CinemaMania
le pellicole che – dicono – stanno sbancando al botteghino
Legend
Titolo: “Legend”
Regia: Ridley Scott
Sceneggiatura: William Hjortsberg
Genere: fantasy
Durata: 89 minuti
Interpreti:
Tom Cruise: Jack,
Mia Sara: Lili,
Tim Curry: Signore delle Tenebre
Trama:Il giovane Jack deve affrontare una serie di peripezie per salvare Lili ed evitare che il Signore delle Tenebre uccida l’ultimo esemplare di unicorno rimasto per far sprofondare il mondo nell’oscurità.
di Jacopo Giunchi
Era da tempo che volevo rivedere Legend, uno dei film-icona della mia infanzia, visto e rivisto svariate volte in vhs (mai al cinema purtroppo). L’altro giorno, avendo un po’ di tempo libero, mi sono deciso a guardarlo con l’intenzione di riversare le mie impressioni in una recensione. Mi arrischio, quindi, ad analizzare un’opera a cui sono emotivamente attaccato, sperando che il mio giudizio critico non venga obnubilato dalla nostalgia che questa pellicola, inevitabilmente, suscita in me.
Dopo i suoi capolavori fantascientifici, Ridley Scott cambiò rotta e decise di dirigere questo fantasy, esibendo quell’apertura verso generi molteplici che caratterizza la sua poliedrica carriera. In quegli anni stavano uscendo molti titoli fantasy, perché i produttori vi vedevano il futuro filone di successo, nonostante la diffidenza dei critici e la tiepida accoglienza del pubblico. Mancava una pellicola che portasse la firma di un autore capace di nobilitare l’intero genere e farlo scoprire al grande pubblico: in altre parole, mancava al fantasy quello che mancava alla fantascienza prima di Alien e Blade Runner. Scott, perciò, sembrava essere perfetto per raccogliere la sfida, e Legend sarebbe stato il banco di prova.
Purtroppo il film fu un clamoroso flop, che non riuscì nemmeno a coprire i costi di produzione. Tutti riconobbero l’eccellente lavoro svolto per il make up (che valse una nomination agli Oscar), ma la trama risultò ai più banale e infantile; l’opinione diffusa era quindi che si trattasse di un bellissimo guscio, vuoto all’interno. Riporto alcune parole spese dal famoso critico Roger Ebert riguardo al film:
“All of the special effects in the world, and all of the great makeup, and all of the great Muppet creatures can’t save a movie that has no clear idea of its own mission and no joy in its own accomplishment.”
Così, ironia della sorte, Legend venne considerato il primo “passo falso” del regista, che non solo non riuscì a sdoganare il fantasy, ma ne sancì la stigmatizzazione. Come spiego meglio in questo articolo, solo dopo una ventina d’anni questo genere riuscirà a trovare spazio nel Cinema.
Le critiche mosse all’impianto narrativo sono comprensibili. Legend si configura sin da subito come una favola che utilizza i tòpoi più classici: principi, principesse, unicorni, fate e demoni. Lo sviluppo della vicenda segue pedissequamente lo schema proppiano. Lo stesso Scott afferma (come se non fosse evidente) di essersi ispirato alle favole popolari per scrivere il soggetto. Questi archetipi funzionano da millenni e teoricamente dovrebbero funzionare sempre; ma il problema di Legend non è un malfunzionamento narrativo. Il problema di Legend è la mancanza di una fisionomia specifica. Per toccare gli animi di tutti, Scott attinse dall’immaginario collettivo, finendo per risultare banale a tutti; utilizzando gli schemi universali, rintracciabili in qualunque storia, Scott finì per scrivere una storia qualunque. In questo film, il regista imparò a sue spese che certe figure ricorrono nel racconto scritto-parlato, perché capaci di evocare immagini differenti in ciascun individuo e in ogni tempo; al contrario, il linguaggio filmico è incapace di evocare e può solo mostrare, imponendo a tutti un’immagine precisa e immutabile.
La sceneggiatura ha un forte sapore (ma non lo spessore) shakespeariano, che è stato mantenuto nella localizzazione; anche in quest’ambito, però, pesa l’impostazione eccessivamente favoleggiante e il ricorrere di situazioni banali; inoltre i dialoghi sono molto elementari o, a volte, decisamente infantili e sono presenti frequenti siparietti comici che abbassano il tono dell’opera. Un paio di scene sospendono la narrazione per mettere in scena dei mini-musical dove Mia Sara canta o danza: francamente non ricordavo queste parti ed è stata una sgradevole sorpresa (non sono amante del musical).
Perché, dunque, un film sostanzialmente mal riuscito, si è comunque riscattato con l’home video, divenendo un piccolo cult movie? Innanzitutto per l’altissimo livello dell’apparato costumistico-scenografico: Rob Bottin, uno dei massimi professionisti del settore, realizzò degli indimenticabili effetti di make up, tra cui spicca sicuramente il costume del Signore delle Tenebre, che pur nella sua maestosa icasticità, permetteva a Tim Curry di esprimere tutta la sua mimica facciale. Nonostante le molte scene esterne, il film è interamente girato in un enorme studio cinematografico, cosa che conferisce alle immagini un costante effetto claustrofobico, ma che consente a Scott di ricercare un preciso taglio fotografico per ogni inquadratura; anche in questo caso, l’originalità viene sacrificata per ottenere inquadrature altamente stereotipe (ad esempio, la luce diffusa delle scene idilliache o la luce fredda adottata per gli esterni, dopo che il mondo è sprofondato in un gelido inverno). Ovviamente, guardandolo oggi, si nota l’artigianalità di alcuni effetti speciali, ma in alcuni casi (come il make up) si tratta di soluzioni più eleganti ed efficaci di quelle ottenibili con l’odierna computer graphic: Legend, quindi, ha ottenuto una certa valenza nostalgico-storica in quanto monumento a un modo di fare Cinema che, purtroppo, non esiste più.
Il film risente di pesanti tagli imposti dalla produzione che il regista non ha saputo gestire bene come nei suoi precedenti lavori; in alcune sequenze si riscontrano, infatti, transizioni sbrigative e cambi di tono repentini che minano l’uniformità dell’opera. Esistono inoltre due edizioni diverse per Europa e U.S.A. con montaggio e musiche diversi. Questi tagli probabilmente contribuiscono all’effetto di straniamento che pervade la pellicola: si ha sempre la sensazione di esplorare un mondo incantato di cui non si conoscono precisamente le leggi, gli abitanti e i luoghi, afferenti solamente a un vago immaginario collettivo. La messa in scena è sempre nascosta da una coltre o dalla penombra, che conferiscono un costante alone di mistero alla rappresentazione e un atmosfera sospesa tra suggestione e inquietudine; per questo stile tetro, che ricorda abbastanza da vicino Blade Runner, alcuni hanno definito Legend “una favola dark”. Nonostante i tagli, la pellicola presenta complessivamente un montaggio conciso che riesce a ottenere un buon effetto drammatizzante con poche ed emblematiche inquadrature.
Se da un lato è vero, come è stato notato dalla critica, che tutti i personaggi presentano una caratterizzazione blanda, dall’altro la pellicola affronta con attenzione il tema dei rapporti umani. Naturalmente, il Signore delle Tenebre e il popolo degli Unicorni sono le due polarità opposte, tra le quali Jack e Lili devono muoversi mediante una sottile dinamica di seduzione-fiducia-tradimento. Il film insiste esplicitamente su questi temi sin dalle prime sequenze:
Lili: Non ti fidi di me? Jack: Di te sì, Lili.
Sedotto dalla bellezza di Lili, Jack la conduce dagli unicorni, mettendo a rischio la sicurezza del mondo intero. Lili, toccando l’Unicorno, tradisce la fiducia accordatale e per tutto il resto del film, la sua buona fede rimane in dubbio: sembra cedere alle lusinghe del Signore delle Tenebre e Jack, contro tutte le apparenze, dovrà compiere un ulteriore atto di fede nei suoi confronti. Solo l’inevitabile happy ending fugherà i dubbi sulla lealtà della ragazza, che sin dal principio è guidata dall’ingenuità e non dalla malizia. Jack, inizialmente presentato come un innocente “buon selvaggio”, dopo l’incontro con gli Unicorni prende progressivamente consapevolezza della meschinità del mondo, tramutandosi egli stesso in un personaggio più smaliziato. Più che spada e scudo, infatti, le armi che imparerà a usare lungo il cammino sono quelle della seduzione e dell’inganno: con cinismo spietato, seduce e tradisce il mostro Meg per raggiungere i propri scopi. Ormai disincantato, nel finale esiterà a fidarsi nuovamente di Lili, e solo la forza del suo amore gli impedirà di ucciderla. Ridley Scott non rinuncia, quindi, a inserire elementi della sua poetica, seppur dentro ai binari di un’affabulazione classica.