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Leonardo Sciascia: Il Cavaliere e la Morte

Creato il 18 febbraio 2012 da Postscriptum

Leonardo Sciascia: Il Cavaliere e la Morte

Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo, nota incisione cinquecentesca del Dürer, porta con sé, da secoli, insolubili domande circa la sua reale interpretazione allegorica. Il Cavaliere potrebbe rappresentare il miles christianus tardo medievale, armato di spada e scudo, impavido dinanzi alla Morte, incurante del Diavolo che segue. Un’atmosfera luterana (o agostiniana) cui Leonardo Sciascia presta da sempre parecchia attenzione. Un attento e meticoloso studio che lo porta ad eliminare un soggetto dal titolo del suo penultimo romanzo (Il Cavaliere e la Morte). Forse è questa la prima domanda che il lettore deve porsi mentre si accinge alla lettura del breve componimento di Sciascia. Una domanda che non esige risposte immediate, ma è solo la base per la comprensione graduale della struttura letteraria e dell’impianto del libro.

Il Cavaliere e la Morte non è un libro semplice, si riallaccia idealmente, pur nelle sostanziali differenze, a quello splendido Todo Modo di cui Guglielmo Emmolo (visionario videoartista e colto letterato) dice: “Il testo in questione è stato scritto per essere letto due volte (almeno): la prima lettura presuppone un lettore ingenuo, la seconda un lettore critico che interpreti il fallimento dell’impresa del primo. Infatti, per il lettore ingenuo, è calcolato un tempo di lettura che lasci in ombra molte tracce importanti dedicate al lettore critico. In virtù di ciò, è possibile affermare che ci troviamo di fronte ad un meta-testo prima che a un giallo. (Indagine su Todo Modo, 2008)

Altra cosa importante da premettere ad una breve trattazione sul romanzo di Sciascia, risiede ancora tra ciò che è antecedente alla narrazione stessa, il sottotitolo: Sotie. Non è ancora una volta un caso quanto fa rilevare nuovamente Emmolo in merito al finale di Todo Modo e la citazione de Les Caves du Vatican di Gide. Di questi “scherzi” allegorici comunque tratterò in conclusione, così come del Diavolo non più visibile.

Il Cavaliere e la Morte è un noir, ma è anche il testamento di Leonardo Sciascia, che da lì a poco lascerà i territori terrestri a causa dello stesso male che affligge il protagonista del romanzo. Un vice commissario di polizia senza nome, fumatore esistenziale, indaga sull’uccisione di un noto avvocato, Sandoz. Gli elementi di disturbo sulle connessioni logiche non sono pochi (notevoli i rimandi alle tematiche di Durrenmatt). Mi riferisco alla scoperta del fatto che l’avvocato in questione intratteneva uno “scherzoso” gioco con l’amico presidente degli Industriali, Aurispa. Quest’ultimo gli scriveva “pizzini” in cui lo minacciava di ucciderlo. Ma si chiarisce in qualche modo che era appunto uno scherzo, fondato sulla falsa corte che i due avanzavano nei confronti della rispettabile signora De Matis. Un’altra signora, la bella quanto odiosa Zorni, ha letto un introvabile ultimo messaggio di risposta del Sandoz. Pista ufficiale è comunque quella basata sulla rivendicazione di uno sconosciuto gruppo sovversivo appena formatosi: i “figli dell’ottantanove” (1789 ?). Ed ecco il “levati tu che ci metto io”, tema sempre presente negli scritti di Sciascia.

Sul finale di libro l’amante del vicecommissario chiede:

“Ma questi figli dell’ottantanove…?”

la risposta del poliziotto è lapidaria:

“Se ne sentiva il bisogno.” Pensò al diavolo dell’incisione di Dürer. “Occorre che ci sia il diavolo perché l’acqua santa sia santa.”

 

Il sogno, il bisogno, di un qualcosa che stravolgesse quello status quo da Consiglio d’Egitto, era ormai irrefrenabile nel pur disilluso ultimo Sciascia, lo si avverte. Ma lo stesso scrittore non si fa illusioni, avanzando dubbi sul gruppo stesso e chiedendosi se si tratti di “una storia inventata a tavolino; per gioco, per calcolo” … o ancora “il punto è che i figli dell’ottantanove stanno nascendo ora: per mitomania, per noia, magari per vocazione a cospirare e a delinquere; ma non esistevano un minuto prima che radio, televisione e giornali ne dessero notizia. Il calcolo di chi ha ucciso o fatto uccidere Sandoz li ha creati, appunto calcolando sul risultato minimo di annebbiarci, ma forse anche sul risultato massimo che qualche imbecille rispondesse all’appello professandosi figlio dell’ottantanove.” … “i figli dell’ottantanove sono stati creati per uccidere Sandoz o Sandoz è stato ucciso per creare i figli dell’ottantanove?”.

Anche questo sembra uo scherzo, un gioco! Perché? Se lo chiede sia il lettore ingenuo che il critico:

Il perché, direi per antica premonizione e per meno antica ammonizione, lo sappiamo senza saperlo…Nella nostra infanzia abbiamo sentito, più che propriamente conosciuto, un potere che si può ora dire di integrale criminalità, un potere che si può anche dire, paradossalmente, sano, di buona salute: sempre, si capisce, nel senso del crimine e confrontato a quello schizofrenico di oggi. … inutile dire che preferisco la schizofrenia alla buona salute. Ma di questa schizofrenia bisogna tener conto, per spiegarci certe cose altrimenti inspiegabili. Come pure bisogna tener conto della stupidità, della pura stupidità, che a volte vi si insinua e prevale…C’è un potere visibile, nominabili, enumerabili; e ce n’è un altro, non enumerabile, senza nome, senza nomi, che nuota sott’acqua. Quello visibile combatte quello sott’acqua, e specialmente nei momenti in cui si permette di affiorare gagliardamente, e cioè violentemente e sanguinosamente: ma il fatto è che ne ha bisogno…

Complottiamo, dietrologia? Niente di più lontano…

Una trilogia in cui si parla del potere ufficiale e di quello nascosto, di come entrambi si intrecciano per la sussistenza del Sistema. Un esempio limpido lo si può rinvenire nel funzionamento della nostra Carta Costituzionale, che vive del continuo bilanciarsi di interessi contrapposti. La Carta entra in crisi quando l’equilibrio si rompe, alla stessa maniera il Sistema democratico stagionalmente entra in crisi a causa di quella stessa schizofrenia che lo mantiene in vita. A quel punto poteri occulti e poteri visibili coincidono, instaurando un Governo di “buona salute”.

Sciascia non era un novello Nostradamus e le sue profezie – in questi giorni sembrano più vicine che mai all’avverarsi (vd. fenomeni ellenici) – non sono altro che il frutto di una buona visione storica. Ecco dov’è andato a nascondersi il Diavolo di Sciascia, come al solito nel particolare.

Vogliamo cercarlo nell’incisione di Dürer? La Morte con la clessidra in mano ha l’aspetto stanco di chi attende pazientemente invecchiando (notare la barba), perché non può metter fretta in quanto la sua azione è limitata alla sola constatazione del decesso naturale. Chi è interpretato qual Diavolo – che invece avrebbe il potere di agire – si trova in coda e – come dice Sciascia – è sin troppo buffo, grottesco, per incutere seriamente terrore. È un finto Diavolo, si ritira, si nasconde pavido all’incedere della vita. Sciascia non può che toglierlo dal titolo. E il Cavaliere, chi è?

Erasmo? “Cristo? Savonarola? Ma no, ma no. Dentro la sua corazza forse altro Dürer non aveva messo che la vera morte, il vero diavolo: ed era la vita che si credeva in sé sicura: per quell’armatura, per quelle armi.”,  il particolare ove si è nascosto il maligno.

Guglielmo Emmolo aggiungerebbe che “una volta intuita l’identità dell’assassino il lettore cercherà di rileggere per raccogliere i pezzi di puzzle “centrifugati” nel romanzo e ricomporne la fabula. Se poi è un vero appassionato del genere poliziesco, avrà sicuramente battuto la mano sulla fronte per non esserci arrivato prima.

 

Il lettore, nel frattempo, da ingenuo è divenuto critico e ora deve riconsiderare tutti e tre i brevissimi romanzi menzionati per comprenderne il reale significato,  il destino prefigurato per questa civiltà in declino. La società occidentale moderna, che appesta insieme panetterie e biblioteche in un unico termine (paninoteche) facendo rabbrividire il grande autore di Racalmuto. Il Cavaliere e la Morte è stilisticamente un po’ affrettato, forse non all’altezza de Il Contesto o di Todo Modo. Si percepisce una premura dettata dalla presa di coscienza di quanto poco tempo fosse rimasto, gli ultimi granelli di sabbia nella clessidra! Ma Sciascia deve completare e delineare ai futuri lettori il quadro dei poteri forti che si trova dietro la Crisi dell’Occidente. L’allegoria di queste tre cantiche è ora chiara. Occorre solo far attenzione a non confondere e creder di trovare un inferno (il Diavolo) o un paradiso (la morte), poiché qui è tutto purgatorio.

Infine, il commiato di Sciascia:

Come sempre, però, quando arrivava allo sconforto dell’oggi, alla disperazione del domani, si domandò se nel rammaricarsi per l’indegnità in cui il mondo correva non ci fosse il rancore di stare per morire e l’invidia per coloro che restavano. Forse sì, pur nella dilagante pietà che sentiva per tutti quelli che restavano; tanto che in certi momenti, incattivito, gli avveniva di ripetersi nella mente, a modo dei presentatori di avanspettacolo della sua adolescenza, un “signore e signori, buon divertimento”; come un saluto, beffardamente. Ma nella coscienza che il divertimento non ci sarebbe stato, era pur sempre, scontrosamente, pietà. Camminava ora per il parco. I bambini, ecco: così graziosi, tanto meglio nutriti che un tempo (l’infanzia gracile e affamata di quelli ora vecchi), forse più intelligenti e certamente, di tutto, molto più informati; ma ne aveva grande apprensione e compassione. Ci saranno, pensava, nel 1999, nel 2009, nel 2019: e che cosa il susseguirsi di questi decenni avrebbe portato per loro? E si accorse, così pensando, di essere arrivato come al cancello della preghiera, intravedendola come un giardino desolato, deserto. Si soffermava a seguire i loro giochi, a sentire quel che si dicevano. Erano ancora capaci di gioia, di fantasia: ma li aspettava una scuola senza gioia e senza fantasia, la televisione, il computer, l’automobile da casa a scuola e da scuola a casa, il cibo ricco ma dall’indifferenziato sapore di carta assorbente. Non più, nella memoria, la tavola pitagorica, “la donzelletta vien dalla campagna…”, “Scendeva dalla soglia…”, “I cipressi che a Bolghieri…”: sevizie del passato. La memoria era da abolire, la Memoria; e quindi anche quegli esercizi che la rendevano duttile, sottile, prensile.

Era il 1988.


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