Stamattina sono andato al mio vecchio
liceo per consegnare questi libri ai ragazzi.
Avevo appuntamento alle otto e mezza, ma sono uscito
così presto da casa da incontrare gli ultimi ritardatari, quelli che hanno
l’abitudine di arrivare un soffio prima che chiudano i cancelli.
Sono entrato con loro e, per un momento, mi
sono sentito uno di loro.
Tra quelle pareti giallo oca ho respirato a
pieni polmoni l’aria di cui avevo dimenticato il sapore. Non ho salito gli
scalini a due a due come quando c’era il compito
alla prima ora e con gli altri compagni ci contendevamo i posti migliori. Ho
fatto con calma, per non lasciarmi sfuggire neanche la più piccola delle sensazioni.
Mi sono emozionato nel
confondermi tra i ragazzi, prima che arrivasse la professoressa, ed è stato
strano vederla avvicinarsi e non avere l'istinto di entrare subito in classe con
loro. Mi ha parlato brevemente, si è congratulata per aver avuto il coraggio di
inseguire un sogno e di essere riuscito a concretizzarlo in questo modo quasi
assurdo. Mi ha dato appuntamento a dopodomani, poi mi ha salutato, chiudendo la
porta dell’aula alle sue spalle.
Sono rimasto per
qualche minuto ancora lì fuori, nel corridoio.
Mi
sono guardato intorno travolto dai ricordi. Ho sorriso.
Ho sorriso sentendomi diverso, quasi un altro.
Stamattina a scuola sono entrato senza zaino, leggero,
contento, rinato. Quel ragazzino grassoccio e imbranato è diventato un piccolo e
sempre imbranato uomo. E, anche se sono già in ansia per le due presentazioni,
anche se so già che l'imbarazzo sarà tanto, non vedo l'ora.
Non vedo l'ora di tornare nuovamente in classe, ma dal
lato opposto della cattedra.