La trasfigurazione della Lega, da movimento di lotta ad apparato ministeriale (con tentazioni occupatutto), sottoposto e obbediente al Supremo Gerarca, è sicuramente motivo di grande imbarazzo e disagio tra la base militante ed elettorale. Inutile nasconderlo o cercare di tacerlo.
Come si concilia la vocazione movimentista, il desiderio di riscatto, la dichiarata intransigenza contro l’Ancien Régime, con questo sodalizio che lega la Lega ad un “magnate”(?) multi-miliardario?
Probabilmente, il noto folklore del gruppo dirigente leghista, avrà fatto sì che il tutto fosse inerpretato con una sorta di motto romano: “accomodatevi e magnate!”.
Nulla di diverso dagli esordi e per non tradire una natura ed una propensione emersa, sin dalla nascita, con la tangente Montedison di 200 milioni di lire, ricevuta dall’allora tesoriere Alessandro Patelli.
Che dire, poi, della mutuata malsana abitudine di tradurre la politica quale ottima occasione per favorire il commensalismo familistico, degno della peggior partitocrazia?
E come può non provare imbarazzo quel movimento, paladino del necessario e inevitabile rinnovamento, in epoca di “mani pulite”, laddove oggi si trova coinvolto a restaurare o avallare l’impunità e il privilegio, attraverso la reintroduzione dell’immunità parlamentrare?
Quale possibile giustificazione potrebbero addurre i vertici leghisti davanti ad una base che ha, certamente, vivido il ricordo del provocatorio cappio sventolato da Luca Leoni Orsenigo in Parlamento, al grido di “Roma ladrona!”, nel cosiddetto “Parlamento dei corrotti”, ai tempi di Tangentopoli?
La parabola della Lega non è dissimile da quella che ha visto, negli anni recenti, la “mutazione genetica” del Partito Sardo d’Azione che, per soddisfare la sua insaziabile “vocazione” assessoriale, ha spostato il suo asse politico dal centro-sinistra al centro-destra, allegramente e con assoluto disprezzo dei suoi padri (primo fra tutti Emilio Lussu) e della sua storia (che ha sempre conciliato la visione di uno Stato federalista col sentimento unitario, non come sviluppo diseguale e disarticolato dello Stato ma conunitario, non contrapposto al giusto riconoscimento del desiderio autonomista e rispettoso delle individualità per poter essere, di questo Stato, soggetti sovrani di diritto).
E come si concilia l’intransigenza leghista, ai limiti della xenofobia, davanti alle vicende che vedono coinvolto il Supremo Gerarca ultra-settantenne con una minore immigrata, di nazionalità marocchina (presunta egiziana e presunta nipote di Mubarak), per di più clandestina?
E come con gli amorosi sensi che “legano”, sempre il Supremo Gerarca, col suo consimile libico, la cui caduta in disgrazia è, in queste ore, imminente?
La realtà disvela un’unica certezza: il gruppo dirigente della Lega ha ceduto l’azionariato popolare ad un unico azionista di maggioranza: il già noto BerlusKaiser.
La coperta (ormai alquanto consunta) con cui cercano di coprire tutte queste evidenti contraddizioni è la conquista del “loro” federalismo.
Un federalismo ancora nebuloso, che, al di là dell’onirica visione di realtà immaginifiche (la Padania), basato su spropositati consensi, possiamo quantificare come nella tabella che segue:
Politiche 2008 Voti % Seggi
Camera dei Deputati 3.026.844 8,3 60
Senato della Repubblica 2.644.248 8,1 26
Il prossimo futuro sancirà, ben che vada, una tenuta, non certo una crescita di consensi da parte di chi ha portato il cervello all’ammasso e ha ceduto i propri valori al miglior offerente.
Questa consapevolezza comincia a serpeggiare in maniera palese, vista anche la forte cautela ora manifestata rispetto ad ipotesi di voto anticipato.
Chiudo con una citazione di Emilio Lussu che ben fotografa la perdita di identità di cui ho sin qui scritto: “Autonomia, cioè coscienza di sé stessi, consapevolezza della propria funzione, conquista e difesa delle proprie posizioni etiche, sociali e politiche che consenta il più ampio sviluppo delle proprie capacità, individuali e collettive, in ogni campo. (…) Noi crediamo che un’organizzazione federale dello Stato sia la più rispondente a che ogni forza autonoma abbia la sua più libera espressione e faccia di tutti i costruttori diretti della nuova civiltà“.
Per concludere: a noi pare che la Lega abbia rinunciato alla sua autonomia, per diventare forza politica, se non eteronoma, particolarmente affine al vecchio che avanza.
La distanza da Roma, allora, non era altro che un inutile e ingannevole slogan per poi ritrovarsi, in via permanente, di stanza a Roma.
Alla faccia del federalismo e non senza disprezzo del “popolo leghista” costretto a bere l’amaro calice… altro che salvifiche ampolle!
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