Ha suscitato alcune perplessità – nell'area di opposizione radicale a cui si rivolge - la candidatura di Antonio Ingroia alla guida del Quarto Polo, la lista che si propone di rappresentare l'alternativa al montismo, al berlusconismo e ai loro complici del centrosinistra. Ed anche, ma ci sarebbe da ragionare se sia davvero incompatibile, con il Movimento Cinque Stelle. Perplessità su di una designazione sostanzialmente calata dall'alto (definita da Ugo Mattei 'non contendibile'), sulla sudditanza alla logica del traino mediatico del candidato Premier (estranea a chi concepisce la politica come elaborazione collettiva e partecipata) ma contemporaneamente sulle capacità comunicative di Ingroia di rispondere a tale compito (di fatto imposto dalla legge elettorale vigente e dalla soglia di sbarramento del 4 per cento da superare, dagli imperativi della politica spettacolo), sull'origine professionale del candidato Premier che pone ancora una volta come centrale nell'opposizione radicale la questione legalità anziché altri temi più propriamente di sinistra quali il lavoro, la giustizia sociale, l'ambiente, i diritti civili e sociali. Si vedrà nel corso della campagna elettorale quale sarà l'effetto Ingroia. Sta di fatto che la costruzione di un soggetto politico nuovo che scardinasse le vecchie logiche mediatiche e leaderistiche, realmente espressione delle istanze dei movimenti e dei cittadini avrebbe richiesto (e richiederebbe) ben altro tempo rispetto ai pochi mesi disponibili tra la formulazione dell'appello di 'Cambiare si può' e la scadenza elettorale per di più anticipata al 24 febbraio.
L'impressione (dietrologica) è che l'operazione arancione, all'insegna del non c'è più tempo nonostante che non fosse certo una sorpresa che nel 2013 aveva il proprio termine naturale la legislatura, sia stata concordata tra Di Pietro, Ferrero, De Magistris e alcuni promotori di 'Cambiare si può' dopo aver atteso fino all'ultimo l'evolversi del quadro politico generale (la composizione del centrosinistra, le primarie) e puntando sulla logica dell'emergenza perché non potessero esserci sbocchi alternativi a quelli decisi (ridare una credibilità movimentista e di cittadinanza attiva a partiti non sufficientemente forti per presentarsi autonomamente alle elezioni). Insomma un po' come si fa con i grandi eventi nei quali si aspetta l'approssimarsi della manifestazione per poter assegnare appalti e lavori senza troppi controlli. Detto questo la presenza sulla scheda elettorale di una lista unitaria delle opposizioni radicali alla quale daranno un contributo di indiscutibile qualità e valore esponenti della società civile era assolutamente indispensabile di fronte ad un futuro Parlamento che, a parte Grillo, si prospetta totalmente di destra o comunque nemico degli interessi popolari e dei lavoratori (Berlusconi, Bersani, Monti, Casini) e può rappresentare il nucleo originario per far nascere una nuova idea della politica. Fermo restando che quella rivoluzione culturale, sociale, economica e politica di cui ha assolutamente bisogno l'Italia richiederà ben altro tempo e ben altri metodi. Per quanto riguarda la nuova candidatura di un magistrato a rappresentare, dopo Di Pietro e De Magistris, le ragioni dell'opposizione radicale, c'è da dire che l'esito sarebbe stato diverso se Maurizio Landini avesse voluto, così come sarebbe stato naturale e così come veniva richiesto dalla stragrande maggioranza di coloro che chiedevano una svolta politica a sinistra, prendere la guida dell'alternativa al montismo e al centrosinistra. Dopo aver evidenziato che lavoratori e sindacati sono sempre più deboli senza una rappresentanza politica che ne sia diretta espressione, è forse mancato il coraggio a Landini, forse non ha voluto rinchiudere la propria organizzazione .- la Fiom – nelle vesti di una singola lista politica dalle incerte capacità elettorali oppure ha ritenuto di poter essere più utile ai ceti popolari raggiungendo la segreteria della CGIL. A mio avviso si tratta di un errore perché viviamo in tempi che richiedono scelte nette e radicali, perché vi sono realtà politiche e sindacali – il PD e il centrosinistra, la CGIL – che sono perse per sempre per quanto attiene la costruzione di una società fondata sulla giustizia sociale e l'eguaglianza, perché ci attendono anni durissimi sul piano economico, sociale e dell'aggressione ai diritti sociali e di cittadinanza. La magistratura continua ad essere il vivaio da cui provengono gli esponenti di vertice delle opposizioni perché, di fronte alla mediocrità e all'opportunismo del mondo della cultura, di fronte alla crisi dei partiti che non hanno più la forza e la capacità di formare classe dirigente, vi sono magistrati che riescono ad unire alte professionalità e profonda visione culturale, popolarità e visibilità mediatica e soprattutto la schiena dritta con cui combattono, forti della propria indipendenza, le degenerazioni del sistema. In ogni caso, fermo restando il diritto del cittadino magistrato di candidarsi come qualunque altro cittadino e che il proprio lavoro di indagine sia valutato, di fronte alle accuse di agire per fini politici o personali, dai competenti organi giudiziari, usciamo dall'equivoco sul significato di legalità e giustizia. E' evidente che il pedissequo rispetto delle leggi vigenti è cosa ben diversa dal perseguimento della giustizia che risponde, in base a principi etici, al criterio di dare a ciascuno ciò che gli spetta. E dunque lottare per ideali giusti e per soddisfare propri bisogni può rendere necessario violare la legge. Ma la legalità di cui parla Ingroia e prima di lui Di Pietro, Travaglio e De Magistris (poi ciasscuno valuterà se alle affermazioni di principio corrispondano atti concreti e coerenti) si sostanzia nel contrasto della criminalità organizzata, delle degenerazioni del potere, della corruzione, dell'evasione fiscale, della violazione delle norme ambientali e relative alla sicurezza sul lavoro. Patologie sociali cioè che hanno tragici effetti deteriori sulla democrazia, sulle condizioni di vita dei cittadini e sulla loro possibilità di veder riconosciuti i propri diritti. E non è invece l'ideologia della sicurezza in salsa leghista o neofascista volta alla persecuzione dei povericristi, dei migranti clandestini, di prostitute, lavavetri e piccoli spacciatori, alla repressione delle manifestazioni di dissenso e di disubbidienza civile i cui promotori, per sostenere le ragioni giuste delle proprie rivendicazioni – per il diritto al lavoro e alla casa, contro le grandi opere, contro discariche devastanti, contro la predazione dei beni comuni – incorrono inevitabilmente nella violazione formale delle leggi (nelle occupazioni di beni pubblici o destinati al profitto speculativo, nella interruzione di pubblici servizi o delle comunicazioni stradali o autostradali).
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