetale guizza cerea
nel mezzo la fiammella fascista.
Il dolore, inatteso, mi respinge
indietro, quasi a non voler vedere.
E invece con le lacrime che stingono
intorno al mondo così vivo, a sera,
nella piazza, mi sospingo come
disincarnato in mezzo a questa fiera
di ombre. E guardo, ascolto. Roma
intorno è muta: è il silenzio, insieme,
della città e del cielo. Non risuona
voce su queste grida; il caldo seme
che il maggio germoglia pur nel fresco
notturno, un greve e antico gelo preme
sui muri preziosi, fatti mesti
come nei sensi di un fanciullo
angosciato... E più qui crescono
gli urli (e in cuore l’odio), più brullo
si fa intorno il deserto
dove il consueto, pigro sussurro
s’è stasera perduto.
Ecco chi sono, gli esemplari vivi,
vivi, di una parte di noi che, morta,
ci aveva illuso d’esser nuovi - privi
d’essa per sempre. E invece, scorta
d’improvviso, in questa lieve piazza
orientale, ecco la sua falange, folta,
urlante - coi segni della razza
che nel popolo è oscura allegria
e in essa triste oscurità - che impazza
cantando la salute. E l’energia
sua non è che debolezza, offesa
sessuale, che non ha altra via
per essere passione, nella mente accesa,
che azioni troppo lecite od illecite:
e qui urla soltanto la borghese
impotenza a trascendere la specie,
la confusione della fede che
l’esalta, e disperatamente cresce
nell’uomo che non sa che luce ha in sé.
Resto in piedi tra questa folla quasi
il gelo, che da Trinità dei Monti,
dai duri vegetali del Pincio, rasi
contro le stelle e i chiusi orizzonti
spegne la città - mi spegnesse il petto,
rendendo puro stupore i monchi
sentimenti, pietà, amarezza. Getto
intorno sguardi che non mi sembran miei,
tanto sono diverso. Non è l’aspetto
di gente viva con me, questo, nei
suoi visi c’è un tempo morto che torna
inaspettato, odioso, quasi i bei
giorni della vittoria, i freschi giorni
del popolo, fossero essi, morti.
Per chi è andato avanti, ecco, intorno,
il passato, i fantasmi, i risorti
istinti. Questi visi giovanili
precocemente vecchi, questi storti
sguardi di gente onesta, queste vili
espressioni di coraggio. La memoria
era dunque così smorta e sottile
da non ricordarli? Tra i clamori
cammino muto, o forse sono muti
essi, nella tempesta che ho nel cuore.
E nel senso di perdita del proprio
corpo, che dà un’angoscia improvvisa,
in silenzio al fianco mi si scopre
un compagno. Con me, intento e indeciso,
si muove tra la ressa, con me guarda
nei visi questa gente, con me il misero
corpo trascina tra petti che coccarde
colmano di vile orgoglio. Poi su me
posa lo sguardo. Tristemente gli arde
col pudore che ben conosco; ed è
così mio quello sguardo fraterno!
così profondamente familiare, nel
pensiero che dà a questi atti senso eterno!
E in questo triste sguardo d’intesa,
per la prima volta, dall’inverno
in cui la sua ventura fu appresa
e mai creduta, mio fratello mi sorride,
mi è vicino. Ha dolorosa e accesa,
nel sorriso, la luce con cui vide,
oscuro partigiano, non ventenne
ancora, come era da decidere
con vera dignità, con furia indenne
d’odio, la nuova nostra storia: e un’ombra,
in quei poveri occhi, umiliante e solenne...
Egli chiede pietà, con quel suo modesto,
tremendo sguardo, non per il suo destino,
ma per il nostro... ed è lui, il troppo onesto,
il troppo puro, che deve andare a capo chino?
Mendicare un po' di luce per questo
mondo rinato in un oscuro mattino?
P.P. Pasolini, Comizio, 1954. Da Le ceneri di Gramsci, 1957.
Nota di Pasolini:
Mio fratello Guido, dopo un anno di eroica lotta partigiana nelle file della "Osoppo", è caduto sui monti della Venezia Giulia nel febbraio 1945.

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