di Rina Brundu. In questi giorni si fa un gran parlare mediatico di CERN e di materia oscura. Vero è che si è atteso per anni che il LHC lavorasse con piena potenzialità facendo scontrare migliaia di fasci di protoni a energia record ma è pur vero che quando si sente parlare troppo di materia oscura sui media nazionalpopolari ti viene da concordare con Leonard Susskind (1) e pensare che l’argomento sia un poco sopravvalutato dato che probabilmente la stessa dark matter si spiegherà perfettamente con la scoperta di numerose particole subatomiche finora sconosciute.
Detto questo concedo che forse Susskind esagera con la “sufficienza”, difficile però dargli torto quando si ha davanti un quadro più completo di quelle che sono le vere “zone di frontiera” della Nuova Fisica, ovvero degli argomenti che chiamano le battaglie “più affascinanti”. Difficile negare inoltre che lui non sia stato un primo protagonista di una delle battaglie più importanti combattute dai fisici in tempi recenti: la battaglia per i black-holes (buchi neri). Una disfida cosmica senza esclusione di colpi che ha infine portato Stephen Hawking a ritrattare quanto teorizzato agli inizi della sua carriera e ad ammettere che no, l’informazione non si perde nei black-holes.
Francamente, dato che ormai in materia di Nuova Fisica mi manca solo di riprendere la matematica e mettermi a scrivere le mie equazioni (cosa che non farò, preferendo coltivare il sogno di iscrivermi presto a una facoltà di Filosofia della Scienza decente, una questione urgente viste le cazzate che scrive la filosofia contemporanea italiana senza apparentemente avere coscienza dei boundaries di pensiero allargati che impone la conoscenza approfondita della meccanica quantistica), non è che la “vittoria” di Susskind mi convinca troppo, anzi c’é qualcosa che non mi convince affatto. Tra le altre cose, se io fossi stata uno degli studenti presenti alla conferenza di astronomi di Silicon Valley (video-linkata qua sotto), animata proprio da Susskind nel ruolo di guest-star, confesso che non mi sarei trattenuta dal fargli questa fondamentale domanda: dato il sacrosanto principio fisico che l’energia non si perde ma si trasforma, se è vero che l’informazione non si perderebbe neppure nel black-hole, perché é questo che è stato “costretto” ad ammettere Hawking, e se lo storage dei dati avverrebbe nel perimetro dello stesso black-hole, fino a farne una sorta di freezing (in virtù forse del venir meno della dimensione spazio-tempo), una volta che questo mostro cosmico esala l’ultimo respiro, ovvero esplode, dove va a finire l’informazione? Di fatto se Susskind avesse ragione, e tenendo in conto che i black-hole divorano galassie, durante questa esplosione finale dovrebbe essere rilasciata, nello spazio intorno, una quantità di informazione uguale a quella “trattata” dal black-hole durante la sua lunga vita, procurando una sorta di mini big-bang (in senso lato, inteso come rilasciamento di energia) verso l’esterno, cioè dentro il nostro stesso universo visto che l’informazione non si perderebbe dentro il black-hole: come mai non si è mai sentito parlare di una simile cosa? Non sarebbe più logico pensare che l’informazione non si perda ma venga “inghiottita” dal black-hole e rilasciata nel suo misteriosissimo fondo, qualunque esso sia, se c’é. Sì, questo dubbio mi assilla, ma fortuna vuole che di black-holes non se ne interessi il solo Susskind e che in realtà proprio mentre parliamo ci siano laboratori finanche impegnati a crearli in laboratorio… In realtà, gli stessi scontri di particelle al CERN dovrebbero creare mini black-holes come previsto dalle equazioni einsteniane tanto tempo fa.
Di converso, essendo abituata al “vocabolario” e ai costrutti della Nuova Fisica, faccio meno difficoltà a capire la congettura susskindiana del principio olografico (2), anche applicata ai buchi neri e che raramente compare sui giornali nazionalpopolari forse perché genererebbe, credo, qualche perplessità nel signor Rossi qualunque. Eppure, abituarsi a pensare che l’universo percepito dai nostri sensi è probabilmente solo “un’impressione” della sua vera essenza sarà il task principale degli studenti del futuro e quell’abitudine un tratto importante che caratterizzerà l’umanità che verrà. Non si può che rallegrarcene considerando che oggi come oggi il 98% di quell’umanità, soprattutto in Italia, anziché ragionare sui discorsi importantissimi che vanno facendo i fisici teorici, è presa da gare di rutto libero mentre seduta in poltrona ad ascoltare pseudo-discorsi di pseudo-politicanti da strapazzo dotati di soli due neuroni che quando comunicano (il cervello si parla) lo fanno solo per ingiuriarsi l’uno con l’altro.
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Se avete tempo, sugli argomenti menzionati qua sopra consiglio questa interessantissima “lecture” di Susskind… si potrà non concordare ma si impara tanto, tantissimo e alla fine non si può essere le stesse persone di quando si è cominciato ad ascoltarla….
1) Leonard Susskind (New York, maggio 1940) è un fisico statunitense.
È professore di fisica teorica alla Stanford University nel campo della teoria delle stringhe e della teoria quantistica dei campi. Susskind è da molti considerato come uno dei padri della teoria delle stringhe per i suoi primi contributi all’applicazione di tale modello alla fisica delle particelle.
Biografia
Susskind, il cui vero nome è Leonardo, nasce a New York in una famiglia ebraica di modeste condizioni economiche. Inizia a lavorare come idraulico all’età di tredici anni. Più tardi si iscrive al City College of New York come studente di ingegneria. È stato sposato due volte, la prima nel 1960, e ha avuto quattro figli. Si laurea in fisica nel 1962. In seguito, consegue il dottorato di ricerca nel 1965 alla Cornell University.
Carriera
Susskind è professore di Fisica alla Stanford University dal 1979. È stato eletto al National Academy of Science e all’American Academy of Arts and Sciences e nel 1998 gli è stato conferito il premio Sakurai per la fisica teorica.
Susskind è autore dei libri: The Cosmic Landscape: String Theory and the Illusion of Intelligent Design, Little, Brown and Company, Boston 2005 [trad it. Il paesaggio cosmico. Dalla teoria delle stringhe al megaverso, Adelphi, Milano 2007] La guerra dei buchi neri, traduzione di Franco Ligabue 2009, 4ª ediz..
È stato uno di almeno tre fisici che scoprirono indipendentemente, attorno al 1970, che il modello di risonanza duale per le interazioni forti di Gabriele Veneziano poteva essere descritto da un modello quantistico di stringhe.
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2) Il principio olografico prende spunto da calcoli effettuati sulla termodinamica dei buchi neri, che implicano che l’entropia massima possibile contenuta in una regione sia proporzionale alla superficie che racchiude la regione, non al suo volume come ci si aspetterebbe (ovvero al quadrato del raggio piuttosto che al cubo).
Nel 1972, lo scienziato e astronomo Jacob Bekenstein si domandò cosa accade a un oggetto con entropia, ad esempio un gas caldo, quando varca l’orizzonte degli eventi di un buco nero, se essa scomparisse, ciò comporterebbe una violazione del secondo principio della termodinamica, in quanto il contenuto aleatorio del gas, ovvero l’entropia, sparirebbe una volta assorbito dal buco nero. La seconda legge può essere salvaguardata solo se si considerino i buchi neri come oggetti aleatori, con una enorme entropia il cui incremento compensi abbondantemente l’entropia del gas risucchiato.
Nel caso specifico del buco nero, la teoria olografica comporta che il contenuto informativo caduto nel buco nero sia interamente conservato in corrispondenza dell’orizzonte degli eventi, nella misura calcolata di un’area di Planck per ogni bit d’informazione aggiunto (fotone in entrata di lunghezza d’onda pari al diametro dell’orizzonte).
Nel 1981 il fisico e cosmologo Stephen Hawking mise in luce un ulteriore paradosso: il paradosso dell’informazione del buco nero dovuto all’evaporazione dei buchi neri, fenomeno previsto dalla termodinamica dei buchi neri e da lui calcolato per altra via, in conseguenza della fluttuazione quantistica immediatamente sopra l’orizzonte degli eventi.
In seguito a tale evaporazione, l’informazione passata oltre l’orizzonte, ovvero oltre punto di non ritorno, si perderebbe, violando il principio di conservazione dell’informazione, ovvero il primo principio della termodinamica. Nel 1993 il fisico teorico Leonard Susskind propose una soluzione del paradosso, basata sul principio di complementarità (concetto mutuato dalla meccanica quantistica): il gas in caduta entrerebbe “o” non entrerebbe dentro l’orizzonte, a seconda del punto di vista: da un punto di vista esterno, un osservatore “vedrebbe” le stringhe, ovvero i componenti elementari del gas, allargare le spire fino ad abbracciare tutta la superficie dell’orizzonte degli eventi, sopra il quale si manterrebbe tutta l’informazione, senza alcuna perdita per l’esterno, nemmeno per successiva evaporazione, mentre per un osservatore che seguisse il gas in caduta, l’attraversamento dell’orizzonte avverrebbe senza particolari fenomeni di soglia, in conformità al primo postulato della relatività ristretta e al principio di equivalenza dovuti ad Albert Einstein. Fenomeni estremi, indescrivibili internamente, avverrebbero nella singolarità, ma tali fenomeni sarebbero complementari all’evaporazione, descrivibile esternamente all’orizzonte. Il principio olografico risolve dunque il paradosso informativo nel contesto della teoria delle stringhe.
Se tale soluzione suona strana, ciò è niente rispetto a quel che viene di conseguenza: sempre secondo Susskind, il principio olografico serve non solo a descrivere condizioni estreme, ma anche per descrivere la realtà fisica comunemente percepita, in relazione all’orizzonte degli eventi cosmico, ovvero il confine sferico (rispetto a un punto di vista situato al centro) dove l’espansione del cosmo tende alla velocità della luce. Come per il caso del buco nero, un osservatore situato sulla soglia remota dell’orizzonte cosmologico (e in contatto causale col centro), “vedrebbe” le stringhe, ovvero i componenti elementari della materia sensibile situata al centro, estendersi, dipanarsi e avvolgersi sulla superficie dell’orizzonte. Secondo il principio olografico, gli eventi da noi percepiti come tridimensionali e interni all’orizzonte (a bassa frequenza e bassa energia, cosiddetti infrarossi), sarebbero complementari ad eventi estremi (ad alta frequenza ed alta energia, cosiddetti ultravioletti) situati sulla superficie sferica bidimensionale dell’orizzonte cosmologico. Una soluzione matematica del principio olografico è stata ricavata per il caso particolare di uno spazio tempo a curvatura negativa: Spazio Anti de Sitter, ovvero a costante cosmologica negativa, opposta a quella misurata astronomicamente per il nostro universo, caratterizzato da una pressione di vuoto non nulla (definita impropriamente energia oscura), dunque instabile, asimmetrico e in espansione inflativa esponenziale.
(tratto da Wikipedia)