Francesco Tadini, recensione – Mostre Milano – Leonardo Nobili a Spazio Tadini
Leonardo Nobili RESTLESS SOUL – di Francesco Tadini – Al principio c’è il desiderio. Un movimento della volontà verso qualcosa che ci manca. Desideràre. L’etimo della parola latina arriva a de-sideràre: ci porta alle stelle (sidus, sidera). Lo sguardo e la volontà si muovono insieme. Si alzano fino a quella luce primaria – che possiamo osservare nella notte – e si lasciano guidare.
Il desiderio è movimento. Forse potremmo dire, addirittura, che è la ragione prima di qualunque viaggio, di qualunque spostamento. >
La quiete e l’inquietudine. La stasi e la tensione. Il nulla e il desiderio. Se non ci fossero le stelle non ci sarebbe l’universo, con tutto il suo movimento, la sua trasformazione ininterrotta…
Leonardo Nobili, sembra mosso da un desiderio inesauribile, dallo sguardo rivolto a un luminoso mutar di stelle.
“Lo sviluppo di una tematica o di una soluzione formale per me è sempre un modo nuovo di interagire con l’energia della realtà e degli oggetti che mi circondano.”
Nelle parole che Leonardo ha scelto come epigrafe al proprio sito internet è contenuta la pila atomica di tutto il suo grande e articolato lavoro d’artista: la volontà di interagire con l’energia della realtà
La realtà ha energia. Letteralmente: capacità di agire. E, sembra dire Nobili, il lavoro dell’arte si compie agendo con la stessa energia che possiamo cogliere qui e ora, in ciò che ci circonda.
In effetti viene da pensare che il sistema dell’arte (viene chiamato così perché, come un sistema solare, fa gravitar pianeti intorno a una stella?) che osserviamo al presente abbia, almeno in parte, perso questa relazione primaria con la realtà. Senza entrare nel merito dei molti racconti di questo sistema e dei narratori che si sono elevati al rango di star (stelle) dell’epica del popolo dell’arte, viene a volte il desiderio di aprire la finestra del salotto e lasciarvi affluire aria fresca.
Nobili non la cerca in uno stanco rimemorar di correnti, di definizioni, di discorsi su altri discorsi. Non nel pullulare dei generi o degli interrogativi sulla legittimità della linea di demarcazione tra ciò che è arte e ciò che non lo è: il suo è un lavoro oltre confine. Ossigeno puro.
Questa mostra – questa tappa a Spazio Tadini del viaggio di Leonardo – testimonia con una buona selezione di opere la sua capacità di utilizzare la scultura, la pittura, la fotografia, la performance, l’installazione come varianti della stessa energia espressiva e dello stesso impegno alla realtà. E’ del tutto inutile cercare di chiudere l’arte di Nobili nel recinto di una delle tecniche impiegate – come a cercarne l’apice di eccellenza – giacché le modalità sono varianti di una stessa tensione. E’ quella che congiunge figura e astrazione. Forma, rottura e nuova forma.
Leonardo Nobili è riuscito a trovarla nei vetri di automobili incidentate come in quasi qualunque altro materiale “di scarto” e a far risuscitare a nuova vita i corpi del reato dell’inaudito processo di espulsione che il sistema del Consumo attua quotidianamente. Oggetti e corpi / profughi di senso, esiliati dal presente che tornano, colmi di energia, a ingravidare il presente con il seme di un futuro riumanizzato.
Il corpo umano – il corpo nudo e dipinto a grandi pennellate da Nobili – il corpo del consumo – il corpo estremo che rincorre, travolto dall’ansia, qualche bellezza fittizia post-Apollinea, il corpo annullato in attualità elettrica – televisiva e facebookiana – nella quale l’eterno presente non prevede possibilità esperienziale se non precostituita dalle varianti al cubo pianificate dal fashion versione estiva e invernale e dalle luccicanze tecnoutopiche del mercato globale – torna, facendosi tela, supporto indifeso e bianco, all’attualità. A quel qui e ora senza premesse e promesse. Al big bangprimordiale.
Potremmo, forse, analizzare i molteplici riferimenti che legano Nobili all’arte del secolo passato, alle avanguardie e alle correnti. Ma basti citare il legame di Leonardo Nobili con un’artista che, forse più di ogni altro, ha reso indissolubile il lavoro dell’artista da quello di chi denuncia il falso Eldorado post-capitalista: Joseph Beuys.
Il senso dell’arte è funzione della sua fruizione sociale e l’opera è Opera se consente a chi la guarda di misurare percezione e comprensione del proprio stare al mondo. L’arte alza lo sguardo dalle bassure colme di nebbia delle crisi cicliche di mercato a quel cielo zeppo di stelle dove si intessono i sogni. Quelli che non muoiono mai. Quelli che muovono.