Leggi che ti passa/Capodanno

Creato il 31 dicembre 2010 da Frafiori

Chi mi conosce lo sa e già l’avrà ricevuto via mail come ogni anno. Il racconto di capodanno è una tradizione che si rinnova ormai dal 2002. Quest’anno ho provato ad anticipare quello che credo sarà il tema dei racconti di capodanno nel mondo l’anno prossimo…
Grazie a tutti i visitatori di questo blog, auguri di cuore da blogarond e dall’autore. A voi L’ultimo capodanno

L’ultimo Capodanno
31/12/2010 F.F.

«Allora è deciso, ultimo rientro a mezzanotte.»
«Dovresti cominciare a uscire, prima.»
«Nonno la pianti… che cosa dovrei fare secondo te, andare al freddo in piazza e camminare sui cocci di bottiglia?»
«Dovresti trovarti una ragazza, sai come si dice chi non ci dà a capodanno…»
«Non ti ci mettere anche tu eh Mario, passerò il capodanno con voialtri vecchiacci e se non vi sta bene tanto meglio, almeno avrete un buon motivo per lamentarvi!»
«Smettetela di importunare il piccolo, diamo le carte piuttosto, su.»
«Il piccolo? C’ha trent’anni ormai. Il piccolo…»
«Ventisette prego.»
«Io alla tua età…»
«Sì nonno lo so, alla mia età non sapevi dove metterle le ragazze, io no.»
«Non è che sei finocchio vero?»
«Insomma Mario quante volte te lo devo dire, no!»
«Ma possibile che non hai nessuno di meglio con cui passare il capodanno di tre vecchi nel sotterraneo del bar più squallido della città?»
«No, non ho amici ok e anche volendo non potrei averli se no mi dareste del frocio.»
«Comunque non si dice così, si dice gay al massimo, omosessuale è meglio però.»
«Stai zitto Alvaro.»
«Sì, zitto Alvaro.»
Il tavolo verde è imbandito di fiches e carte, il ronzio del neon sovrasta ogni rumore, persino la musica del vecchio jukebox anni ottanta seppellito nel sotterraneo del bar Da Valdo. Il giovane Lupo è seduto tra nonno Paolo, Mario e Alvaro amici da una vita. Non è un granché vista così ma Lupo non vorrebbe essere da un’altra parte e i tre vecchi nonostante le polemiche sono felici che lui sia lì.
Mancano ancora due ore a mezzanotte, Alvaro è il cronometrista ufficiale, come tutti gli anni. Sono trentadue anni che i tre vecchi passano il capodanno Da Valdo, non sono sempre stati nel sotterraneo del bar ma da quando su non si può più fumare il buon Valdo ha portato giù un tavolo e gli ha fatto il privé. Lupo ricorda ancora quando da piccolo sognava di poter andare al bar con nonno Paolo e da quando ha fatto 21 anni, per i nonni prima dei 21 non sei maggiorenne, non si è perso un capodanno Da Valdo. Non gli piacciono le feste, i botti e lo champagne, non gli piacciono nemmeno i vecchi a dirla tutta, ma per lui essere lì vuol dire essere grande, non vecchio, grande e dio solo sa quanto ne avesse bisogno.
Il sette e mezzo languiva già dopo mezz’ora, Lupo aveva provato mille volte a proporre nuovi giochi ma la risposta era sempre la stessa: «se non ti sta bene trovati una ragazza», allora lasciava scorrere le carte davanti agli occhi senza partecipazione. A un’ora e mezzo dalla mezzanotte, dalla porta in cima alle scalone di ferro apparve il buon Valdo.
«Allora vecchietti. Vi ho portato la benzina.»
Valdo aveva la stessa età di nonno Paolo, erano imboscati insieme durante la guerra in un paesino delle Langhe, appoggiò una bottiglia di sambuca e una di grappa sul tavolo verde prendendosi pure le bestemmie di Mario perché intralciavano il gioco.
«Godetevele va che questo è l’ultimo anno.»
«Parla per te!» dissero insieme Paolo e Mario toccandosi le parti basse, l’Alvaro arrossì, fece un sorrisetto e disse: «Stupidi…».
«Da domani vado in pensione e il bunker si chiude!»
«Ue, ue, piano, che vuol dire si chiude, finalmente potrai passare il capodanno con noialtri qui sotto, invece che far finta di lavorare.»
«Vedremo eh, mi sa che Flavio non è tanto d’accordo. A proposito, se arriva a salutarvi…»
«Ne dubito.» disse Mario.
«Anch’io… ma se dovesse venire fate sparire le bottiglie eh, se no capace che ve le fa pagare. Ci vediamo alla solita ora ragazzi, spumante, pandoro e quest’anno c’ho pure la sorpresa.»
«Un bel puttanun?» urlò Mario già gasato.
«Ma va là stai bravo che son vent’anni che lo usi giusto all’orinatoio.»
«Io sono un eroe di guerra!» urlò Mario.
«Oh cacchio incomincia.» disse Lupo.
Valdo sapeva di aver toccato l’argomento giusto e si evitò lo spettacolo che aveva provocato correndo su per le scale e sparendo dietro la porta. Nonno Paolo e Lupo si misero la fronte tra le mani in attesa che finisse, l’unico che ascoltava rapito era, come al solito, l’Alvaro. Mario era compiaciuto da quell’attenzione e in trentadue anni non aveva ancora sospettato che Alvaro avesse un secondo fine.
«Io c’ho il mitra al posto dell’attrezzo che credete, andatelo a chiedere alla sciura Moroni…» La sciura Moroni era una povera signora con l’alzheimer che ai suoi tempi era un bel bocconcino, Mario la portava sempre ad esempio delle sue conquiste non si sa se perché era una bella figliola o perché non poteva smentirlo nemmeno volendo. «Ho fatto la campagna di Russia io e mi hanno pure sparato. Non ci credete? Ve lo faccio vedere io…»
Questo era il momento in cui ad Alvaro si illuminano gli occhi, come sempre. Mario si voltò, aprì cintura e pantaloni con rabbia e svelò le chiappe bianche e flaccide. Proprio al centro di quella destra c’è una cicatrice tonda che produce una specie di fossetta profonda meno di un centimetro. Alvaro era già col dito a mezz’aria e il sorriso ebete aspettando la solita richiesta: «Tocca, tocca, infilaci il dito.». Alvaro socchiuse gli occhi, mise la lingua tra le labbra e infilò piano la punta dell’indice nella fossetta. Tutto soddisfatto Mario allora si tirò su i calzoni e rimise a sedere: «E adesso datemi della sgnappa, impotenti.».
«Va bene, va bene ma calmati eh.» nonno Paolo stappò la bottiglia e riempì il bicchierino di Mario che lo svuotò in un sorso. Alvaro restò in estasi e per un’ora continuò a passarsi di nascosto, secondo lui, la punta dell’indice tra le labbra. Lupo avrebbe voluto dirgli di dichiararsi una volta per tutte ma era sicuro che la parola outing avrebbe generato un certo sconcerto tra i presenti e decise di soprassedere. Puntuale come un corriere svizzero, alle 23:45 Valdo apparve sulla porta in cima alle scale con la bottiglia di Riccadonna, il pandoro Melegatti e la sorpresa, che non era una peripatetica ma una ciotola da noccioline piena di pastiglie blu. Fu un tripudio, addirittura Mario lo abbracciò, Valdo dopo essersi goduto un po’ di gloria li zittì: «Dai che se arriva Flavio ci caccia tutti.».
«Figurati se ci sente, siamo al centro della Terra qui. Anzi, visto che tuo nipote rompe tanto i maroni lascialo su da solo e tu fatti il brindisi con noi, mancano dieci minuti, brindiamo e poi proviamo la sorpresa.» disse Mario.
«No, non posso ragazzi voi non lo conoscete quello, meglio che vado su, ci vediamo dopo. Ah e non prendetele se non avete con chi sfogarvi chiaro? Quella roba lì lo fa alzare anche ai morti Mario…»
«Ancora sta storia. Ti ho già detto che io sono un eroe di guerra!»
Alla parola “guerra” il buon Valdo era già sparito dietro alla porta in cima alle scale. Ci volle tutta la pazienza di nonno Paolo e il timore di Alvaro di perdere il momento esatto della mezzanotte per evitare un altro pippotto sulla campagna di Russia. A pochi minuti dal traguardo erano tutti pronti. La formazione era sempre la stessa: Alvaro al cronometro, nonno Paolo alla bottiglia, Mario in piedi in attesa del gesto di Alvaro per cominciare il conto alla rovescia, Lupo pronto coi bicchieri per contenere l’esondazione di Riccadonna. Tutto secondo tradizione. Al cenno di Alvaro, Mario iniziò: «Dieci, nove, otto, sette, sei, cin…»
Mario continuava a contare ma nonostante il vocione nessuno riusciva più a sentirlo. Un fragore clamoroso arrivò dalla superficie, come se i botti di Napoli, Caracas e Rio fossero esplosi tutti nello stesso momento e nella stessa stanza. Lupo, Paolo e Alvaro d’istinto si erano chinati sotto al tavolo, il rumore finì appena in tempo per sentire il “ro” di “zero” urlato da Mario, talmente preso dal suo compito da non aver capito nulla.
Dopo qualche istante, i tre, piano piano, uscirono da sotto il tavolo.
«Allora questo vino!» urlò Mario ma quando vide le facce dei tre amici non riuscì più a lamentarsi. Dopo il fragore era calata un’atmosfera surreale, i neon continuavano a ronzare ma illuminavano a intermittenza mentre il jukebox suonava un pezzo di Bon Jovi a tutto volume.
«Ma che diavolo…» Lupo tentò di prendere la situazione in mano «…vado a vedere.» disse avviandosi verso la scala.
«No.» urlò Mario «Ci vado io. Io ho fatto la guerra!»
«Mario non è il momento.» disse nonno Paolo.
«Lascialo dire.» disse Alvaro già col dito alzato.
«Mario, Alvaro, per favore. Date retta al ragazzo, c’è qualcosa che non quadra. Vai Lupo.»
Il ragazzo guardò il nonno che gli fece un cenno d’incoraggiamento e cominciò a salire le lunghe scale di ferro, arrivato sul piccolo pianerottolo davanti alla porta tentennò un attimo, poi schiacciò la maniglia con forza e per poco non venne travolto da una puzzolente pasta biancastra che scaturiva dall’interno di quello che rimaneva del bar. Il fiotto di pasta attraversò la porta e si fermò al limitare del pianerottolo di ferro, Lupo aveva fatto appena in tempo a schivarlo addossandosi al parapetto. La pasta biancastra sbucava dal pianerottolo e restava sospesa sulle teste dei tre vecchi che lo fissavano da sotto con le bocche aperte e gli occhi sgranati, sembrava quasi dentifricio ma meno bianco e soprattutto puzzava come lo sterco di cento vacche indiane.
«Ma che cos’è?» gracchiò Alvaro che teneva il pugno in bocca in bocca e un gomito in mano «Dov’è Valdo?»
«Che te ne frega di Valdo adesso, piuttosto passiamo all’azione, in Russia sono rimasto bloccato da una slavina per sedici giorni. Ho fatto la guerra io che credete, che un po’ di dentifricio alla merda mi spaventi?» Mario era già esaltato e cominciò a girare per la stanza in cerca di armi.
«Aspettate, aspettate, Lupo di cos’è fatta quella roba?»
Lupo vinse lo schifo e toccò la pasta biancastra che usciva dalla porta. «Sembra resina nonno, plastica fusa forse, non saprei. So solo che puzza di brutto.»
«Beh niente panico, devi provare a uscire, in fretta.»
«Ma che dici Paolo, vado io, io ho fatto la…»
«Basta!» nessuno aveva mai sentito nonno Paolo urlare prima, se no lo avrebbe senz’altro raccontato, una maestra elementare, un generale dei marines e un nazista in un solo grido.
Raggiunse il risultato infatti, Mario si fermò, Alvaro si ficcò le nocche ancora più dentro la bocca e Lupo disse: «Cosa devo fare nonno?»
«Non so cosa sia quella roba ma senz’altro si sta solidificando, il che vuol dire che abbiamo pochissimo tempo per uscire e tu sei l’unico che può farcela.»
«Ma come?»
«Dovrai nuotarci in mezzo finché è ancora liquida, appena esci vai sulla destra e tieniti attaccato al muro, a una decina di metri c’è una finestra, se fosse bloccata di fianco c’è il camino dovrai provare da lì.»
«Ma io…»
«Muoviti, c’è poco tempo.»
«E voi?»
«Noi siamo vecchi. Poi tu troverai aiuto e verrai a salvarci, ora vai.»
Lupo guardò il nonno, Alvaro che si tormentava le nocche con le lacrime agli occhi e Mario che borbottava: «Dovrei andarci io, ho fatto la guerra io…».
Fu il segnale che nonno Paolo aveva ragione, erano vecchi e Lupo aveva proprio voglia di andare a farsi un giro, soprattutto non voleva vedere l’effetto del Viagra su Alvaro e Mario che senz’altro prima o dopo l’avrebbero provato, gli dispiaceva giusto per il nonno. Toccò di nuovo la pasta, era sempre più dura e i bordi da bianchi stavano diventando trasparenti come la resina che imprigiona gli scarabei. Lupo unì le mani sopra la testa e si tuffò nel liquido pastoso, seguì le istruzioni del nonno, arrivò alla finestra ma il fuori non si distingueva più dal dentro, l’odore della pasta lo nauseava e cominciava a essere a corto di aria. Con le ultime forze trovò a tastoni la nicchia del camino si infilò dentro mentre la pasta diventava sempre più dura. Finalmente raggiunse la canna fumaria e dopo due bracciate verso l’alto si trovò con la testa libera e respirò aria mista fuliggine con avidità. Liberò tutto il corpo dalla pasta e sedette sul cumulo che sembrava lievitare sotto di lui, spingendolo verso l’alto. Guardò in sù, dal comignolo si vedeva trapelare un po’ di luce, si fece forza e cominciò ad arrampicarsi per la canna fumaria finché non arrivò in cima. Dovette colpire fino a farsi sanguinare i pugni per rompere lo strato di pasta indurita che tappava il comignolo.
Quando riuscì a issarsi in superficie vide una distesa di pasta resinosa a perdita d’occhio, aveva coperto tutto, come un immenso pavimento di quelli dei musei, solo che sotto invece delle rovine si vedevano esseri umani, vetture, animali e palazzi come cristallizzati, immobili, scarabei intrappolati nella resina.
Lupo sorrise, «È successo, – disse – l’avevo detto io.».
Si tastò le tasche, pescò una Lucky Strike e la accese, faceva caldo come in agosto, tolse la maglia e rimase in camicia, intanto mano a mano che la pasta s’induriva il suolo sotto di lui diventava trasparente, mostrando dettagli sempre più precisi della vita che si era inghiottita.
Lupo pensò che il mondo era finito, poi che tecnicamente no, perché lui era vivo e anche i vecchi là sotto, almeno finché Alvaro e Mario non avessero preso il Viagra, erano vivi.
Si rese conto che a ben pensarci aveva sognato mille volte di trovarsi in quella situazione: l’ultimo uomo sulla faccia della Terra. Allora tornò sui suoi passi e si diede da fare per tappare per bene il comignolo da cui era sbucato. «Perdonami nonno ma se c’è una cosa che proprio non voglio nel mio mondo sono tre vecchi imbottiti di Viagra.» diede due ultime bottarelle col piede per assestare bene la resina e cominciò a correre. Si tolse le scarpe lanciandole via, le guardava scivolare sulla distesa di resina che si estendeva fino all’orizzonte, era liscia, pulita, calda. Non pensava all’acqua, al cibo, all’umanità, riusciva solo a pensare che finalmente avrebbe avuto tutto il tempo di trovarsi una ragazza e ripopolare il mondo, che era poi il finale obbligato di tutte le volte che aveva sognato di diventare l’ultimo sopravvissuto.
Si fermò di colpo, si sdraiò sulla schiena, appoggiato sui gomiti si guardò intorno, sicuro che da qualche parte si nascondeva la sua femmina ripopolamondo. Più la resina seccava e più il vecchio mondo imprigionato di sotto assumeva i contorni di un’immensa opera d’arte. Non si chiese come fosse successo, pensò solo che era molto meglio di quello che si era immaginato.
«Adoro la fine del mondo.» disse, dando fuoco a un’altra Lucky Strike.

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