Succede questo: che spesso, quando rendiamo pubblico che un certo libro ci è piaciuto, lo facciamo non tanto perché ci teniamo alle sorti di quel libro e vorremmo che altre persone abbiano lo stesso godimento intellettuale che abbiamo avuto noi nel leggerlo, quanto perché il fatto di rendere pubblico che quel libro ci è piaciuto dice qualcosa di noi. Credo che sia una cosa tipica di questa epoca, o perlomeno penso che in tempi remoti un certo tipo di atteggiamento fosse molto più stemperato. Di questi tempi invece i libri, più che leggerli per il piacere di leggerli, li indossiamo per ego e vanità (lo stesso vale per i dischi e per i film). Non è un caso che ci piace tanto, per esempio, compilare le liste di iscrizione a un social network in cui ci viene chiesto di indicare i nostri libri preferiti. L’uomo contemporaneo, in realtà, quando compila questo genere di liste non indica i libri che gli hanno procurato il miglior intrattenimento di cui serba memoria, né i libri che sono stati fondamentali per la sua formazione umana e culturale; indica i libri che gli assomigliano. Così, se il lettore in questione è un indisciplinato col gusto per la vita sbaragliata, senza dubbio indicherà fra le sue letture un Bukowski, un beat e un Céline. E se sarà del genere dedito a forme raffinate di intellettualismo, interessato alla psicanalisi e con valori laicisti e cosmopoliti, finirà per manifestare la sua indomita passione per Philip Roth (e metterà un’opera di Woody Allen, preferibilmente delle prime in ordine cronologico, nella sezione “film preferiti”). E ancora, se frequenterà corsi di scrittura creativa con un certo accanimento, nella sua lista non mancheranno DeLillo, Carver e Cheever. Ma è frequente il caso che, sia il tipo indisciplinato col gusto per la vita sbaragliata, sia il colto interessato alla psicanalisi e con valori laicisti e cosmopoliti, sia il frequentatore incallito di corsi di scrittura creativa, non abbiano mai letto in vita loro un solo libro di Bukowski, di Roth e di Cheever. Però loro, del tutto in buona fede, vi diranno che di questi autori maneggiano con una certa padronanza l’opera omnia. O se hanno letto qualcosa, magari si sono fermati a metà libro, o semplicemente si sono innamorati non tanto del libro, quanto delle rifrazioni delle opere di questi autori nel mondo, o peggio ancora della loro biografia di uomini. Insomma, uno dei vizi peggiori di questi tempi convulsi e tormentati è che leggiamo un libro (quando lo leggiamo) non per avere un momento di delizia con noi stessi, ma per correre a dire al mondo che abbiamo letto quel libro, sperando che il mondo accolga questa notizia imprescindibile nel modo giusto e si faccia così una sincera opinione di noi.
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Leggiamo i libri per il piacere di leggerli o li “indossiamo” per ego e vanità?
Creato il 23 maggio 2013 da AndreapomellaPossono interessarti anche questi articoli :
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