I gemelli Reggie e Ronald Kray furono, negli anni sessanta, due leggende della criminalità britannica: precisamente in quella parte dell'East End in cui abitavano, gestivano affari e possedevano un famosissimo locale notturno, frequentato, oltre che dal loro losco giro, anche da persone comuni e star dell'epoca.
Praticamente identici nella conformazione, i due erano assai dissimili nel carattere: se infatti Reggie era un uomo prudente, che sapeva gestire col giusto pugno l'impero e il timore innalzato nel tempo, Ronald era un sociopatico, incontrollabile, pericoloso da tenere a piede libero e paragonabile a una bomba a orologeria dal costante ticchettio.
In "Legend" il regista e sceneggiatore Brian Helgeland tenta di ricostruire la loro vita criminale e il loro rapporto familiare, affidandosi a un Tom Hardy in formissima, capace di interpretare entrambi i fratelli inglesi, conferendo ad ognuno una personalità, un atteggiamento e un modo di parlare ben distinto e preciso. Sulle sue spalle sono piantate le radici di un gangster-movie progettato a regola d'arte, scenicamente magniloquente e narrativamente muscolare e violento, in linea, insomma, con quello standard che ci si aspetta da chiunque decida di intraprendere tale genere e di cimentarsi con tale mondo. Ci infila quello che serve Helgeland nella sua pellicola, fa tesoro degli schemi solidi che ha ben chiari nella testa e oltre alla criminalità affronta da vicino quel concetto di famiglia - spesso ingombrante, ma da difendere e rispettare a tutti i costi, specialmente per quel che riguarda la malavita - affiancandolo all'immancabile presenza di una relazione amorosa - magari persino sincera - destinata come sempre a creare problemi e a mettere bastoni in mezzo alle ruote sia negli affari che nei legami affettivi.
Tutto come da copione, diciamo. Nulla di nuovo.
Pensa possa bastare il carisma di Hardy "Legend" per affermarsi, pensa che il gioco del doppio sia sufficiente a coprire la ridondanza e le mancanze di una sceneggiatura così scontata da non essere capace di andare ben oltre lo spessore dei protagonisti che racconta. La verità tuttavia è un'altra, e cioè che l'attore inglese per quanto sontuoso e ineccepibile con lo scorrere della trama finisce per esaurire energie e venire accartocciato malamente dall'ordinarietà con cui Helgeland gli chiede di muoversi e di agire. Gli strappi maggiori la sua pellicola li concede tutti nella prima metà, cioè quella in cui è piazzato il set-up dei due criminali e dove il divertimento e la violenza sanno come andare incontro ai piaceri del pubblico esaltandolo e intrattenendolo. Scoperte le carte a "Legend" restano poche mosse da fare, la maggior parte prevedibili e quelle che non lo sono, appaiono lo stesso abbastanza statiche per andare a rimettere in moto quel motore che non era mai stato tanto caldo, ma perlomeno, in partenza sapeva come sprintare e accennare ruggiti.
In una materia che di per sé ha già avuto la possibilità di dire tutto, ormai, la sola via da seguire è quella di rinnovare e di affacciarsi agli spettatori mostrando qualcosa di spiazzante e innovativo. Tom Hardy al quadrato poteva essere un aperitivo o un primo piatto, per "Legend", ma dopo di quello era bene che ad essere serviti a tavola fossero stati pure un secondo e un contorno.
Avesse adempito a questo compito Helgeland, poteva ritenersi soddisfatto e diciamo che, in tal caso, saremmo stati addirittura disposti a chiudergli un occhio sull'assenza del dolce.
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