Lenin, il protagonista della rivoluzione d’ottobre

Creato il 22 aprile 2014 da Postpopuli @PostPopuli

di Emiliano Morozzi

Stalin, Lenin e Kalinin (da Wikimedia)

Il 22 aprile 1870 nacque nella cittadina di Simbirsk Vladimir Ilic Uljanov, meglio conosciuto come Lenin, il protagonista indiscusso della Rivoluzione d’Ottobre, politico controverso, eletto da alcuni come simbolo della rivincita delle masse operaie e contadine contro lo sfruttamento borghese e considerato da altri soltanto un anticipatore di un regime dispotico che farà milioni di morti. Sicuramente Lenin è stato per molti anni un simbolo, anche se in tempi recenti l’importanza della sua figura è stata offuscata dal crollo di quel regime che anche lui aveva contribuito a costruire.

Allevato ai principi del populismo e del marxismo fin da ragazzo, Lenin finì per rinnegare i primi e applicare i secondi in maniera originale, facendo nascere uno stato comunista laddove nessuno lo avrebbe pensato, nell’arretrata Russia zarista. Per il rivoluzionario russo, a guidare l’instaurazione della dittatura del proletariato doveva essere una elitè di rivoltosi capaci di possedere la “coscienza di classe”, ovvero la comprensione del rapporto che lega i capitalisti all’ordinamento economico. Il partito doveva essere l’avanguardia rivoluzionaria, il faro capace di guidare le masse verso l’abbattimento del regime zarista prima e verso l’instaurazione della dittatura del proletariato, rappresentato in Russia dai Soviet.

La classe operaia doveva essere soltanto uno strumento, e Lenin era contrario allo spontaneismo di certe manifestazioni popolari, una visione quasi oligarchica della politica dove le masse sono quasi relegate al ruolo di “carne da cannone”, una visione ribadita nel suo saggio “Che fare”, che portò il rivoluzionario russo all’isolamento. La rivoluzione fallita del 1905 porterà Lenin a dichiararsi favorevole a una rivoluzione democratica, purché guidata dalla classe operaia, in vista di una prossima rivoluzione socialista, ma fu la guerra con il suo carico di tragedie ad assestare il colpo mortale al traballante regime zarista. Sconfitto rovinosamente dall’esercito tedesco nelle battaglie di Tannerberg e dei Laghi Masuri, l’esercito russo fu costretto a rimanere sulla difensiva e pagò un altissimo tributo di sangue. Di fronte agli appelli di alcuni partiti alla difesa della patria aggredita, Lenin rispose bollando la guerra tra potenze come “guerra imperialista” ed invocando ripetutamente l’uscita della Russia dalla guerra. Proprio per questo motivo, mentre l’Inghilterra gli negava il diritto di attraversamento dei suoi territori, la Germania permise il transito del rivoluzionario verso la madrepatria, convinta che l’agire politico di Lenin avrebbe provocato un’uscita della Russia dal conflitto.

Così fu e dopo la rivoluzione democratica di Febbraio, i bolscevichi presero il potere ad Ottobre abbattendo un fragile regime democratico, incapace di tenere a freno le varie forze destabilizzanti che operano all’interno del paese, compresi numerosi generali che minacciano una controrivoluzione come Kornilov. La rivolta dei marinai della base di Kronstadt è la scintilla che accende la miccia della Rivoluzione d’Ottobre, che porta Lenin e i bolscevichi al potere. Sono, secondo la definizione del giornalista americano John Reed, “dieci giorni che sconvolsero il mondo”: per la prima volta al mondo, è la classe operaia a governare un paese e quella che scrivono Lenin e i suoi è una carta costituzionale molto avanzata per l’epoca, dalla carica simbolica dirompente: viene introdotto il suffragio universale e la parità dei diritti tra uomo e donna, vengono confiscati i beni ecclesiastici e dei grandi latifondisti e aboliti tutti i privilegi, viene riconosciuta la libertà di opinione, di stampa e il diritto di professare liberamente la propria convinzione religiosa.

Tali principi sulla carta così avanzati restano però lettera morta in parte per gli eventi esterni (la ormai imminente guerra civile), in parte per la recrudescenza dei bolscevichi nei confronti degli oppositori. Viene istituito un apposito corpo di polizia con il compito di individuare e reprimere tutti i “controrivoluzionari”, vengono istituiti tribunali popolari, il sospetto diventa un cancro che rode il tentativo rivoluzionario e lo spinge verso forme di governo dittatoriali.

È lo stesso Lenin a non mostrare alcuna pietà verso coloro che vogliono restaurare il vecchio regime zarista e proprio per questo motivo ordina di fucilare in segreto lo zar e tutta la sua famiglia. La situazione caotica della Russia dopo la caduta del regime zarista continua anche dopo la presa del potere dei bolscevichi e le forze ostili al tentativo rivoluzionario di Lenin e compagni impugnano le armi per combattere il nascente regime dei soviet. Lenin impone così il “comunismo di guerra”, requisisce tutto ciò che può essere utile al sostentamento delle truppe della nascente “Armata Rossa” e alla fine di una sanguinosa guerra civile doma i rivoltosi, ma il prezzo pagato è altissimo: migliaia di persone muoiono di fame, le libertà civili sancite dalla costituzione sono subito soppresse, la polizia politica arresta e uccide chiunque sia sospettato di covare idee controrivoluzionarie. È il cosiddetto periodo del “Terrore rosso”, durante il quale il nuovo stato dei Soviet non si comporta tanto diversamente dall’odiato nemico zarista, un periodo che segna anche Lenin nel fisico e nelle idee. Nel 1921 infatti il leader sovietico rinuncia al comunismo di guerra e all’instaurazione di un’economia pianificata e si fanno piccole concessioni all’economia di mercato e a quelle libertà civili che gli stessi bolscevichi avevano dichiarato di voler tutelare nella Costituzione. Determinanti in tal senso furono le continue sommosse anche di coloro che avevano appoggiato attivamente la Rivoluzione d’Ottobre, come i marinai della base navale di Kronstadt.

Un ictus colpisce il leader sovietico il 25 maggio 1922, costringendolo a una lunga lotta contro l’infermità che terminerà un anno e mezzo più tardi con la sua morte. In un presunto testamento (del quale ancora oggi l’autenticità rimane incerta) Lenin avrebbe scritto a chiare lettere di non voler lasciare il potere nelle mani di Stalin: una premonizione su quella che sarà da lì in poi l’Unione Sovietica, una feroce dittatura, anche se all’estero a lungo rimarrà in auge l’immagine di uno stato sovietico paradiso degli operai e dei rivoluzionari.

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