Prendi un paesucolo di provincia, Chester’s Mill, New England, nella provincia più sonnolenta d’America. Prendi una cupola fatta di nonsicapiscecosa, che un giorno cala inesorabile ai confini della cittadina e la isola dal resto del mondo. Poi racconta per mille pagine come si comporta la gente lì dentro. Chi ammattisce e chi no. Chi domina chi. Chi aiuta chi. Chi vuole fottere chi.
Ecco tutto. Ecco Stephen King, il genio delle cose idiote. Perché King scrive per giocare. Per spassarsela. Letteratura come puro meccanismo ludico, sfida con sé stessi, prova pura di narrazione. Bene, caro Steve, parti da uno spunto qualunque, e vedi se riesci a costruirci su una storia credibile. Più è difficile più è divertente. Ci riesci? Vediamo.
E mi raccomando, il risultato deve essere grandioso. Deve far esclamare Oooohhh. Deve essere bum! Bum! Bada bum!
Una leggerezza che viene direttamente dal glorioso passato dell’horror e del fantasy, del pulp, della letteratura di consumo degli anni ’40 e ’50. Ovvero la scuola in cui è cresciuto il piccolo Steve, quel genietto che scriveva, stampava e distribuiva i suoi giornalini al liceo.
Nessun intellettualismo, nessuna posa, nessuna menata sul cosapensoio, ma solo l’orgoglio di artigiano, il senso della sfida, la particolare cifra dello spasso che sembra stare alla base della sua letteratura. Uno spasso provato e approfondito fino all’estremo, un gioco condotto con perseveranza e pazienza. Un sudoku di cui l’artigiano King è diventato un maestro formidabile.
Uscito negli Stati Uniti lo scorso ottobre, The Dome è una gioiosa macchina da guerra. Un caleidoscopio narrativo costruito magistralmente. Un romanzo da dissezionare e riempire di appunti, da studiare nei corsi di letteratura nelle lezioni “Come si fa a…” (Se solo ci fossero lezioni simili, nella scuola italiana). Decine e decine di personaggi costruiti alla perfezione, centinaia e centinaia di eventi resi con estro ed efficacia, il racconto disinvolto ed esauriente di tutto un micromondo: delle sue dinamiche, dei suoi umori e della sua disfatta. Un’idea che il Re sedimentava da trent’anni, dal romanzo abortito The Cannibals degli anni ‘70.
Tecnicamente, è il frutto di una vita di scrittura, di un’idea di letteratura che ha come priorità Il Lettore. “E tu, Fedele Lettore. Grazie di aver letto questa storia – si legge infatti nella nota dell’Autore conclusiva – Se ti sei divertito come me, è andata bene a tutti e due”.
E io mi sono divertito. L’ultimo romanzo di King scorre via come l’acqua, si legge con piacere e trepidazione. Cominci e non puoi smettere: devi vedere come va a finire. Una volta ogni tanto riesci a mandare a fanculo tutte le tue sovrastrutture intellettuali, l’abitudine all’analisi e all’ipercritica, la puzza sotto il naso e tutti i discorsi proto e meta e para e beta della cultura europea. No no ragazzi, qui c’è da divertirsi. Ti metti sulla poltrona e leggi, ti appassioni, ti emozioni, ridi, piangi. Come facevi a dodici anni.
Ciò non vuol dire che The Dome non abbia la sua valenza intellettuale. Che non parli di problemi reali, che Stephen King non “dica la sua” su una moltitudine di questione. Il romanzo si può leggere come analisi dei meccanismi del potere, come riflessione sulla fragilità della civilizzazione umana, come grandiosa ed efficace metafora ecologica. Perché The Dome è un romanzo-mondo, e in un mondo c’è spazio per infinite discussioni e punti di vista.
Tre buone recensioni
http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2009/11/24/the-dome/
http://sandronedazieri.nova100.ilsole24ore.com/2009/11/il-cupolone-alias-the-dome.html
http://www.stephenking.it/index.php?option=com_content&view=article&id=399:2009-the-dome&catid=13&Itemid=41
la notizia del film con Spielberg
http://www.cineblog.it/post/19727/the-dome-potrebbe-arrivare-sugli-schermi-diretto-da-steven-spielberg